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Uno spettro si aggira per l’Europa e incombe sul governo: il Media Freedom Act

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Tempi duri per il governo italiano, popolato di conflitti di interessi e già pronto ad usare il controllo sulla Rai regalato al potere esecutivo dalla legge voluta nel 2015 (n.220) da Matteo Renzi.  Sono in arrivo, infatti, una proposta di Regolamento e un’annessa Raccomandazione sulla libertà dei media.

L’European Media Freedom Act (EMFA) e l’allegato documento furono presentati lo scorso 16 settembre dai commissari dell’unione Vera Jourova (politiche sui valori e la trasparenza) e Thierry Breton (mercato interno). L’intenzione di Bruxelles è chiara: rendere più omogenea la tutela del pluralismo, dell’indipendenza, del ruolo del servizio pubblico, dei principi di trasparenza.

Gli obiettivi, del resto, sono ben elencati: armonizzazione delle discipline e delle scelte di autorità nazionali spesso asimmetriche e disomogenee; cooperazione nelle scelte regolatorie; impegno a facilitare la qualità dei media e ad ostacolare ingerenze proprietarie, eccessi di sorveglianza e conflitti di interesse; trasparenza nell’utilizzo delle risorse e nell’investimento pubblicitario da parte delle istituzioni pubbliche. Il testo riguarda sia i mezzi di comunicazione classici, sia i servizi online per adeguare quest’ultimo settore alle recenti direttive comunitarie (Digital Services Act e Digital Markets Act). In verità, proprio il capitolo sulle piattaforme richiede modifiche e ripensamenti. In particolare, gli articoli della sezione 4 (Provision of media services in a digital environment) incorrono in una contraddizione: per un verso si introducono norme limitative dello strapotere delle Big Tech cui sono messe in capo responsabilità sui contenuti che veicolano per tutelare le diverse tipologie di utenza, dall’altro si attribuisce agli oligarchi della rete una forte discrezionalità. L’aporia già si manifestò al tempo della direttiva sul diritto d’autore nel mercato unico digitale (2019/790 Ue), quando si attribuirono alle stesse piattaforme le facoltà coercitive. E si persevera. Tuttavia, i due testi (la Raccomandazione si sofferma sugli aspetti delicati della indipendenza editoriale e suggerisce modalità concrete per difenderla) sono una buona base di discussione e rispondono di fatto alle distorsioni in atto in vari paesi che contrastano i punti cruciali del diritto all’informazione: dalla Polonia, all’Ungheria, alla Slovacchia, a Malta.

L’Italia si colloca da molti anni nella parte bassa della classifica. Abbiamo una forte concentrazione televisiva, l’azienda pubblica è controllata dai partiti delle maggioranze che si susseguono, l’editoria è in crisi e in poche mani «impure» salvo poche eccezioni (tra cui il manifesto), piovono le querele temerarie contro chi fa con coraggio giornalismo di cronaca, il precariato è abnorme. Inoltre, i conflitti di interesse dilagano e il vulnus democratico creato dal rapporto privilegiato tra Mediaset e pezzi del governo non si è mai sanato. L’arrivo prossimo venturo dei nuovi articolati da Bruxelles è un serio problema per la compagine diretta da Giorgia Meloni, che nel suo discorso di insediamento si è guardata dall’affrontare simili questioni. L’Italia, insomma, rischia di indossare la maglia nera, e non solo per i trascorsi nostalgici. Sulle indicazioni europee si è svolto un utile convegno lo scorso 28 ottobre presso l’autorità per le garanzie nelle comunicazioni su impulso della commissaria Elisa Giomi e dello studioso Augusto Preta in rappresentanza dell’International Insitute of Communications. Si è trattato di un passaggio certamente funzionale a sollecitare un dibattito pubblico su faglie della crisi eluse o rimosse. Si parla spesso di come fare opposizione alla destra, in parlamento e fuori. Un nodo cruciale di una lotta né effimera né congiunturale riguarda proprio l’immenso universo della cosiddetta infosfera. E se il riferimento all’Europa è diventato un mantra o uno slogan strumentali, ogni tanto si offre l’occasione di trattare non di economia e finanza, bensì di conflitto nelle e sulle agenzie che costruiscono il clima di opinione e formano l’immaginario.


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