Dalla parte di lei/ Ursula Hirschmann. Una vita in viaggio oltre i confini

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Quando, ormai più di un anno fa, abbiamo dato vita a questa rubrica avevamo sottolineato con forza che uno degli obiettivi era di far uscire dall’ombra, di far conoscere figure di donne che negli anni o nei secoli erano state lasciate ai margini, spesso ignorate dalla storiografia ufficiale. La storia sociale e culturale, il mondo delle professioni hanno oscurato la presenza delle donne, facendole scomparire dalla scena del mondo. Non una assenza, bensì una vera e propria espulsione. Lo evidenzia, fin dalla provocatoria formulazione del titolo, il saggio di Rosalind Miles, Chi ha cucinato l’ultima cena? Storia femminile del mondo (Roma, Elliot Edizioni, 2009), per sottolineare come le donne non siano state incluse nella storia umana a nessun livello, eppure c’erano e assolvevano a compiti rilevanti, anzi essenziali. Una condizione che si prefigura già nella «suonatrice di flauto» del Simposio platonico, congedata al suo primo apparire in scena e invitata ad andare «a suonare per sé o, se vuole, per le donne di casa», destinata a rimanere senza nome, scomparendo agli occhi del lettore, «cancellata dalla storia». La giovane suonatrice, viene invitata ad allontanarsi dalla stanza dove un gruppo eletto di uomini si riunisce per riflettere sull’Amore: scompare dalla scena del dialogo senza lasciare traccia di sé, facendosi emblema di una esclusione che ha relegato nell’oscurità dei secoli i volti e i nomi di tante donne. Solo a partire dagli ultimi decenni (ultimi 40 anni) «le donne sono le abitatrici del ’900», come scrive Alessandra Bocchetti, sono rientrate in scena e hanno preso la parola per parlare con voce propria.  Oggi, a più di trent’anni dalla scomparsa, dedichiamo lo spazio della nostra rubrica a una delle «madri fondatrici dell’Europa», Ursula Hirschmann.

Una donna che ha partecipato attivamente alla fase progettuale nonché alla stesura, assieme a Eugenio Colorni, Ernesto Rossi e Altiero Spinelli, del Manifesto per un’Europa libera e unita, passato alla storia come Manifesto di Ventotene. Una donna che, avendo aderito con convinzione alla causa europeista e federalista, ha contribuito insieme ad altre donne a far uscire dall’isola di Ventotene il prezioso documento, nascosto e portato via in modo rocambolesco, e poi ha lavorato attivamente alla sua diffusione nel continente, grazie a tutta una rete “clandestina” che aveva saputo intessere. Va a lei riconosciuto il merito della sua diffusione in Europa, facendolo diventare lo strumento della Resistenza antifascista. Sua anche la prima traduzione in lingua  tedesca. Grazie al suo impegno, alla sua determinazione e alle sue intuizioni lungimiranti, si è costituito a Milano nell’agosto 1943 il MFE (Movimento Federalista Europeo). Negli stessi anni, la troviamo anche attiva collaboratrice nella redazione e nella diffusione del primo numero del giornale clandestino l’«Unità Europea».

Così la ricorda Renata Colorni, la figlia avuta da Eugenio Colorni:

La politica, oltre ad Altiero Spinelli, è stata il grande amore della sua vita. Tutto ciò che le importava, fino alla fine dei suoi giorni, era leggere di politica. E proprio le donne nella politica hanno contrassegnato il suo impegno negli anni. Mi ha insegnato l’indipendenza, la libertà e l’importanza di un lavoro.

Altiero Spinelli, ricordando il lungo impegno della sua vita per la causa europeista, la definì «un’europea della prima ora». E la studiosa Silvana Boccanfuso nel tratteggiarne il profilo scrisse: Ursula rappresenta una figura potente di militante politica che, nel contempo, si spende anche per organizzare una vita familiare complessa (…). La sua freschezza, la sua decisione, la sua dedizione sono state però sempre quelle della giovane berlinese che decise, nel luglio 1933, che l’Europa era la sua casa, e di Europa, da allora, si nutrì.

Il suo pensiero, affidato in parte alle memorie autobiografiche pubblicate postume, Noi senzapatria  (Bologna, Il Mulino, 1993), ritorna prepotentemente d’attualità in questa Europa attraversata da sovranismi di diversa natura, da insidie nazionaliste, e addirittura da una guerra devastante. Abbiamo affidato il profilo di Ursula Hirschmann alla penna di Marcella Filippa.

Marcella Filippa, storica, saggista, traduttrice, giornalista pubblicista, vincitrice di premi letterari; ha diretto mostre, realizzato sceneggiature per documentari, coordinato progetti europei, è consulente di case editrici, responsabile di collane editoriali sulla storia delle donne e sul pensiero femminile europeo. Ha pubblicato numerosi libri di storia del Novecento, tra cui la biografia  Ursula Hirschman: come in una giostra (Fano, Aras edizioni, 2021). (A. C.)

 

Ursula Hirschmann Una vita in viaggio oltre i confini

La vita di Ursula Hirschmann, le sue scelte, il suo essere in viaggio sempre, realmente e simbolicamente, ci offre nel nostro oggi tanti spunti di riflessioni e ci aiuta a districarci nel mare magnum del tempo da noi abitato.  Ursula Hirschmann nasce a Berlino il 2 settembre 1913, in una famiglia ebrea non praticante. Il padre Carl è medico e la madre Marcuse discende da una famiglia di banchieri di Francoforte.[i]  Negli anni matura un forte conflitto con la madre, una sorta di alter ego, conflitto che non cesserà nel tempo, mai placato, e acquisterà toni molto dolorosi. Una madre ritenuta troppo esuberante, libertina, imperiosa, piena di pregiudizi e luoghi comuni. Il rapporto col padre sarà molto forte, anche se con la madre il rapporto si può definire oppositivo ma passionale.  Ursula e il fratello Otto Albert, negli anni della giovinezza, maturano una forte identità politica e successivamente di opposizione alla violenta ascesa del nazismo. Costretti a lasciare la città nel 1933, giungeranno a Parigi, luogo per eccellenza dei fuoriusciti che dolorosamente lasciano la propria terra,[ii] talvolta per non tornarvi mai più. Tra i tanti incontri che lei avrà segnalo quello con Renzo Giua, tra i più forti e significativi. Arrestato a diciotto anni per attività antifascista, rilasciato dopo centotto giorni lascerà l’Italia alla volta della Francia, dove aderirà al movimento ‘Giustizia e Libertà’. Critico severo, spirito libero, generoso, incarna la figura di un giovane capace di essere dissacrante e provocatore, offrendo a Ursula un’attitudine critica nei confronti del mondo dei fuoriusciti, spesso chiuso e diffidente, financo ostile. Morirà combattendo in Spagna, volontario della colonna anarchica Buenaventura Durruti, la stessa nella quale si arruola Simone Weil. Sempre a Parigi, Ursula rivede il giovane filosofo ebreo Eugenio Colorni, conosciuto a suo tempo a Berlino, incontro dal quale scaturirà una storia d’amore coinvolgente e problematica, dalla quale nasceranno tre figlie, in circostanze burrascose. Si trasferisce a Trieste con Eugenio, che presto, dopo il loro matrimonio nel 1935, verrà incarcerato per la sua attività antifascista, e poi confinato, in quanto soggetto fortemente pericoloso, a Ventotene nel 1938. E decide di seguirlo al confino. È quella che chiamo l’isola del vento, a forgiare e rafforzare ulteriormente l’identità poliedrica di Ursula, che segue il marito con le bambine nate nel frattempo, Silvia, Renata e Eva, assumendo un ruolo importante nel dibattito tra confinati e nella stesura del Manifesto di Ventotene. Una rappresentazione parziale e carica di luoghi comuni ci ha trasmesso  una versione del contributo al celebre manifesto esclusivamente al maschile –  Eugenio Colorni, Altiero Spinelli e Ernesto Rossi sarebbero stati gli unici autori – mentre ci fu un contributo intellettuale di elaborazione e operativo di donne come Ursula, Ada Rossi, moglie di Ernesto, e le sorelle di Spinelli, Gigliola e Fiorella. Ursula in quegli anni è ancora in viaggio, arriva nell’isola, la lascia per i parti e i problemi di salute, e per sostenere gli esami presso la facoltà di Filologia moderna a Venezia, dove si laureerà col massimo dei voti e la lode il 30 ottobre 1939.  María Zambrano ci offre, nelle sue luminose riflessioni, elementi per comprendere meglio la Hirschmann, ovvero la sua capacità di rinascere, dis-nascere, come scrive la filosofa spagnola, anch’ella in perenne esilio, di ricostruire il proprio essere con lo stupore di un bambino, rimettendoci al mondo un’altra volta, ogni volta che ne abbiamo bisogno e ne sentiamo il bisogno. Senza la sua ripetizione non ci può essere salvezza dal negativo della storia che ci opprime. A Ventotene, Ursula farà l’incontro con l’uomo che la accompagnerà, dopo la tragica morte di Colorni, e del quale allora riconoscerà il potente sentimento, per il resto della sua travagliata esistenza, e dal cui rapporto nasceranno altre tre figlie (Diana, Barbara e Sara): Altiero Spinelli. La maternità rappresenta per Ursula una forte connotazione identitaria e in qualche modo, come uso dire, ci spariglia le carte, rispetto alle donne di quella generazione che si impegnano pubblicamente e attivamente nella società. Molte donne del suo tempo son costrette a scegliere, talvolta anche dolorosamente, tra vita privata e vita pubblica, tra affetti e impegno. Ursula sfida il suo tempo, scegliendo lucidamente di coniugare entrambi gli aspetti, non rinunciando, pur con grande fatica, a essere madre. Sto leggendo in questi giorni il bel libro di Maria Rosa Cutrufelli, Maria Giudice,[iii] un’altra donna interessante per il suo originale percorso biografico, anche lei madre di ben nove figli, in una vita tumultuosa e impegnata nella lotta per i diritti e la libertà, rompendo ancora una volta la rigida separazione tra vita pubblica e privata, nella sottrazione di una vita di affettività esuberante, proprio come in parte possiamo affermare lo sia stata per Ursula. Cutrufelli scrive che per Maria Giudice la maternità sembra essere “un desiderio senza limiti, che si ripete, si rinnova e non si acquieta”. Instancabile organizzatrice, tra le figure che hanno preparato l’incontro internazionale fondante il movimento federalista a Parigi in piena guerra, che vede la partecipazione tra gli altri di Albert Camus, Emmanuel Mounier, George Orwell. Altiero Spinelli scriverà a tal proposito nelle sue memorie: “Sbalordito guardavo Ursula, chiedendomi in quale pasticcio ci aveva messi. (…) Ma Ursula era tranquilla, sicura di sé, delle sue capacità animatrici ed organizzative, della sua tenacia, della sua antica conoscenza di Parigi”. Il suo impegno a favore delle donne, la porta a costituire nel 1975 a Bruxelles, Femmes pour l’Europe, poiché ritiene che ci sia bisogno della forza e del coraggio delle donne, soprattutto di quelle più giovani, per affermare il tortuoso cammino dell’emancipazione femminile. Ursula afferma la necessità di influenzare la società e l’Europa, apportando “una dimensione umana secondo il nostro modo di pensare”, consapevole che tanti ostacoli si incontreranno sul cammino della costruzione di una nuova coscienza politica. Nel 1987 si iscrive al Partito radicale, riconoscendolo più affine alla sua visione di tutela dei diritti civili.

Ursula Hirschmann, una donna in continuo erramento reale e esistenziale, una déraciné, come avrà a definirsi:

Non sono italiana, benché abbia figli italiani, non sono tedesca, benché la Germania una volta fosse la mia patria. E non sono nemmeno ebrea, benché sia per puro caso se non sono stata arrestata e poi bruciata in uno di quei forni di qualche campo di sterminio. (…) Noi déracinés dell’Europa che abbiamo ‘cambiato più volte di frontiera che di scarpe’ – come dice Brecht, questo re dei déracinés – anche noi non abbiamo altro da perdere che le nostre catene.

E pertanto aggiungerà in un passaggio successivo, non possiamo che dirci Europei.

L’erramento è la condizione esistenziale che le appartiene. Una condizione che la rende una figura di grande attualità oggi, in un’Europa ferita, che talvolta non sa rispondere adeguatamente e pienamente alle sfide e agli urti della storia. Una condizione che sia Zambrano che Hannah Arendt hanno vissuto sulla loro pelle e sulla quale hanno riflettuto, offrendoci spunti interessanti che possiamo ancor oggi portare alla nostra riflessione, in un confronto che trova  somiglianze e riconosce le inevitabili differenze rispetto al passato. Ursula Hirschmann, una donna che è vissuta, per parafrasare il titolo del mio libro su di lei, come in una giostra, salendo e scendendo, girando vorticosamente e talvolta in leggerezza e delicatezza, una giostra dai colori tenuti e un po’ antica,  attraversando confini e frontiere, città come Berlino, Parigi, Trieste, Melfi, Milano, Bellinzona, Roma, Sabaudia, Bruxelles, e tanti altri luoghi visitati, vissuti, abitati e talvolta lasciati dolorosamente. A Roma, nel giardino dei Giusti a Villa Pamphili, un albero è stato piantato in sua memoria, accanto ad altri che ricordano l’ebrea olandese Etty Hillesum, morta ad Auschwitz, Bronislaw Geremek, uomo politico polacco dirigente di Solidarność, Alexander Langer, pacifista e ambientalista italiano, Antonio Megalizzi, giovane reporter e convinto europeista ucciso in un attentato terroristico a Strasburgo, la danese Karen Jeppe che salvò molti armeni. In buona compagnia di figure uniche e che ci possono aiutare in questo tempo difficile, difficile davvero, nel quale districarci per trovare speranza di un futuro nel quale la lezione di Ursula e di tanti altri uomini e donne come lei, che hanno creduto in un’Europa unita, ci aiuta a trovare speranza e conforto e una visione. Una Europa libera e pacificata, come ebbero a suo tempo a scrivere.

In un passaggio conclusivo del mio libro ho provato a definirla, e man mano aggiungevo forme e appartenenze che rendevano la sua identità multipla, complessa, sfaccettata e nello stesso tempo le riconoscevano una unicità nel secolo nel quale ha vissuto:

Ursula donna, madre, sorella, moglie, amica, ebrea, senza patria, poliglotta, europeista, minuta ma forte, amante della musica, in viaggio sempre, intelligente, colta, autonoma, fiera, tenace animatrice, musa ispiratrice, un po’ brusca a volte, spregiudicata, coraggiosa, berlinese di nascita ma cittadina del mondo, dall’apparente timidezza e incertezza, dalla eccezionale capacità di decisione, dai capelli castani mossi dal vento dell’isola, sfidante, autentica, fragile, dalla pelle diafana, malata fino a perdere la parola, capace di rinascere tante volte, tessitrice instancabile, dimenticata per troppo tempo, vissuta in instancabili equilibri, tante volte affaticata e stanca, sognatrice, l’Europa la sua casa.

Ursula ci ha lasciato in un freddo gennaio del 1991. È stata seppellita nel cimitero acattolico di Roma. Abbiamo bisogno oggi più che mai di essere ispirate e ispirati da figure come lei, e rileggere il  suo percorso esistenziale, tutto intero, fino alla malattia degli ultimi anni che la colpisce e alla ripresa grazie al valore terapeutico della musica. Per un futuro che non dimentica il passato, e da esso trae ispirazione.

 

[i] Per un approfondimento rimando al mio libro, Ursula Hirschmann. Come in una giostra, Fano, Aras edizioni, 2021; e alla voce da me curata Ursula Hirschmann, in enciclopediadelledonne.it; e inoltre Ursula Hirschmann, Noi senza patria, Bologna, il Mulino, 1993.

[ii] Cfr. Marcella Filippa, Vite in fuga, in Enrico Miletto, Stefano Tallia (a cura di), Vite sospese. Profughi, rifugiati e richiedenti asilo dal Novecento a oggi, Milano, FrancoAngeli, 2021, pp. 17-37.

[iii] Maria Rosa Cutrufelli, Maria Giudice, Roma, Giulio Perrone editore, 2022.

 


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