Una manovra classista

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Forse se la presidente del consiglio non fosse per l’ennesima volta scappata davanti alle domande dei giornalisti avrebbe dovuto rispondere dell’impianto complessivo che il governo più a destra della storia della repubblica dichiara di voler portare avanti con questa manovra economica: cioè che è una manovra classista e per nulla improvvisata.
Nei provvedimenti previsti e annunciati finora ci sono alcune furbe operazioni propagandistiche per distrarre, come al solito, l’attenzione dalla reale sostanza dell’intera operazione: un po’ meno IVA sui pannolini, 100 euro all’anno in più sulle pensioni minime e poco altro.
Ma la sostanza è agghiacciante. Prima di tutto per le donne. La donna viene vista dal governo solo nella chiave di un unico scopo nella vita, fare figli. Si tutelano le donne solo per questa funzione. E la cultura che ne consegue la conosciamo molto bene. Le sole agevolazioni previste vanno in quella direzione e sembrano copiate dalle pagine che istituivano l’opera nazionale maternità e infanzia nel 1925. Dice Giorgia Meloni riguardo all’aumento dell’assegno per il congedo di maternità: “Una scelta che introduce una specie di salvadanaio del tempo che le madri possono utilizzare in caso di difficoltà evitando di incorrere in situazione economiche difficili“, del tutto simile a quanto scritto nel decreto istitutivo dell’ONMI:«le funzioni della maternità: la gravidanza, il parto, il puerperio e l’allattamento […] e l’infanzia la quale non si limita al tempo dell’allattamento e al secondo anno di vita, come si crede da alcuni, ma distinta dai fisiologi, nei tre periodi, prima, seconda e terza infanzia, si estende negli anni successivi all’età prescolastica e scolastica sino alla pubertà conclamata nella quale dall’adolescenza si entra nella giovinezza.»
Se questo possiamo classificarlo come un “classismo di genere”, il ritorno al classismo più tradizionale sta nel fatto che la manovra prevede che le diseguaglianze siano accentuate, i poveri siano impoveriti, i lavoratori dipendenti per primi, i benestanti siano più benestanti e possano, se autonomi, evadere meglio le tasse, se le pagano pagarne meno.
Per non parlare dei disoccupati. Si trasforma in legge una vulgata portata avanti da alcuni ignobili personaggi del mondo imprenditoriale e da alcuni boriosi imbonitori della politica: se sei povero è colpa tua, se non lavori è colpa tua. E quindi lo stato toglie l’unico supporto alla povertà eliminando fra un anno il reddito di cittadinanza e riducendolo nei prossimi otto mesi. Tutto il dibattito, giusto e pertinente, su come migliorare questa misura, su come rendere più produttivo l’avviamento al lavoro, viene cancelato e il governo decide l’eliminazione, un po’ progressiva, di una delle rare forme di aiuto alla povertà che hanno reso la vita meno drammatica a un milione e mezzo di disperati.
E il lavoro sottopagato? Il salario minimo? Le regole di contrattazione? E l’aumento delle pensioni per il vorticoso balzo dell’inflazione? Andrà solo a chi ha meno di 1700 euro lordi di pensione, come se fosse un tetto di ricchezza, 1700 euro lordi vuol dire 750 euro al mese per vivere…e men che meno interventi per chi andrà in pensione nei prossimi anni, tanto i giovani interessano meno all’elettorato reazionario e regressista di questa destra.
Neanche l’ombra di un tenatativo di ipotizzare nuove professioni, nuovi mesteri, nuove opportunità legate al targico problema climatico, ma ancora un no alle tasse sulla plastica e sugli zuccheri. Desolante!
Mentre le opposizioni credo che riusciranno a dire fra loro cose diverse e a fare manifestazioni separate per mezzo punto in più nei sondaggi, resta un’ultima speranza in chi di lavoro dovrebbe ancora occuparsi: il sindacato. Ma non si dica che questa è una manovra improvvisata, obbligata dalla situazione recessiva in cui ci troviamo,questa manovra è una manovra classista e reazionaria della peggior specie.

 


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