Il 5 novembre il popolo della pace sfilava per le strade di Roma in occasione della imponente manifestazione promossa da Europe for peace e chiedere a gran voce il cessate il fuoco, un negoziato di pace, la messa al bando delle armi nucleari, esprimere solidarietà al popolo ucraino e a tutte le vittime delle guerre. Una manifestazione corale, a cui hanno preso parte coloro che prediligono i ponti del dialogo, dell’accoglienza, della inclusione ai muri dell’odio, dei respingimenti, delle espulsioni, come ha ben scritto Giuseppe Giulietti su questa testata il 6 novembre.
Una manifestazione a cui hanno preso parte oltre centomila persone, espressione di quella maggioranza del Paese che da oltre nove mesi è convinta che, per scongiurare una ulteriore escalation militare e il rischio di una guerra nucleare, si debba porre fine al conflitto. Una moltitudine di persone che crede convintamente che l’unica via d’uscita sia un negoziato di pace.
Certo, tante e tanti di noi sono fermamente convinti che la diplomazia si sarebbe dovuta muovere ben prima, ma dopo tanti mesi di bombardamenti, morti e devastazioni il grido di pace si solleva ancora più forte e determinato.
Abbiamo sempre distinto nettamente l’aggressore dall’aggredito, ma non abbiamo mai condiviso la strategia dell’invio di armi come via di uscita. Non ci arrendiamo all’idea che la guerra sia l’unica opzione possibile, non lo è mai stato e non lo sarà mai.
L’Unione europea si fonda su principi di pace, è nata proprio con questo obiettivo e deve recuperare questo suo importante compito. Il Governo si deve fare promotore, all’interno dell’Unione europea e nell’intera comunità internazionale, di un vero percorso negoziale perché tacciano le armi. E, poiché siamo in una democrazia parlamentare che ha l’assoluta necessità di garantire una libera e trasparente informazione di cittadine e cittadini su quello che oggi è uno dei passaggi più sfidanti, impegnativi e insidiosi della nostra storia, l’esecutivo è tenuto a confrontarsi nelle aule parlamentari su come intende procedere, spiegare quale sia l’indirizzo politico sotteso alla strategia militare attualmente perseguita e, soprattutto, riferire, anche preventivamente, su un eventuale, ulteriore invio di armi, al fine di consentire a tutto il Parlamento, in un libero confronto democratico, di pronunciarsi su questi aspetti decisivi.
Ho molto apprezzato a suo tempo la scelta di alcuni parlamentari, pochi a dire il vero, di votare contro l’aumento al 2 per cento della spesa militare, decisione che noi della Alleanza Verdi Sinistra continuiamo a considerare inaccettabile, soprattutto in un momento critico come questo, anche sul piano del suo indirizzo strategico. Ora occorre portare il dibattito sulla necessità dei negoziati di pace dentro le aule parlamentari al fine di discutere non solo dell’inopportunità dell’invio di nuove armi, ma anche di quali siano le scelte politiche, le urgenze, le priorità da adottare. È necessario che nel Parlamento della Repubblica si discuta della guerra in Ucraina, delle scelte necessarie, di quello che accade.
Condivido quanto detto nell’aula di Montecitorio da Nicola Fratoianni: sono 9 mesi che quella guerra va avanti, 9 mesi che in Ucraina, nel teatro della guerra, si consuma una tragedia senza limiti, 9 mesi che l’unica strategia con cui buona parte del mondo di cui facciamo parte sul terreno della rete delle alleanze internazionali, affronta quella guerra soltanto con la lente dell’iniziativa militare. Il Parlamento deve discutere di quella scelta, della sua efficacia, della necessità di investire tutte le nostre forze per costruire una via d’uscita diplomatica. È arrivato il momento di farlo, di costruire nelle sedi della rappresentanza democratica, fuori dalla demagogia e dal confronto muscolare, una discussione, per abbandonare la via delle armi ed evitare un’ulteriore escalation militare.
Non sarà facile, ma sentiamo il dovere del confronto, della ricerca di soluzioni non rassegnate alla violenza inevitabile della guerra e, finalmente, di un futuro di pace. Da tempo proponiamo l’idea di una Sardegna terra di pace e di amicizia fra i popoli. Proprio noi che non possiamo più tollerare passivamente la permanenza sull’isola di installazioni militari finalizzate a eventi di guerra vogliamo essere promotori di un immediato cessate il fuoco, della cancellazione di ogni forma di asservimento territoriale e di esercitazione militare a scopo bellico. La pace è l’unica condizione in cui è possibile costruire e sviluppare la convivenza civile, la crescita sociale, culturale ed economica di territori e comunità. È tempo di rimettere la pace in cima all’agenda politica.