Che si diranno oggi pomeriggio i leader del G7 quando si incontreranno on line in via straordinaria per discutere dell’escalation della guerra in Ucraina? Si sa che la nuova premier pasticciona della Gran Bretagna Liz Truss chiederà ai colleghi di mantenere la rotta nel supporto al governo ucraino. Si può immaginare che il presidente Zelensky rinnoverà alle sette nazioni più industrializzate del mondo la richiesta di avere un migliore sistema di difesa area, dopo la pioggia di missili russi piovuta ieri sulle città ucraine, la capitale Kiev in testa. 84 missili con la promessa di Putin che altri ne arriveranno nelle prossime ore insieme a un ammassamento di migliaia di truppe russe in Bielorussa . Già stamattina altri bombardamenti hanno colpito la città di Zaporizhzhia. (A proposito ma qui in occidente non avevano detto e scritto che la Russia era a corto ormai di armi?).
Siamo arrivati dove in tanti non volevano arrivare sin dall’inizio, prendendosi insulti da chi, con l’elmetto in testa e la sola esperienza dei paludati corridoi dei palazzi della politica romana, impazzava nei talk show pontificando sui benefici delle armi, senza aver mai visto un kalashnikov, un teatro di guerra, un campo profughi. Lo spettro del ricorso alle armi nucleari ormai sta diventando una realtà e non c’è più neanche il timore di ventilare l’uso di una bomba nucleare tattica. Impensabile sino a prima dell’invasione dell’Ucraina compiuta da Putin lo scorso febbraio. ( Lo ricordo sempre per la tranquillità dei soliti con l’elmetto in testa che passano il tempo a spiegarci chi è l’aggredito e l’aggressore, come se non fosse ben chiaro)
In questi otto mesi di guerra è stata un’escalation di violenza senza sosta. Nessuna vera azione diplomatica è stata messa in campo da istituzioni credibili per tutti, nessun passo avanti è stato compiuto nelle fragili trattative entrate in una fase di stallo e poi bloccate. Si spera siano almeno continuate sotto traccia.
Chi ha visto e conosce le dinamiche delle guerre intravede in modo chiaro il rischio di un punto di non ritorno. Dopo quanto accaduto negli ultimi giorni, siamo sull’orlo del baratro e sono rare le voci che invitano a riflettere e avanzano un’iniziativa di pace seria. Questo è il momento più pericoloso. Che cosa faranno Washington e i suoi alleati? In apparenza tutti paiono preoccupati e schierati in difesa dell’Ucraina. Ma cosa significa oggi difendere il giusto diritto degli ucraini a difendere il loro territorio e le loro libertà? Significa inviare armi ancora più potenti che possano colpire sin dentro le città russe? Significa continuare in questo crescendo di stragi reciproche, sperando in un cambio di regime a Mosca? Significatornare ai confini precedenti al 2014, ricnonquistando Crimea e quei territori annessi di recente? E’ realistico?
Qualche messaggio gli americani l’hanno mandato al presidente Zelensky, quando hanno preso le distanze dall’attentato contro la figlia di Dugin ideologo e amico di Putin, additando i servizi segreti di Kiev come responsabili. Poco dopo però c’è stato l’attentato al ponte sullo stretto di Kerch con la conseguente risposta russa. L’impressione è che nulla succederà sino alle elezioni di midterm americane fissate per 8 novembre. Possiamo permettercelo? Abbiamo tempo a sufficienza?
Mentre le vittime civili ucraine aumentano e le famiglie europee lottano alle prese con una crisi economica spaventosa, i leader occidentali paiono dischi rotti con le loro dichiarazioni di solidarietà e le loro promesse di invio di armi sempre più potenti. Appare ormai evidente che c’è un vuoto da riempire. Serve qualcuno credibile che avvii una seria azione diplomatica che porti alla pace. L’Europa? La Cina? Gli Usa? Il Papa? Europa e Cina insieme? Serve una grande mobilitazione di persone che ripudiano la guerra. E’ il momento di uscire da casa e mandare un chiaro messaggio ai governanti. Non è ancora chiaro a tutti che il tempo rimasto prima della catastrofe è poco. Tutte le guerre finiscono con una trattativa, ma questa guerra nel cuore dell’Europa rischia di far finire l’umanità.
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