Un corteo di circa 150.000 persone ha attraversato ieri le strade di Roma, per la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, una manifestazione indetta da Non una di meno contro la violenza maschile sulle donne, che in Italia coinvolge più di 7 milioni di donne e ragazze (dati ISTAT), ma anche contro il nuovo governo di destra dando così una connotazione fortemente politica e di protesta. Nonostante le ridicole stime ufficiali, che riducono fortemente il numero di queste manifestazioni come queste, la gente c’era ed era tanta: moltissimi le giovani donne ma anche tanti uomini giovani e non. Performance, balli, slogan contro la violenza, soprattutto quella domestica, che ha fatto tintinnare le chiavi di casa durante il corteo a simboleggiare che spesso e volentieri l’offender è dentro casa tua.
Chi c’era in piazza
Tra le associazioni presenti molti centri antiviolenza tra cui D.i.Re., la rete nazionale dei centri antiviolenza, Differenza Donna, la Casa delle donne di Bologna, ma anche la Casa Internazionale delle Donne di Roma, associazioni e comitati da tutta Italia, e numerosi collettivi studenteschi. Una presenza importante è stata quella di ragazze e ragazzi iraniani con una loro performance per ricordare quello che succede in Iran dove nelle manifestazioni sono stati arrestati già più di 18.000 persone, dove più di 50 minorenni sono stati uccisi e dove le ragazze vengono sistematicamente stuprate come rappresaglia contro le proteste.
Le critiche feroci da destra
Una manifestazione che ha scatenato feroci critiche da destra che ha tacciato come “violenta” una manifestazione che in realtà è sempre stata contro la violenza sulle donne e questo perché le critiche alle “donne di governo” come Meloni e Roccella non sono stati graditi. Una mossa pericolosa quanto mai esplicativa, se si pensa che nelle ore in cui Meloni, nel suo discorso alla camera, parlava del diritto al dissenso, la polizia prendeva a manganellate gli studenti che protestavano contro un convegno entrando dentro l’Università, rincorrendo e fermando ragazzi buttati per terra nei corridoi di scienze politica, con il benestare del nuovo ministro degli interni Piantedosi.
Senza compromessi
Striscioni come “Meloni vattene” o slogan come “Roccella non ci rappresenti” hanno sfilato perché questa destra estrema con le femministe non è mai andata d’accordo e mai c’andrà (escluso uno sparuto gruppo di “collaboratrici” pronte a vendere il cuore pur di fare “affari” con una destra pericolosa e fascista che sicuramente chiederà più di qualcosa in cambio). Femministe che hanno dato non poco fastidio a questa destra, quando protestava contro i manifesti giganteschi dei pro-life in giro per Roma, quando si sono opposte al modello di “famiglia tradizionale” di pilloniana memoria, quando hanno protestato contro i soldi dati alle associazioni antiabortiste invece di sostenere l’ormai svuotato diritto all’aborto.
Le “ultrafemministe”
Ma le “ultra-femministe”, come ha scritto Il Giornale chiamandolo “femminismo di convenienza”, sono state spesso e volentieri criticate non solo da questa destra estrema e faziosa, ma dalla premier Meloni in persona che spesso si chiedeva, solitamente davanti a un femminicidio di una ragazza straniera o davanti a un offender immigrato, “dove stanno le femministe?”. Ebbene presidente, eccole le femministe, sono qui e sono in 150mila e come sempre sono accanto a tutte le donne in tutto il mondo: per quelle che ce l’hanno fatta e quelle che non ce l’hanno fatta, quelle che potrebbero non farcela e quelle che non riescono a uscirne perché non protette da quello Stato che lei rappresenta. E sono le stesse femministe che fecero togliere i giganteschi manifesti antiabortisti che tappezzavano Roma diverso tempo fa, che lei invece adorava, e su cui lei si arrabbiò moltissimo dicendo che “queste femministe” non avevano alzato un dito per la morte di Pamela Mastropietro, che lei ricorda come un femminicidio solo perché gli autori sono immigrati, affermando quindi una falsità abnorme.
Attenzione ai numeri quando parlate
Ma è il Secolo d’Italia a chiarire bene che fine farà la violenza maschile sulle donne con questo governo che già si lecca i baffi pronto a spazzare via i capisaldi della Convenzione di Istanbul e il concetto stesso di femminicidio: “L’unica violenza che condannano e che sanno come contrastare – scrive Hoara Borselli sul Secolo – è quella che l’uomo esercita sulla donna, ignorando che anche le donne posso essere violente, come gli uomini, verso altre donne”, oppure “La violenza non si quantifica in base al sesso di chi la esercita”, o ancora “Invece di sfilare nelle piazze e rivendicare diritti per le donne, quello per cui l’essere femminista acquisisce un senso, hanno violentemente insultato il Premier Giorgia Meloni”. Detto in due parole: adesso vi diciamo noi cosa è il femminismo e come si pratica, ma soprattutto vi diciamo cosa è la violenza di genere, equiparando pericolosamente la violenza agita dagli uomini a quella agita dalle donne, senza sapere che la prima è un fenomeno che coinvolge il 90% della violenza di genere mentre la seconda è un’eccezione che coinvolge una piccolissima parte, e che anche la violenza sugli uomini è per lo più esercitata da altri uomini (85%). Una teoria senza numeri che spazzerebbe via tutto, compresa la Convenzione di Istanbul, e che è stata già avanzata da Vox in Spagna (cari amici di Meloni) chiedendo più volte il ritiro dalla Convenzione, e in generale portata avanti da tutta l’estrema destra in Europa per affossare completamente la Convenzione di Istanbul (già poco applicata), negando le responsabilità del fattore culturale di genere, e salvaguardando così la “famiglia tradizionale” dove invece la violenza ha la sua più alta concentrazione con mariti, ex mariti e partner (maschi) che esercitano maltrattamenti e abusi su mogli e figli in maniera massiccia. Una bomba se pensiamo che già nei tribunali viene applicato questo principio in maniera indiscriminata, causando una seconda violenza sulle donne e sui bambini che denunciano maltrattamenti e abusi non creduti, e che farebbe deflagrare anche le conclusioni e le raccomandazioni della recente Commissione d’Inchiesta sul femminicidio al senato presieduta da Valeria Valente, buttando dalla finestra tutto il lavoro fatto.
C’è sempre una scusa pronta per reprimere il dissenso
Ma la scusa è troppo ghiotta per marginalizzare il dissenso politico, trasformandolo in “violenza”, di chi non si fida delle belle parole di Meloni e Roccella per il 25 novembre, parole che non hanno dimenticato di citare le donne uccise “per motivi religiosi e culturali” dimenticando tutte quelle che invece sono state ammazzate dai loro mariti bianchi e italiani, vittime di quella violenza domestica che è l’80% della violenza totale. Ma c’è dell’altro perché quando gli attacchi pubblici e sessisti, spesso crudeli e violenti, venivano da destra contro Laura Boldrini, all’epoca presidente della camera, tutti zitti. Mentre oggi “l’odio e la violenza nei confronti di Giorgia Meloni” che ha “vinto libere e democratiche elezioni”, come ha ricordato ieri la ministra Santanché, alza una altissima ondata di indignazione. Un’indignazione che però è a doppio taglio, perché screditare il corteo di Non una di meno perché è contro Giorgia Meloni, con toni che il movimento ha riservato spesso anche al Pd senza che questo si sia risentito così tanto, non spengerà la forza di questo movimento ma al contrario lo accenderà, anche se nel vostro corazon sappiamo quanto sia forte la tentazione di prendere a manganellate anche loro. Per non parlare dei Pro-vita che si sono ritrovati “imbrattata” la sede con scritto “aborto libero” e che hanno per questo incolpato le solite “femministe” sfoderando ancora una volta la parola “violenza” senza né essere sicuri degli autori e senza che qualcuno sia stato aggredito, senza mettere in conto i ripetuti attacchi che i pro-vita fanno nei confronti delle donne ogni giorno negando a loro un diritto: quello della tutela alla loro salute e alla loro libertà di scelta, quindi alla vita.
Lo spartiacque del femminismo
Quello che si va chiaramente a delineare è che con questo governo ci sarà uno spartiacque preciso: un femminismo “cattivo” che mostra il suo dissenso in piazza rifiutando un governo di estrema destra politicamente ben definito, e un il femminismo “buono” che sostiene quanto sia bello che una donna sia presidente del consiglio (anche se la politica di Fratelli d’Italia è stata da sempre in attacco verso i diritti delle donne), e che è pronto già a collaborare con la ministra Roccella (antiabortista di ferro che si arrampica sugli specchi e rispolvera il suo passato femminista per addolcire la pillola), dimenticando completamente quello che queste donne hanno detto e fatto nella loro recente vita politica. Uno spartiacque che potrebbe anche portare alla repressione pubblica del femminismo “cattivo” dato che la macchina del fango è già in azione con parole come “violente”, “brutali”.
“Ti mangio il cuore”
Per non parlare dello scandaloso “Ti mangio il cuore” che ha fatto saltare sulla sedia gli amici di Meloni come se avessero uno spillone nel didietro e come se questo fosse lo slogan di testa della manifestazione: una scritta su uno striscione e un minuscolo volantino di alcune donne preso in prestito dal film di Pippo Mezzapesa, con Elodie e Francesco Patanè dal titolo “Ti mangio il cuore” appunto (un remake all’italiana di Romeo e Giulietta), che è stato preso come una minaccia personale e che ha addirittura visto l’intervento della Digos. Quando invece una sagoma con la faccia di Laura Boldrini è stata bruciata in piazza, oppure quando l’attuale vicepremier Salvini del governo Meloni ha portato una enorme bambola gonfiabile sul palco dicendo che era Boldrini, o ancora il sindaco della Lega Camiciottoli le ha augurato lo stupro pubblicamente, o anche quando le è stata mandata una pallottola in una busta a casa, nessuno di loro ha alzato un dito né l’ombra di uno sdegno, neanche una smorfia hanno fatto: chissà perché.
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L’articolo è stato pubblicato il 27 novembre su DonnexDiritti Network
(le foto sono a cura del team di DXD)