Lula da Silva ha vinto ed è un trionfo storico per il Brasile e per lui stesso che conclude una vicenda politica e personale senza precedenti in America Latina e nel mondo intero. Da semplice operaio metalmeccanico a eletto per la terza volta alla massima magistratura dello stato, dopo una persecuzione giudiziaria, un anno e mezzo di carcere per un’ingiusta condanna poi revocata, la riabilitazione e infine il riconoscimento popolare che gli apre nuovamente le porte del Palazo da Alvorada, nella Brasilia di Costa e Niemayer.
Va detto, nondimeno, che il risultato elettorale non mostra nei numeri tutto il significato politico di questa vittoria; né il peso preponderante che vi ha conseguito il suo prestigio personale, la fiducia che in lui ripone una parte enorme del paese. Al di là di quella riconosciuta ai 7 partiti di sinistra-centro della coalizione che l’ha sostenuto e al Partito dei Lavoratori di cui è stato fondatore quasi 30 anni fa. Alla conclusione di uno scrutinio che solo ai due terzi lo ha visto raggiungere e da quel punto in poi superare il presidente uscente, Jair Bolsonaro, ha ottenuto uno scarso 51 per cento. Con l’avversario rimasto sotto il 50.
La differenza che li aveva separati al primo turno, tre settimane fa, si è ridotta e in termini di voti è scesa a poco più di 2 milioni dei 122 milioni espressi su 126 milioni di brasiliani con diritto di voto. E’ un rapporto di forza più o meno in linea con i risultati degli ultimi anni in America Latina. Ma largamente imprevisto dai sondaggi fino a una settimana addietro, quando hanno cominciato ad avvertire che Bolsonaro stava avanzando a grandi passi. Un recupero così consistente in un periodo tanto breve e senza che siano intervenuti fatti di particolare rilievo a spiegarlo, dice del lavoro fatto dal bolsonarismo e dal partito militare che è anima e corpo.
Governo e militari hanno agito all’interno del proprio elettorato naturale, l’universo impiegatizio di Brasilia e le guarnigioni distribuite nell’intero paese con relative famiglie, la grande borghesia legata agli immensi interessi dell’agro-esportazione. Ma anche oltre quel perimetro, grazie alla distribuzione di tangibili favori e promesse nelle fasce marginali della popolazione, alternando lusinghe a pressioni. Basti considerare che ancora ieri con le votazioni in corso il comandante della polizia stradale ha invitato pubblicamente a votare Bolsonaro. E malgrado l’esplicito ordine in contrario della magistratura elettorale i suoi agenti hanno ostacolato le carovane dei simpatizzanti di Lula diretti ai seggi, ritardandoli con ogni pretesto.
In molte situazioni, il carisma di Lula ha dovuto inoltre sopperire a certe genericità del programma, all’insufficiente capacità di richiamo di alcuni dei suoi alleati e ad alcune diffidenze all’interno dello stesso PT. Con un Congresso che vede una forte presenza dei bolsonaristi e il tradizionale ventre molle del centrismo parlamentare tanto disponibile quanto inaffidabile, il nuovo Presidente non avrà vita facile. Sarà una grande sfida per lui e per il Brasile che aspira a ridurre le disuguaglianze per modernizzare il paese e adeguarlo al suo ruolo di riferimento continentale.