I mondiali di calcio del Qatar devono essere gli ultimi, dove non siano considerati i diritti essenziali e l’impatto ambientale come criteri di scelta del paese ospitante. Anzi, questa condizione deve valere anche per le olimpiadi. Il fine deve essere l’affermazione di un concetto universale: non si può stendere il velo di una festa sportiva globale sulla sofferenza locale. L’obiezione primaria è intuibile: come si decide se uno stato rispetta i diritti umani?
Problema vero, ma non insormontabile. Basterebbe realizzare una batteria di pochi indicatori essenziali – nessuno vuole fare rivoluzioni – e misurarne il rispetto: lavorativi (trattamento salariale dei lavoratori impegnati), civili (rispetto di genere e minoranze sessuali), ambientali (impatto energetico nella costruzione e funzionamento degli impianti). Così, l’ambizione di ospitare manifestazioni internazionali potrebbe essere l’incentivo per alzare gli standard di alcuni diritti anche nelle nazioni in ritardo nel loro riconoscimento. Con la speranza che finito l’evento, questi semi di giustizia sociale e attenzione ambientale possano attecchire.
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