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Il retroterra delle morti sul lavoro. Intervista con Cesare Damiano

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Ho conosciuto Cesare Damiano, giovanissimo sindacalista della Fiom della leggendaria Quinta Lega Mirafiori, nella primavera del 1976 nel corso di un’inchiesta realizzata dal Gruppo di Ideazione e Produzione “Cronaca” della Rai. In quei giorni i fiancheggiatori delle Brigate rosse incendiavano, durante la notte, i capannoni della Fiat per testimoniare la loro presenza all’interno della fabbrica. Il sindacato si offrì per organizzare ronde notturne a difesa degli impianti, ma l’azienda si oppose temendo che si mettesse in discussione il principio di proprietà, memore del Consiglio di Gestione che affiancò il CdA della Fiat dopo la Liberazione. Da quegli anni in poi, Cesare ha dedicato la sua vita politica e professionale alla causa dei lavoratori. È stato, tra l’altro, Segretario generale aggiunto della Fiom-Cgil e Ministro del lavoro nel secondo Governo Prodi. Con questa intervista inizia la sua collaborazione con Articolo 21 soffermandosi, soprattutto, sulle morti sul lavoro, una tragedia senza nome e tuttavia trascurata dai grandi mezzi di comunicazione.

Articolo 21, grazie al nostro comune amico Raffaele Siniscalchi, diede vita, nel 2006, al “Canale del lavoro” allo scopo di indagare a fondo il groviglio di contraddizioni e di interessi che non consente di porre un argine significativo alle morti sul lavoro: tre al giorno, più o meno come quindici anni fa. Da allora abbiamo cercato di tenere accesi i riflettori su questo cono d’ombra. Che cosa impedisce d’invertire la rotta?

Quello degli incidenti sul lavoro è un tema che dovrebbe essere al centro dell’agenda di ogni Governo. Sono state fatte molte cose, sotto il profilo legislativo e contrattuale, ma i dati ci dicono che ogni anno in Italia spendiamo, giustamente, tre punti di Pil, circa 45 miliardi di euro, a sostegno degli infortunati sul lavoro, per le malattie professionali e per le famiglie di coloro che sono deceduti a causa di un infortunio. Se investissimo soltanto una parte di queste risorse in prevenzione avremmo imboccato la strada giusta. Sia chiaro, non siamo all’anno zero, e negli ultimi mesi del governo Draghi si era tornati a legiferare in materia. Il Decreto legge 146 convertito nella legge 215 del dicembre 2021 è una risposta alla recrudescenza del fenomeno degli infortuni e apporta modifiche al Testo Unico sulla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro che ho contributo a realizzare nel 2008. La legge n.215/2021 punta soprattutto sull’aspetto sanzionatorio e al potenziamento del ruolo dell’Ispettorato Nazionale del lavoro, che è senza dubbio importante quando si parla di misure di sicurezza sul lavoro, ma le sanzioni da sole non bastano. Nell’attuare il Testo unico, ad esempio, si sono perse molte occasioni: manca ancora l’attuazione della delega sul sistema di qualificazione delle imprese, un tema a mio avviso molto importante. Faccio un esempio: il superbonus edilizio ha fatto nascere molte imprese fantasma. Se queste imprese che nascono dal nulla e si definiscono edili solo perché si sono registrate alla Camera di Commercio, ma non hanno competenza nel settore, non hanno macchinari e dipendenti, iniziano a ristrutturare improvvisando, non possiamo lamentarci se poi aumentano morti e feriti. Stesso discorso per gli appalti: se una impresa non risponde ai requisiti di tutela e sicurezza sul lavoro non dovrebbe avere accesso alle gare. Cito un altro articolo del Testo Unico rimasto lettera morta: l’articolo 41 comma 4 bis. Un articolo che attende ormai da troppo tempo un intervento sulla disciplina della sorveglianza sanitaria speciale dei lavoratori. Per sintetizzare e rispondere alla tua domanda: ciò che non ha funzionato, come spesso accade, è la applicazione delle leggi. È mancato un sistema di controllo e prevenzione capillare ed è mancata la formazione su questi temi.  

Era il 1962 quando Dario Fo e Franca Rame furono allontanati dalla Rai per aver osato parlare degli incidenti sul lavoro. Di fatto, ancora oggi, i canali televisivi e i giornali, tranne lodevoli eccezioni, relegano le morti sul lavoro nella cronaca, destinata, per sua natura, a evaporare nel giro di pochi giorni. Rammarico, indignazione, sdegno e poi di nuovo il silenzio fino al prossimo incidente mortale, a condizione che sia eclatante. Osservando questa piaga da una prospettiva diversa, che cosa consiglieresti ai giornalisti?

Parlo prima di tutto da lettore assiduo dei quotidiani: occorrerebbero meno sensazionalismo e maggiore denuncia. Il ruolo dei giornalisti può essere fondamentale per creare una consapevolezza diffusa nell’opinione pubblica rispetto a questi temi. Giusto, sacrosanto, dare notizie delle tante, troppe morti sul lavoro, ma si dovrebbero raccontare di più le condizioni di lavoro di braccianti, edili, rider, medici e infermieri (questi ultimi in prima linea durante la pandemia) perché quasi sempre le cause delle morti sul lavoro e gli infortuni derivano da lavoro nero, sottopagato, inosservanza delle norme di sicurezza… Questa è una grande tragedia che si consuma ogni giorno e che ogni giorno andrebbe raccontata. Voi giornalisti, ripeto, avete un ruolo fondamentale perché è soltanto attraverso una sempre maggiore informazione e consapevolezza che si può incidere nelle realtà professionali. La stampa ha sempre avuto un ruolo di pungolo anche per la politica, di controllo dell’operato del legislatore e, dunque, se le politiche del lavoro sono inadeguate rispetto ai temi cruciali di cui stiamo parlando, più pressione si esercita più il tema diventa centrale.

Gli attori di questo dramma, sono numerosi: imprenditori, appaltatori e subappaltatori, ispettori dell’Inail, sindacalisti, operai. Ciò nonostante, quasi mai ascoltiamo le motivazioni, le parole dei protagonisti e di coloro che rischiano ogni giorno la vita andando al lavoro. Potendo contare sulla tua autorevolezza, noi vorremmo creare solidi collegamenti con queste realtà sfruttando la capillare articolazione regionale di Articolo 21.

Il vostro ruolo può essere fondamentale: dare voce a chi voce non ha per capire dove e come si dovrebbe intervenire. Ogni provvedimento legislativo è davvero efficace se è in grado di incidere nella realtà dove viene calato. Ma se quel mondo lo si osserva da lontano è complicato capire come davvero funziona. L’intermediazione sociale è fondamentale anche per questo e negli ultimi anni c’è chi ha provato a dimostrare che se ne poteva fare a meno. Un errore enorme. Sarebbe importante riuscire, dal punto di vista giornalistico, a spiegare cosa è oggi davvero il mondo del lavoro, raccontandolo da dentro, andando oltre statistiche e numeri.

Infine, una domanda sul nuovo Governo. Quali sono le aspettative riguardo alle relazioni sindacali e, in particolare, ai problemi della sicurezza e dell’ambiente di lavoro?

Penso che la promozione della concertazione e del dialogo sociale costituisca un presupposto imprescindibile. Gli indirizzi di prevenzione e vigilanza delle amministrazioni statali e regionali debbono essere individuati e condivisi con le parti sociali, realizzando un coordinamento delle azioni su tutto il territorio nazionale. Il neo ministro del Lavoro, Marina Calderone, inizia oggi pomeriggio il confronto con le parti sociali. Mi auguro che ci sia un’apertura reale alle richieste e un punto di sintesi efficace. Sul tavolo ci sono numerosi problemi che hanno a che vedere, direttamente o indirettamente, con la salute e la sicurezza sui luoghi di lavoro. Facciamo alcuni esempi: un sistema pensionistico flessibile che consenta a chi svolge lavori usuranti o gravosi di andare prima in pensione, riconosce il fatto che non tutti i lavori sono uguali. Impedire che si stia su una impalcatura dopo i 60 anni è cosa buona e giusta e sicuramente è un salvavita. Facciamo un secondo esempio: far diminuire il tasso di precarietà del lavoro puntando al lavoro stabile e di qualità, può far diminuire i fattori di rischio. Per il resto, occorre applicare le leggi esistenti e completare le deleghe del Decreto 81.


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