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Censura, minacce, disintermediazione: i mille modi per attentare alla libertà di stampa

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Libri messi all’indice, censura preventiva, tasse sulle pubblicazioni, arresti. E poi silenzio sull’omosessualità, multe per chi sgarra, squalificazione del lavoro giornalistico, turbo-disintermediazione e, infine, le minacce. Sembra che l’umanità non riesca a fare a meno di comprimere la libertà d’espressione e, per proprietà transitiva, la libertà di stampa.

Se n’è parlato mercoledì scorso al Collegio Ghislieri di Pavia con un tour de force di 7 ore – sì, avete letto bene, sette ore – dal titolo “Sotto tiro. La libertà di stampa tra passato e presente”. D’altra parte occorreva fare un lungo percorso: dall’Epoca dei Lumi, che secondo il professor Tortarolo non è sempre stata così luminosa con chi andava controcorrente, fino ai bavagli invisibili di cui ha parlato Mario Calabresi.

Cambiano i regimi, le “carte” che codificano i diritti, ma sembra essere una costante quella di sacrificare la libertà di pensiero e la sua espressione. Di conseguenza si crea una spinta uguale e contraria ad allargare le maglie di questi diritti. Un tiro alla fune che non sempre finisce bene.

Per quanto riguarda Articolo21, che ha partecipato all’ideazione di questo appuntamento, è stato come giocare in casa: il nome stesso dell’associazione chiarisce che è nata per difendere quelle libertà. Ma il gesto solidale da solo non basta. Ancora Mario Calabresi ha spiegato con due esempi internazionali quali sono i pericoli contemporanei: da una parte il ricatto economico che i governi possono scatenare contro i media non allineati, come insegna il caso della Premio Nobel per la Pace Maria Ressa. Il secondo esempio è Obama, sissignori, il campione dei diritti, ma anche il piacione che non ha mai risposto alle domande scomode cavandosela con un sorriso. “Se se lo poteva permettere Obama perché Trump avrebbe dovuto comportarsi diversamente?” ha concluso il direttore di Chora-Media. L’altra minaccia moderna è stata sostanziata da Paolo Berizzi: per arrivare all’Aula Goldoniana dove si teneva il convegno dovevi superare un muro di poliziotti, chiamati lì ad evitare che altri fascisti e nazisti impedissero al giornalista di Repubblica di parlare.

L’iniziativa – ricordo – si intitolava “Sotto tiro” e faceva una certa impressione vedere seduta in prima fila Elisa Signori, che oltre ad essere un’apprezzata storica è la mamma di Andy Rocchelli, il fotografo italiano ucciso in Ucraina insieme al giornalista e attivista per i diritti umani Andrei Mironov. Un caso che insieme a quelli di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin raccontano drammaticamente cosa significa far tacere chi vuole documentare le guerre e il malaffare.

Quelle due storie, non a caso, raccontano anche che quando c’è la mano di miliziani, criminali e apparati dello Stato la verità diventa impossibile da raggiungere. Per un problema procedurale l’imputato del caso Rocchelli-Mironov è libero in Ucraina, mentre per il caso Alpi-Hrovatin c’è stato per anni un capro espiatorio in carcere. I due temi – gli attacchi alla libertà di stampa e gli agguati ai giornalisti – si tengono: lo ha detto il Presidente della Federazione Nazionale della Stampa Beppe Giulietti che ha proposto di essere ancora una volta “scorta mediatica” dei familiari delle vittime senza giustizia, con l’impegno di un’iniziativa in comune, che dia voce a chi chiede, inascoltato, giustizia.


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