Chiunque ha chiesto a Paola Egonu perché è italiana dovrebbe vergognarsi. Chiunque ha pronunciato quelle parole nei confronti della pallavolista azzurra non è un cittadino degno di una società civile. Succede che l’Italia, ai Mondiali, si fermi in semifinale contro il Brasile, e Egonu diventi un bersaglio, per quel ragionamento marcio e intriso di pregiudizi secondo cui la sconfitta deve avere un solo colore, e non è quello della maggioranza delle persone. Non è la prima volta che Paola subisce attacchi dagli odiatori seriali, razzisti che popolano il tritacarne digitale, e le lacrime e lo sfogo della giocatrice dopo la vittoria sugli Stati Uniti e il bronzo conquistato, devono aprire gli occhi, anche a chi deliberatamente li tiene chiusi, su cosa sta diventando questo Paese, in cui il colore della pelle, il genere, la religione, la disabilità sono ancora usati per dividere gli italiani (e le italiane) considerati “veri” (puri?) da quelli (e quelle) che tali non possono ritenersi, anche se sono nati e cresciuti qui, lo sono a tutti gli effetti e per questa nazione mettono ogni giorno il loro talento e il loro cuore.
Questo gioco al massacro deve finire. Dopo lo sfogo con il suo procuratore, Massimo Raguzzoni, dopo quel pianto, verrebbe da dire “brava Paola, hai ragione a non voler più rappresentare questa Italia che ti attacca e ti insulta e che a fatica ti tollera quando la aiuti a vincere”. E, invece, ti chiediamo di restare, per quell’altra Italia che sembra oggi stare nell’ombra, un po’ impaurita dalle urla sguaiate di qualcuno (e qualcuna), perché tu, Paola, può aiutarla a tornare viva, puoi essere la molla per un riscatto che, ancora una volta, parte dallo sport. Con buona pace anche di dirigenti federali (come il presidente Manfredi) che non hanno ancora speso una parola su quanto accaduto, forse abbagliati solo dalla collezione di medaglie di un movimento cresciuto anche grazie a persone come Paola Egonu, orgoglio di un Paese che deve disincagliarsi dal pregiudizio e dal rancore. Altrimenti, anziché crescere, sprofonderà. E questo non possiamo e non dobbiamo permetterlo, ce lo dice la Costituzione, oggi più che mai la nostra guida, il nostro riferimento, la nostra strada. Che sia in una palestra, in un campo da calcio, nei palazzi della politica.