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Romanzo Radicale: quando l’Italia lottava fisicamente per i diritti civili

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Mimmo Calopresti realizza un film documentario sul radicale Pannella, con la coregia documentaristica di Luca Lancise. Marco Pannella è interpretato da Andrea Bosca, la narrazione è accompagnata da interviste a Emma Bonino, Luciana Castellina, Piero Mughini, Marco Cappato, tra gli altri. Il film documentario, prodotto da Rai Fiction e Fulvio e Paola Lucisano con Paola Ferrari per Italian International Film, è in onda su Rai 3, venerdì 11 novembre in prima serata, quindi disponibile su RaiPlay.

Ricordare come eravamo, quando il diritto al divorzio, il diritto di abortire, il diritto di non fare il servizio militare sembravano questioni impossibili da far entrare nelle aule istituzionali per trasformarsi in leggi dello Stato, è oggi più che mai utile. E non è per una sterile retorica su quanto abbia ottenuto con fatica il Partito Radicale nel corso dei decenni, e con forza invasiva e necessaria Marco Pannella in persona. La retorica e la nostalgia, nell’attuale assetto sociopolitico del Paese, sono davvero poco utili. Utilissimo è, invece, ribadire la rimozione allarmante con la quale si liquidano, ora, decenni di lotte e di un faticoso consolidamento per acquisire diritti civili che hanno consentito a migliaia di persone di interrompere secondo legge il proprio percorso matrimoniale infelice; a migliaia di donne di vivere con dignità e rispetto la scelta di abortire, perché tutelate da uno Stato e da norme laiche; a migliaia di giovani di non scegliere la leva miliare ma di adempiere a servizi civili di pubblica utilità per obiezione di coscienza, come conviene a un Paese progredito.

Il Partito Radicale e Marco Pannella in prima persona, in questo lungo e tortuoso percorso di civiltà, sono stati indispensabili, nello spalancare, tra le altre cose, porte e provvedimenti di umanizzazione in luoghi di segregazione fino a pochi decenni fa disumani, come le nostre prigioni. E con la stessa forza hanno tentato disperatamente di legalizzare le droghe leggere. Pannella e il Partito Radicale non hanno voluto colori di appartenenza, per quanti gliene siano stati proposti, imposti, attribuiti impropriamente. E questa resistenza a un’appartenenza settaria ha reso possibile tanta forza per la libertà. Pannella riesce a scuotere l’Italia mosso dalla convinzione semplice e rivoluzionaria che la politica debba occuparsi della vita delle persone e della loro felicità. E per farsi ascoltare, inventa un nuovo linguaggio: la fisicità della politica, fatta di digiuni, arresti, provocazioni reiterate. Romanzo radicale è il racconto dell’avventura politica e umana di Marco Pannella, senza retorica o beatificazione, ma attraverso le risorse espressive della fiction che racconta i momenti più intimi della sua vita; attraverso immagini di repertorio, per catturare i gesti che hanno fatto epoca; attraverso le testimonianze di chi ha combattuto al suo fianco, o di chi a lui si è opposto. Un controcanto utile per restituire, almeno in parte, la vita e la complessità di un uomo del Novecento italiano tanto criticato quanto necessario.

Parliamo del film con Mimmo Calopresti.

Cos’è Romanzo Radicale?

In questi giorni, l’interesse dei media verso questo film documentario sta esplodendo, eppure la sua gestazione e la successiva lavorazione sono state molto difficili. Recentemente l’abbiamo portato in giro per il mondo, torno da poco da proiezioni molto interessanti ad Addis Abeba. Quando è nata l’idea, credevo che ci fosse molta voglia di raccontare e guardare la storia di Marco Pannella. Invece, è stato un percorso piuttosto faticoso, anche su ciò che si potesse e su ciò che non si potesse dire di Pannella. L’Italia è un Paese conformista: tutti ricordano Marco, ma alla fine non importa nulla a nessuno di quel che ha fatto. Non che qualcuno abbia paura di Pannella e del suo modo di vivere politico, non è questo. È che davvero non interessa più a nessuno parlare di lui. Questo adeguamento generale, conformista appunto, mi spaventa. L’ idea che ha perseguito Pannella per tutta la vita non interessa più: occuparsi degli invisibili, degli ultimi, l’importanza dei diritti anche di pochi, come quelli tra i più dimenticati della società, i carcerati (Calopresti ricorda l’iniziativa radicale “Ferragosto in carcere”, inaugurata da Marco Pannella nel 2009 ndr.). Ecco, tutto questo non è più interessante. Eppure, Pannella è stato l’unico che, a partire da battaglie piccole, ha fatto fare enormi progressi a questo Paese, senza retorica, ma agendo. Per altro, era un uomo politicamente piuttosto “solo”: ce l’avevano con lui i cattolici, ma anche il PCI. Pensiamo alle battaglie per l’aborto: questo Paese è stato profondamente maschilista e l’idea dominante di ciascuna parte politica è sempre stata quella che la donna fosse un’appendice del maschio. E, mentre tutti si affannavano a parlare di principi, Pannella si occupava di diritti e i diritti civili sono qualcosa di estremamente concreto, perché riguardano la vita quotidiana delle persone, non le idee: il problema del divorzio riguarda i figli, chi si occuperà di loro, chi guadagna di più tra i due componenti di una coppia, e via dicendo. Sono cose reali e di cose reali si è occupato per tutta la vita Marco. I diritti non riguardano l’ideologia: hanno a che fare con questioni giuridiche, pratiche, tecniche direi. Pannella era un uomo di grande ascolto sulle questioni concrete e le affrontava “fisicamente”, col proprio corpo, metteva in gioco ogni muscolo del proprio corpo e usava il proprio corpo per vincere battaglie di tutti: i digiuni, gli scioperi della sete, costringevano le persone normali e i capi di Stato a occuparsi di quello che diceva, che difendeva, che reclamava, che voleva. Perché la “macchina dei diritti”, di cui lui si faceva corpo, apparteneva a tutti e chiedeva a tutti di rendersi partecipi delle battaglie radicali. Chiunque entrasse nel movimento radicale era personalmente chiamato ad assumersi la propria parte di responsabilità e di lavoro per risolvere un problema, per affermare un diritto collettivo. Questo, i Partiti classici non lo hanno mai fatto. I Partiti storici di questo Paese, da destra a sinistra, hanno avuto sempre un atteggiamento paternalistico verso i loro elettori. I radicali combattevano personalmente le loro battaglie, tutti.

Ben prima di conoscere il risultato delle recenti elezioni politiche che hanno portato alla vittoria di Giorgia Meloni e della Destra ciascuno di noi sapeva che sarebbe accaduto esattamente questo. Contemporaneamente alla gestazione di questo clima reazionario, lei e il suo gruppo di lavoro avete sentito l’esigenza di raccontare Marco Pannella. Come vi è venuto in mente di parlare di un uomo così lontano dalla nostra contemporaneità, eppure scomparso solamente pochi anni fa, nel 2016?

Lo abbiamo capito facendolo. Quando IIF e Fulvio Lucisano in persona mi hanno proposto la regia di un film su Marco Pannella, ho cominciato a comprendere quanto fosse necessario parlare di lui. Fulvio Lucisano, che ha più di 90 anni, mi ha detto dopo aver visto il film: “Quando vedevo e ascoltavo Marco Pannella in TV pensavo sbagliasse tutto, soprattutto il metodo. Ora che vedo il vostro film, capisco che aveva ragione lui, soprattutto nel modo in cui portava avanti le sue battaglie”. La presenza di IFF e di Lucisano, la collaborazione con gli sceneggiatori, la scelta degli attori per le parti di fiction, così come la scelta delle persone da intervistare: tutto questo mi ha portato a capire quanto fosse importante, oggi, raccontare in un unico film la vita di un uomo oggettivamente raro come Pannella. Essere radicali, ho capito meglio, è un modo di stare nel mondo, non semplicemente appartenere a un partito politico. È proprio una scelta: essere radicali dentro il mondo, appartenere a una narrazione radicale lunga decenni. E raccontare questo non significa raccontare solamente la vita di Pannella, ma anche quella di tutti coloro che hanno scelto la radicalità. Per esempio, mi colpì molto il fatto che Pannella, eletto al Parlamento Europeo, la prima battaglia che fece fu in difesa di un’etnia turcofona di religione islamica, gli Uiguri, completamente priva di diritti in Cina. Chi avrebbe mai fatto una cosa del genere? Chi si mette contro la Cina, nel nostro Paese come nel Parlamento europeo? Gli imperi economici come la Cina non si toccano quasi mai. Ancora oggi, nessuno si occupa dei diritti negati e delle persecuzioni inflitte agli Uiguri della Cina.

Pannella era un gandhiano, certo, un non violento, epperò l’uso del proprio corpo era violento: come ho già detto, con i digiuni, con i suoi incatenamenti fisici sotto i palazzi del Potere, con i suoi scioperi che lo stremavano ricattava Presidenti della Repubblica e capi di Sato internazionali per ottenere ciò che reputava necessario al progresso collettivo. Le sue performance antimilitariste, quando si buttava contro i carri armati, quando andava a trovare il Dalai Lama, quando fumava le canne in TV: era sempre “presente” nella vita, era radicale in modo invasivo, efficace. Il suo corpo era già un atto politico e nessuno è mai stato così, in Italia.

A parte gli episodi di finzione e le notevoli performance attoriali e di ricostruzione d’epoca, nel documentario ci sono molte interviste. Come è stata fatta la selezione su chi potesse ricordare nel miglior modo possibile Pannella?

A essere sincero, molto lo ha fatto il tempo: Pannella fa parte di una generazione della cultura e della politica italiane che non esiste più. Quindi ho parlato con chi, tra i superstiti, ha voluto farlo. Bianca Beccalli, per esempio, non ha voluto essere intervistata: è stata la prima compagna di Pannella, hanno iniziato le lotte radicali insieme, insieme hanno vissuto a Parigi, ma è molto anziana, ha preferito non farsi riprendere. Quella generazione era fatta di veri protagonisti che non avevano bisogno di mostrarsi. Esattamente il contrario di quanto accade oggi: tutti vanno in televisione, sono sui social, fanno i selfie, tutti peccano di protagonismo, nessuno lo è realmente. Ecco, ho scelto quelli che avevano il piacere e la voglia di raccontare Marco e il loro tempo. Tra i giovani, ho parlato molto con Marco Cappato, per capire davvero cosa dire. Poi, Emma Bonino è straordinariamente generosa: solo lei è stata in grado di proseguire davvero il percorso di Pannella, in Italia e in Europa e su di lei andrebbe fatto un documentario di almeno quattro ore. Luciana Castellina, nella sua integrità comunista, ha una lucidità inattaccabile ed è stato prezioso ascoltarla. Ma c’è da ricordare che, in generale, tutti gli intellettuali italiani hanno avuto a che fare con Marco Pannella e col Partito Radicale e anche per questo valeva la pena raccontare questa persona. Contemporaneamente, fino alla fine dei suoi giorni Pannella era circondato da giovani, perché questo era il suo spirito: era restato un ragazzo in battaglia fino alla fine e trovo questa immagine molto interessante. E poi, a casa sua, passavano molte persone “rock” come Vasco Rossi, con il quale Marco aveva un rapporto di sincera amicizia.

Insomma, secondo me, per raccontare Pannella, bisogna pensare esattamente alla vitalità di Vasco Rossi, passando per il Dalahi Lama, per il Papa, come per tutti i capi di Stato del Mondo. E c’è da ricordare una cosa molto importante e misteriosa, in fin dei conti: soprattutto negli ultimi anni di vita, Pannella aveva perso qualsiasi Potere, eppure è stato ricordato e ha conosciuto e gli hanno fatto onore gli uomini e le donne più in vista e più potenti del mondo. Mi sconvolge la potenza Pannella: la sua forza fisica, il suo essere un vulcano di idee politiche. Ovunque abbia lavorato, da Parigi a Bruxelles a Roma, ha avuto tratti di autentica originalità. Aveva voglia di vivere, di fidanzarsi con uomini e donne, di parlare politica, di diritti, di cultura.

Ma allora, perché un personaggio così carismatico e forte non ha lasciato traccia, nell’Italia di oggi? Meglio: se questo Paese ha avuto anche persone così vitali e politicamente attive e che tanto hanno ottenuto dalle loro battaglie, come è possibile che i primi provvedimenti di questo nuovo Governo italiano intendano mettere in discussione, se non in crisi, quei diritti conquistati da Pannella e parliamo di ritoccare la Legge sull’aborto, così come il nuovo provvedimento, tutto da rifare, sui rave party? Secondo lei, che ha curato il film su Pannella, come ci ritroviamo in un passato così lontano, oggi?

Difficilissimo da raccontare. Credo che Pannella avesse intuito presto che la tecnologia avrebbe trasformato la realtà: crea un Partito “transnazionale”, ma intorno non ha forze che lo seguano. Tanto meno, vicino a lui c’è una sinistra abbastanza forte a spalleggiarlo. Anche perché le grandi trasformazioni epocali fanno paura a tutti, ma davvero a tutti. Anche a sinistra, tutti hanno assistito al cambiamento, ma tutti sono stati incapaci di reagire alle trasformazioni epocali. Prendiamo le reazioni spropositate di questo Governo di fronte alle necessità umane di far sbarcare una nave di migranti in territorio italiano. La destra ha fatto la sua parte e ha negato il permesso di sbarco ed è nella sua natura fare questo genere di politiche. Ma la sinistra, cosa ha fatto davvero? Io penso una cosa, una cosa che davvero mi fa orrore: la sinistra ha paura di mettersi accanto ai poveri, cosa che non fa paura al Papa. La povertà fa paura. E fanno molta paura i continui flussi migratori di centinaia di persone che non hanno acqua da bere e cibo da mangiare. Non si sa come affrontare queste emergenze: la destra preferisce negarle con la forza; la sinistra, come si comporta? Non si sa. Ed è così che si arriva all’affermazione di chi una risposta, anche se sbagliata, te la dà e mette a tacere, anche per poco, la paura della povertà. La destra vince perché usa parole facili: la formula della destra, anche della destra francese intendo, del “rimandiamoli in Africa” è di un razzismo impressionante, che nega ogni principio di realtà. Perché se si va in Africa, come ho fatto recentemente, ci si accorge davvero che non c’è nulla da fare: quel “rimandiamoli in Africa” è patetico, oltre che insensato. In Africa, per le strade, non c’è nulla. E quando dico nulla, intendo dire che non ci sono fogne, marciapiedi, non c’è acqua… Come tutti, gli africani cercano benessere. Popolazioni depredate dall’Occidente, inevitabilmente, sono naturalmente spinte a migrare dove si sta meglio che a casa loro. Per altro, dati recenti testimoniano che anche noi italiani siamo tornati a essere quello che siamo stati sempre: migranti. L’Italia soffre non soltanto di essere un Pase di vecchi, ma i pochi giovani che abbiamo sono nuovi migranti, che cercano fuori quello che non c’è qui. Cosa vogliamo che facciano gli africani? Quello che facciamo noi, né più né meno: cerchiamo di vivere meglio di come viviamo. Se non affrontiamo questo, così come non affrontiamo lo scioglimento dei ghiacciai e i cambiamenti climatici, siamo dei pazzi. E in effetti, lo siamo, nel momento in cui prendiamo provvedimenti sui rave o proponiamo modifiche a una legge acquisita e intoccabile come quella sull’aborto. Una follia. D’altra parte, come ho detto, siamo un popolo di vecchi, ma il cambiamento deve partire dai giovani.

Che cos’è, oggi il Partito Radicale?

È un agglomerato. La formula del Partito Radicale non esiste più. C’è Emma Bonino che crea una lista con il proprio nome, ma non c’è più una comunità. La soluzione l’aveva capita Pannella: la soluzione non è dentro i partiti, ma dentro quei movimenti che abbiano una modalità chiara e concreta di orientamento. Vorrei che chi vede questo film capisca che personalmente, ciascuno di noi, debba prendere sulle proprie spalle una responsabilità. “Io sono Marco Pannella” dovrebbe essere il grido di battaglia di tutti gli spettatori di questo film perché cambi qualcosa.


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