Le istituzioni europee devono assolutamente occuparsi del caso di Julian Assange: non è più possibile fare finta che il problema non esista. Da tre anni e mezzo Assange si trova in una prigione di massima sicurezza, una carcerazione senza condanna in una cella minuscola, con difficoltà enormi a vedere i suoi figli di tre e cinque anni. Si tratta di una situazione che viola apertamente i diritti umani. Se le istituzioni europee vogliono essere credibili quando si parla di tutela dei diritti fondamentali, di libertà di stampa, di rispetto dello stato di diritto, beh, allora non possono fare finta di niente di fronte al caso Assange.
Non si può far finta che un caso Assange esista e che sia molto imbarazzante per i Paesi occidentali, soprattutto ora che il fondatore di WikiLeaks è finito nella rosa dei tre finalisti del Premio Sacharov, il più importante riconoscimento dell’Unione Europea, conferito dal Parlamento europeo a esponenti della società civile che si sono distinti per la difesa della libertà di espressione e per la difesa dei diritti umani. È esattamente ciò che ha fatto Julian, garantendo a tutti noi il diritto di conoscere la verità.
Proprio nell’ottica di portare la battaglia per la liberazione del giornalista e attivista australiano a un livello istituzionale all’interno del Parlamento europeo, accanto alla proposta di candidatura del fondatore di WikiLeaks al premio Sacharov, con alcuni colleghi ho invitato a Bruxelles Stella Moris, la moglie di Julian, per partecipare a un convegno pubblico all’interno dell’Eurocamera. Stella ha spiegato che la candidatura a questo premio può salvare la vita di Assange, perché offre la dimostrazione che c’è un’attenzione istituzionale per il suo caso.
La soddisfazione di vedere Assange concorrere per la finale del Premio Sacharov è accompagnata dall’auspicio di attirare l’attenzione di sempre più persone sul caso del fondatore di WikiLeaks e su quello che la sua vicenda comporta per le limitazioni alla libertà di stampa e allo stato di diritto delle democrazie. Intenzionalmente, la sua vicenda è quasi scomparsa dalle pagine dei grandi giornali a cui un tempo fornì scoop ineguagliati. Negli anni, si è messa anche in moto la catena del fango che ha cercato di gettare discredito sul personaggio, con accuse che si sono rivelate totalmente infondate, tentando di indebolire e isolare Assange e gettando un’ombra su tutto quello che con WikiLeaks aveva fatto.
Ricordiamoci sempre che lo dobbiamo ad Assange e a Wikileaks se sappiamo la verità sulla guerra in Iraq e in Afghanistan e sui crimini di guerra compiuti; è grazie a lui se sono note le carcerazioni illegali e gli abusi che sono stati compiuti da uno stato che si vanta di esportare la democrazia. Per non parlare di tutti i retroscena emersi sui diversi governi occidentali. Si tratta di fatti veri, notizie riscontrate. Assange poteva vendere quei segreti, poteva usarli per ricattare. E invece ha scelto di pubblicarli, mettendo a repentaglio la sua vita. Ora tocca a noi mobilitarci per lui. Perché in questa battaglia per la liberazione di Assange non c’è in ballo solo la sua libertà: si tratta anche della libertà di tutti noi. Così come l’accanimento sproporzionato degli Stati Uniti contro Assange è un chiaro messaggio a ogni giornalista, attivista, Ong e cittadino: chi si mette contro il potere rischia di avere la vita distrutta.
Pochi giorni fa a Londra una catena umana ha circondato il parlamento britannico. La notizia è stata riportata solo dall’agenzia Reuters. Se ne è parlato poco. Qualche giorno dopo, il 15 ottobre scorso, si è svolta una mobilitazione mondiale di 24 ore per ricordare i soprusi del caso Assange. Una bella iniziativa che aiuterà a rilanciare gli appelli che ogni giorno arrivano da ogni parte del pianeta. Per il trattamento assurdo che l’attivista e giornalista australiano sta subendo in carcere hanno speso parole su cui riflettere alti esponenti dell’Onu e del Consiglio d’Europa. Abbiamo cercato di fare la nostra parte anche al Parlamento europeo. Tutti chiedono al governo britannico un gesto che solo apparentemente sembra rivoluzionario: restituire la libertà ad Assange. In mancanza di una incriminazione formale, gli Stati Uniti hanno deciso di applicare una legge speciale di guerra che incrimina Assange per spionaggio. Una lezione impartita a futuri giornalisti con la schiena dritta. Un attacco senza precedenti alla libertà di stampa che può trasformare per sempre il lavoro giornalistico e il diritto dei cittadini di sapere se i propri governi compiono crimini
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