Youthless. Fiori di strade (Massimo Carlotto, Patrizia Rinaldi, Alessandra Acciai, Pasquale Ruju, Massimo Torre, HarperCollins, 2022) è un romanzo collettivo, un noir con protagoniste sei ragazze, sei giovani donne in cerca di loro stesse e di un futuro che va inseguito nella discontinuità e nel faticoso e necessario tentativo di comprendere e accogliere l’altro da sé.
Gli autori di questo libro sono cinque professionisti della scrittura, intesa nelle sue forme più sfaccettate. Teatro, cinema, fumetto, letteratura, alcuni tra loro viaggiano da un codice di scrittura all’altro con forza ed eleganza inconfondibili. Sorprendenti sono l’armonia e la compattezza di stile che cinque menti sono riuscite a raggiungere in un unico romanzo. Un esempio virtuoso di concordanza ed esercizio su se stessi e sulla lingua.
Da decenni gli autori di questo romanzo sono impegnati nel difficile compito di non consolare i loro fruitori, perché appartengono a quella cultura scomoda che, attraverso diverse forme espressive, sa e vuole scuotere le coscienze. In Youthless è evidente la volontà di capire cosa siamo, nella solitudine, nel disagio delle generazioni (qui l’adolescenza), nell’appartenere a una collettività di cui le tracce sempre più nebulose. Quella politica tanto lontana dalla vita reale da non riuscire più a far progredire la società, quella cultura dominante slegata dalle quotidiane difficoltà delle persone, vengono messe in discussione, con prepotenza. Qualcuno, tra i quieti intellettuali della nostra Italia disorientata e confusa, continua con forza a lanciare chiari segnali di insofferenza, quando non di malessere, verso il diffuso compiacimento del restare immobili, senza gli strumenti per affrontare gli evidenti cambiamenti di un sistema obsoleto e stanco.
Questo libro dà un quadro piuttosto chiaro del disordine, dell’arroganza, dell’indifferenza sistematica con le quali l’età giovane viene relegata ai confini delle necessità sociali. Ne parliamo con gli autori di Youthless, che hanno voluto rispondere alle domande collettivamente, così come hanno scritto il libro.
A chi, tra voi, è venuta l’idea di scrivere un romanzo collettivo?
L’idea di riunirci per scrivere insieme è venuta a Massimo Torre, ben prima del confinamento dovuto alla pandemia. Ci ha invitati a incontrarci in uno spazio suggestivo, sede romana degli sceneggiatori italiani. Lì abbiamo cominciato a fare ipotesi sulla trama, sui personaggi, sugli sviluppi del progetto collettivo. Con la successiva chiusura e relativa impossibilità di spostamento, abbiamo continuato a incontrarci online.
Come si è sviluppato il lavoro?
L’inventio è stata collettiva e anche il resto. Abbiamo insieme cercato le idee, ne abbiamo scartate alcune, ci siamo soffermati su dettagli solo in apparenza secondari, ma invece utili per identificare il clima narrativo, i colori del romanzo, gli intrecci, i personaggi. Proprio come succede quando si scrive da soli. Tutti abbiamo collaborato alla costruzione dell’intero libro. Ognuno di noi si è sentito libero di mettere mano alle scritture degli altri, per omologarle, per offrire fluidità al lettore. L’armonia e l’accordo sono fondamentali in questo tipo di progetto, altrimenti non si arriva ad alcun risultato.
Le vostre personalità autoriali sono state sacrificate in una necessaria sottrazione del sé, oppure avete utilizzato le vostre singole peculiarità di “creatori di storie” per rendere più forti le sfaccettature personali delle protagoniste?
Questo romanzo contiene le nostre scritture e i temi ricorrenti di ognuno, ma al contempo li supera. Contribuire con il proprio bagaglio di esperienze senza imporsi, rispettando profondamente il lavoro degli altri, è stata l’unica chiave possibile: abbiamo capito che questa era la vera sfida, un modo nuovo di procedere nella scrittura.
Ciascuno di voi ha un ruolo specifico nella “costruzione di storie”: dalla sceneggiatura al fumetto, dal teatro alla narrativa, o tutte quante assieme. I codici di scrittura di ciascun mestiere hanno aiutato a costruire una continuità narrativa omogenea, oppure ci sono stati contrasti tra voi?
Ci hanno aiutati e non ci sono stati contrasti. Ognuno ha cercato, a quanto pare riuscendoci, di offrire il proprio vissuto narrativo per arricchire il testo, per non imporlo sulle altre scritture. L’obiettivo è stato, fin dal primo momento, l’unità. La linea crime doveva essere rispettata, come la coerenza narrativa. Abbiamo lavorato tanto, anni, ma questo era il nostro obiettivo.
Il libro si pone tra il noir classico e il romanzo di formazione. Qual è, secondo voi, la struttura che emerge più prepotentemente tra i diversi filoni narrativi (e quindi gli archetipi che li caratterizzano per tradizione letteraria)?
Anche in questo caso lo scopo è stato l’armonia, quello che si è realizzato tra di noi si è spostato anche sul romanzo: gli schemi narrativi del noir e del romanzo di formazione non si sono fagocitati tra loro, ma si sono accordati. Le ragazze si trasformano e formano un gruppo coeso durante la fuga da nord a sud, la linea noir classica accoglie, fa da sottofondo, ad altre narrazioni. E per questo muta, si contamina, ma sempre rispettando l’equilibrio necessario all’osmosi.
Prepotente è il sottotesto generale del libro: il futuro di queste ragazze è quello di intere generazioni abbandonate. Negare il futuro è diventato uno strumento di sopravvivenza. In questo nostro tempo, abbiamo una capacità di rimozione potentissima, come fosse una forma di difesa. I ragazzi, che non hanno chiari punti di riferimento culturali, ideologici, creativi, troveranno la forza per progredire, per evolversi, per smettere di fuggire?
La loro fuga è in realtà anche un momento di formazione, come singoli individui e come gruppo. Ognuna di loro darà alle altre spunti per riflettere, e forza ed energia per andare avanti. Anche i momenti di conflitto saranno occasioni di crescita, e affrontare un mondo degli adulti particolarmente ostile spingerà tutte le nostre ragazze, dalla più ‘forte’ alla più ‘debole’, a mettere in gioco risorse inaspettate. La loro meta è lontana, forse irraggiungibile, ma non per questo smetteranno di provarci.
Un altro tema importante del romanzo è la solitudine. Questo libro, cioè, è un romanzo on the road, le cui protagoniste sono adolescenti di diverse classi sociali, colori di pelle e identità, che si trovano in fuga dal nord al sud del Paese. Un Paese di adulti freddi, corrotti nelle menti e nei comportamenti, individualisti fino alla violenza e al cinismo più estremi, con salvifiche eccezioni di personaggi dotati di sincera umanità. Ma la caratteristica dominante è la solitudine, dalle protagoniste ai comprimari alle figure di sfondo. Questo è il sentimento che accomuna la nostra società?
Purtroppo, sì, E questi anni di pandemia, di crisi economica aggravata dai venti di guerra non aiutano. Siamo tutti un po’ più soli, oggi rispetto a ieri. Un po’ più chiusi nelle nostre case e lontani dagli altri, cauti, diffidenti. Questo vale ancora di più per i giovani e i giovanissimi, a volte rintanati nelle loro stanze, davanti allo schermo di un computer, del cellulare, o di una console. Ci vorrà tempo e molta volontà per tornare tutti, giovani e adulti, ad aprirsi al resto del mondo. Ma accadrà, speriamo presto.
Le ragazze scappano da infanzie insopportabili: nessun affetto sano, nessuna formazione basata su esempi e principi condivisi in un’educazione familiare. Sono figlie di genitori incapaci, in fin dei conti. I rapporti generazionali sono fallimentari. È questo che volete dire?
Mai come in questi anni abbiamo visto allargarsi il divario fra generazioni. Questo perché il mondo è cambiato in fretta. Linguaggi diversi, diverso rapporto con i social e gli altri media, e per la prima volta la prospettiva, per i più giovani, di una vita che non sarà migliore di quella dei loro genitori, ma forse, al contrario, sarà più difficile, insidiosa, problematica. Stiamo lasciando agli adolescenti di oggi una serie di emergenze, da quella sul clima a quella economica e sociale, e saranno loro a doverle affrontare. Da qui, inevitabilmente, la difficoltà nei rapporti fra genitori e figli, che nel caso delle nostre fuggitive avranno conseguenze estreme.
Le protagoniste si muovono tra i boschi, le strade sconosciute, il mare di questo Paese, braccate e costantemente in pericolo. Al di là delle ragioni che spingono queste adolescenti alla fuga, c’è un problema generale: i giovani, in questo nostro tempo, non soltanto sono ignorati da politiche e istituzioni, ma vivono una evidente ansia verso presente e futuro. Quella dei nostri adolescenti, è davvero, forse, la generazione più incerta che si ricordi nella storia del nostro Paese. La fuga, oltre la solitudine, è un tema del romanzo ed è uno stato mentale e fisico dei nostri ragazzi. È così?
È esattamente così. Ciascuna delle ragazze, per motivi differenti, in contesti differenti, è vittima di dinamiche sociali e familiari particolarmente ostili, e reagisce come può, con la ribellione e la fuga. Fuggire, salvarsi, è l’unica via, per tutte loro. Per provare ad avere un futuro che fino a quel momento si vedono negato.
Altro tema chiave del libro è la dispersione giovanile: quei ragazzi che scappano di casa e dei quali nessuno si occupa. Abbiamo costruito un alibi perfetto per giustificare l’indifferenza degli adulti verso le sorti dei giovani: il Covid. In realtà, ben prima della pandemia i ragazzi utilizzavano, ovunque, forme di fuga: gli hikikomori giapponesi, i suicidi giovanili giovani in Cina, l’autolesionismo, i disturbi alimentari in crescita, le droghe, l’alcool. Eppure, le vostre protagoniste trovano, nella fuga una potente forma di solidarietà, di fiducia, nonostante tutto. Sono così soli questi nostri ragazzi?
Sicuramente lo sono più di quanto lo eravamo noi, nati nello scorso millennio. L’auspicio, ancora una volta, è che trovino un loro modo, una loro strada, per andarsi incontro, gli uni con gli altri. Ne hanno bisogno, e noi con loro. La disperazione riguarda le nostre protagoniste come, in questo momento storico, la gran parte dell’umanità cui viene negato il diritto a una vita dignitosa, ma persino a respirare, a bere acqua e nutrirsi. La disperazione indotta è un potente mezzo di coercizione. Rende gli esseri umani proni alla volontà di chi tiene le leve dei poteri. L’unica via che hanno le nostre protagoniste, come questa gran parte di umanità in difficoltà è la consapevolezza del meccanismo, la ribellione (le nostre lo fanno a loro modo chi più istintivamente chi no) ma soprattutto la solidarietà, il sentimento reciproco, la volontà di non piegarsi, l’amicizia! Cioè si può vincere questa condizione solo insieme, quasi ma restando soli.
Queste ragazze sono arrivate, tutte, a una comune decisione di scomparire. Il libro tratta casi esemplari. Ma c’è anche una quotidianità triste, nella vita dei nostri giovani, non per forza estrema. Voi avete scelto forme emblematiche di malessere. Perché? La giovinezza ha bisogno di personificazioni drammatiche per raccontare di sé e farsi riconoscere come reale?
Abbiamo scelto per loro una condizione estrema perché è quella che rende manifesta la realtà senza edulcorazioni, mistificazioni, illusioni più o meno indotte. Le abbiamo anche costrette dentro un meccanismo narrativo stringente che le obbliga a tirare il meglio o il peggio di ognuna, quindi a conoscersi profondamente, a costituire definitivamente il proprio io, una ricerca che è alla base dell’adolescenza, ma che spesso si protrae anche ben oltre, lo sappiamo bene. Le abbiamo costrette a farsi forti col rischio altrimenti di soccombere. Di sparire definitivamente.
Le protagoniste sono tutte donne. In un mondo in cui la fluidità sta prevalendo in modo naturale sulle intolleranze delle istituzioni (che sono in evidente contrasto verso le diversità e quei diritti che faticosamente davamo per scontati e che ora vengano minacciati da rigurgiti reazionari), anche il tema della femminilità è messo in pericolo. Non soltanto l’essere adolescenti è un problema. Lo è essere donne adolescenti. La forza e la capacità di lottare di queste ragazze rappresentano un grande atto di fiducia, da parte vostra, verso la femminilità. Questo è il motivo per cui queste fuggiasche sono tutte donne?
Sì, è esattamente questo. Siamo felici che emerga con forza. Dentro la violenta evoluzione dell’umanità, cui stiamo assistendo in questa contemporaneità, l’unica speranza è che finalmente un approccio decisamente femminile più fluido e quindi non imitativo di quello virile (vedi Giustina Rebellin: il personaggio femminile più corrotto, cinico, negativo del libro ndr.) sia fondamentale per la costruzione di un mondo migliore (perché rinunciare all’idea?). Insieme alla considerazione che la diversità sia una ricchezza cui non si può rinunciare per elevarsi verso una condizione umana finalmente giusta. Accogliere piuttosto che invadere, è la chiave.
Qual è il luogo ideale, la strada che, secondo voi, le generazioni giovani possono seguire, in questa contemporaneità minacciata da tutte le parti?
La discontinuità. Cambiare il verso. Andare verso gli altri piuttosto che contro. Non è mai stato facile, ma affidiamo a loro la speranza che possano riuscire nell’impresa. Altrimenti, stavolta sì, non ci sarà futuro. Per nessuno.