Da lui non me lo sarei aspettato. Un ministro degli esteri, con l’importante esperienza precedente al Consiglio d’Europa, non si sarebbe dovuto permettere di chiamare ‘taxisti del mare’ le donne e gli uomini, tutti eroici, impegnati nel soccorso di centinaia di disperati in fuga verso una speranza. E’ vero che, prima di lui, ci aveva pensato il neoeletto Presidente del Senato, a precisare che l’aiuto va dato a chi ‘fugge dalle guerre’, ignorando chi è perseguitato, chi muore di fame e sete, chi affronta una traversata piena di incognite con famiglie, bambini, anziani, dopo aver subito le torture nei lager libici. Ma mentre quella frase potevi aspettartela da La Russa, da Tajani no. Come dire che – sviluppando quel giudizio – chi opera sulle ONG in mezzo al mare è praticamente in combutta con gli scafisti, e completa il loro miserevole lavoro. Nelle stesse ore il cancelliere tedesco Scholz non solo elogiava senza mezzi termini il lavoro svolto in mare dalle ONG, ma addirittura proponeva l’acquisto di una nave da utilizzare per le stesse finalità. E noi a litigare con la Francia!
Ora, tutto quanto sta accadendo con il governo Meloni sul fronte immigrazione viene individuato dai partiti d’opposizione come una vergogna al cospetto europeo. Ma perché non cominciamo a chiederci quali nefaste conseguenze potrà avere nel tempo al nostro interno, nella nostra Italia, chiamiamola come vogliamo (Paese, Nazione)? Il rischio è di assuefarsi pian piano alle parole usate dai nuovi gestori del potere. Vi ricordate il ‘bizzarri’, termine usato dalla presidente del Consiglio per definire i medici che, facendo il loro dovere con totale umanità, avevano fatto sbarcare quei poveretti ancora rinchiusi nella nave, come in carcere? Oppure il poco citato Salvini che, così come la Meloni, dice che quelli imbarcati sulle navi non sono naufraghi. E come vorreste chiamarli? Liberi viaggiatori, crocieristi? O addirittura, gli ultimi ancora imbarcati, definiti ‘carico residuale’? E cosa dire dei primi provvedimenti governativi, dall’attacco furioso al reddito di cittadinanza, ai promessi condoni, alla tassazione favorevole ai ricchi?
Se questo è il clima costruito dall’uso distorto delle parole con precise finalità ideologico-politiche, perché dobbiamo meravigliarci di Predappio, dei bambini in tenuta ‘balilla’, dei saluti romani, delle camicie nere? E ancora, cosa pensavamo che potesse succedere una volta sdoganato il partito principale erede del fascismo? Micol Incorvaia, in una trasmissione Mediaset, è libera di cantare ‘Faccetta Nera’; Enrico Montesano (sì, proprio lui, ahimè, capace un tempo di gag divertentissime) che indossa la maglietta della fascistissima XMas di Junio Valerio Borghese, orgogliosamente alleata dei nazisti.
Al di là dei provvedimenti che le due emittenti prenderanno, quel che deve preoccupare è che tutto questo sta avvenendo a meno di due mesi della vittoria della destra alle elezioni politiche. Cosa dobbiamo aspettarci, ancora, per cominciare a riflettere, a reagire, a riprendere in pugno la Costituzione? C’è un precedente significativo. Quando una star del mondo delle canzonette si rifiutò di cantare Bella Ciao ci furono timidi, quasi silenziosi commenti. La vera risposta l’hanno data i centomila partecipanti alla Marcia della Pace del 5 novembre a Roma: la liberazione non si tocca, anche respingendo rigurgiti che vorrebbero aggredirla.