KINSHASA – Una grande tenda nel cortile della prigione militare di “La Gombe”, a Kinshasa. Cinque file di sedie per ospitare chi assiste all’udienza pubblica del processo tra galline e capre che razzolano intorno: questo lo scenario in cui si sta svolgendo il processo per l’uccisione dell’ambasciatore Luca Attanasio, del carabiniere Vittorio Iacovacci e dell’autista Mustapha Milambo nella Repubblica democratica del Congo.
Un dibattimento entrato nel vivo con una super testimone che ha conferma le accuse nei confronti degli imputati.
Il procuratore, il tenente colonnello Joseph Malikidogo, ha esposto alla Corte di La Gombe, che sta svolgendo le udienze sotto una tenda nel carcere militare di Ndolo, la testimonianza della moglie di Kiboko Bahati.
La donna accusa il marito di essere un criminale specializzato in sequestri, di aver preso parte all’agguato e di essere il braccio destro del presunto capo del gruppo armato, Marc Prince Nshimimana, colui che avrebbe sparato al nostro diplomatico e al carabiniere.
Bahati, che nella scorsa udienza aveva lanciato accuse nei confronti dell’esercito e del governo congolese, sostenendo che fossero loro i veri responsabili dell’attacco al convoglio del Wfp, continua a negare ogni imputazione.
L’avvocato dell’uomo, Joseph Azati, ha ribattuto alla pubblica accusa dichiarando che la donna mente in quanto amante del colonnello che aveva effettuato gli arresti degli imputati e che avrebbe su sua indicazione incastrato il marito e gli altri imputati, tra cui Amidu Sembinja Babu, che oggi ha reso dichiarazioni spontanee per contestare le accuse che gli vengono mosse.
Il giovane congolese, appena 18enne, ha balbettato in swahili la sua innocenza come gli altri accusati che hanno già testimoniato davanti al tribunale militare.
Babu ha anche ritrattato la confessione in cui aveva additato Marc Prince Shimiyimana come colui che aveva “sparato all’ambasciatore”, sostenendo che non sapeva nulla della morte del diplomatico italiano prima di essere arrestato e di aver firmato il verbale delle dichiarazioni, letto durante l’udienza, dopo essere stato terribilmente torturato.
“Non so né leggere né scrivere, non so cosa avevano scritto, ho firmato con la mia impronta” ha concluso Babu con voce rotta dall’emozione.
Babu e Bahati, insieme ad altri quattro giovani e Marc Prince Shimiyimana, detto Aspirant e giudicato in contumacia, sono apparsi la prima volta davanti al tribunale militare della guarnigione Kinshasa-Gombe, nel carcere militare di Ndolo dove sono detenuti, il 12 ottobre scorso.
Tutti sono accusati di “omicidio, associazione a delinquere, detenzione illegale di armi e munizioni da guerra” in un processo fortemente voluto dalle autorità congolesi e che vede il ministero degli Esteri italiano costituito come parte civile. Scelta condivisa con la famiglia di Attanasio.
Durante le udienze precedenti, anche gli altri imputati, Issa Seba Nyani e Bahati Antoine Kiboko, avevano contestato tutte le accuse a loro carico, sostenendo che le confessioni iniziali erano state estorte sotto tortura.
“I nostri clienti sono innocenti, senza alcun’ombra di dubbio” ha detto in udienza uno degli avvocati, Eddy Kapepula Kanya “e non è mai stata trovata l’arma del delitto” ha aggiunto.
“Cosa vuole? L’ambasciatore non è morto di malattia, ma colpito da proiettili di arma da fuoco”, ha risposto ironico il procuratore militare.
Un ultimo imputato, Murwanashaka Mushahara André, deve ancora essere interrogato. La prossima udienza, fissata per mercoledì 23 novembre, sarà l’ultima prima della sentenza.
La condanna per i sei imputati dell’omicidio di Attanasio, Iacovacci e Milambo, caduti in un’imboscata vicino al Parco Nazionale di Virunga, nel Nord Kivu, provincia orientale congolese tormentata da quasi 30 anni di violenza dei gruppi armati., nonostante non poche contraddizioni e lacune processuali appare scontato.