Mario Paciolla era in Colombia da quattro anni (cooperante delle Peace Brigades International tra marzo 2016 e agosto 2018 e successivamente come osservatore delle Nazioni Unite), quando è stato trovato “impiccato” con un lenzuolo nella sua abitazione a San Vicente del Caguan il 15 luglio 2020: una scena del crimine costruita ad arte per indurre la tesi del suicidio per impiccagione. Una tesi smentita dall’autopsia disposta dalla magistratura italiana dopo l’arrivo della salma di Mario in Italia il 24 luglio. Fu eseguita dall’équipe medico legale, guidata dal professor Fineschi (che si è occupato anche dei casi di Stefano Cucchi e di Giulio Regeni) e dalla tossitologa Donata Favretto. L’esito, (consegnato nel 2020 alla Procura di Roma che aveva aperto un fascicolo contro ignoti per omicidio), descrive la morte del giovane giornalista napoletano “come decesso circostanziato da prove che supportano prevalentemente l’ipotesi di “strangolamento con successiva sospensione del corpo”. Così è riportato dalla giornalista Claudia Julieta Duque che aggiunge dettagli il 19 luglio scorso nel suo articolo su El Espectador rispetto all’analisi delle ferite riscontrate sul corpo di Mario alcune delle quali sarebbero state inflitte “in limine vitae o anche post mortem”. “Quando era agonizzante o era già morto, un depistaggio gravissimo. L’ONU e le autorità Colombiane devono dire tutto quello che sanno” ha affermato Erasmo Palazzotto, già Presidente della commissione parlamentare d’inchiesta su Giulio Regeni. Il libro “La bomba que hizo caer el Ministro. Europa empezó el boycot frente la barbarie de Colombia” (Ed. Antropós, Bogota, Morsolin, 2021) presentava varie piste interpretative a conferma della tesi dell’on. Palazzotto che ha indicato nell’ONU e nello stato colombiano i possibili responsabili del “grave depistaggio dopo le torture rivelate da necropsia italiana”.
Dunque Mario Paciolla potrebbe essere stato torturato prima di essere ucciso.
Per quale motivo la Procura di Roma accredita allora la tesi del suicidio e, per questo motivo, ha richiesto l’archiviazione del fascicolo aperto per omicidio contro ignoti dopo due soli anni? Vogliamo sottolineare che anche questa storia, la storia di Mario, è una storia sbagliata, come quella di Ilaria Alpi, di Giulio Regeni, di Andrea Rocchelli, dell’ambasciatore Luca Attanasio assassinato in Congo insieme a Vittorio Iacovacci carabiniere di scorta e Mustapha Milambo autista … …
“… È una storia vestita di nero … È una storia mica male insabbiata… Non ci chiedere più come è andata … Tanto lo sai che è una storia sbagliata”
Sono versi di una canzone di Fabrizio De’ André dedicata a Pier Paolo Pasolini, uscita nel 1980.
Pier Paolo Pasolini nasceva cento anni fa, è stato massacrato il 2 novembre del 1975.
Tutti questi casi, compreso quello di Mario, forse possono aver incrociato episodi simili ai “peccati capitali” incontrati da Ilaria in Somalia (l’espressione è scritta nei dossier della sinistra indipendente, in particolare del senatore Ettore Masina, che portarono alla legge istitutiva di una commissione bicamerale d’inchiesta sulla cooperazione con i paesi in via di sviluppo). I Dossier riguardavano anche l’America Latina, ci furono procedimenti giudiziari ma tutto finì in prescrizione o archiviato per vizi di forma. Questi peccati capitali hanno contagiato l’impegno per la Cooperazione internazionale (bi-laterale e/o multi-laterale) ma anche i “normali” rapporti economici e commerciali: facendo spesso prevalere interessi particolari di lobby e gruppi di pressione piuttosto che i bisogni reali delle popolazioni; favorendo invece interessi illegittimi, corruzione anche attraverso la vendita e/o i traffici di armi e di varia natura come accaduto e accade ancora in Somalia ma anche credibilmente in altri paesi; con l’impegno di faccendieri/ mediatori”. Per questo crediamo che Andrea Purgatori abbia scritto in premessa a un’intervista recente ai genitori di Mario: “Anna e Pino Paciolla … con l’assistenza dell’avvocatessa Alessandra Ballerini che è anche legale della famiglia di Giulio Regeni, hanno denunciato le Nazioni Unite che continuano a rispondere con un ‘muro di gomma’ a ogni richiesta di verità. E la storia dei depistaggi che coprono il delitto di Mario sembra sempre più la stessa che sta affossando i casi di Ilaria Alpi e appunto di Giulio Regeni. …”.
Per questo chiediamo al Governo e al Parlamento Italiano un lavoro istituzionale che impegni anche l’ONU per la ricerca di verità e giustizia per Mario e per cittadine e cittadini uccisi violentemente proprio per il loro impegno in favore della pace, della solidarietà e cooperazione, per i diritti umani. Un lavoro istituzionale che impegni altresì il governo colombiano a rispondere alle difficoltà riscontrate dai medici legali italiani a causa della cattiva gestione del lavoro investigativo svolto in Colombia come per esempio “la gestione del cadavere, la descrizione imprecisa di come è stato trovato, l’insufficiente documentazione fotografica della scena del crimine…” (come scrive ancora Claudia Julieta Duque). In una nota diffusa dalla loro legale Alessandra Ballerini, i familiari di Mario Paciolla hanno fatto sapere di essere “sconcertati nell’apprendere la notizia della richiesta di archiviazione depositata dalla procura di Roma per l’omicidio di nostro figlio Mario. Noi siamo certi, anche per le indagini che abbiamo svolto, che Mario non si è tolto la vita”. “Ci opporremo a questa richiesta di archiviazione – hanno proseguito – e ad ogni altro tentativo di inibire o intralciare la nostra pretesa di verità e giustizia”.
E noi saremo loro accanto, sempre.
Nel luglio 2021 raccontammo la storia tragica di Mario Paciolla assassinato in Colombia: un paese, come molti altri in America Latina e nel mondo intero fino vicino a noi, in Europa, che viola sistematicamente i diritti umani. Con le parole di Anna e Giuseppe e delle loro avvocate Alessandra Ballerini e Emanuela Motta abbiamo spiegato le ragioni e i fatti per i quali non si poteva trattare di un suicidio. Li vogliamo qui ricordare sinteticamente con qualche aggiunta:
Mario era una persona che amava la vita, positivo ed ottimista per definizione. Mario il giorno prima di essere ucciso, il 14 luglio, informava la sua famiglia di aver acquistato un biglietto aereo per tornare a casa. Un volo umanitario con partenza da Bogotà il 20 luglio 2020, di lunedì. Non spiegò chiaramente le motivazioni di questa partenza improvvisa: forse sta lì la ragione dell’assassinio.
L’ONU non ha messo in discussione in alcun modo il suicidio, non ha collaborato con la famiglia e i suoi avvocati; alcuni suoi funzionari potrebbero aver contribuito a depistare le indagini inquinando la scena del crimine. Come Christian Thompson che oltre a ripulire con della candeggina il luogo dove Paciolla aveva perso la vita porta in discarica diversi elementi presenti sulla scena compreso un materasso sporco di sangue. L’ONU contatta la famiglia di Mario il giorno in cui viene ritrovato il cadavere e, parlando subito di suicidio, chiede ai signori Paciolla l’autorizzazione a procedere per l’autopsia, senza informarli che il medico legale che presenzierà all’autopsia, Jaime Hernan Pedraza, è il capo del dipartimento medico della missione ONU.
Il 24 luglio del 2020, rientra in Italia il corpo di Mario Paciolla e la procura di Roma dispone un’altra autopsia. Come abbiamo scritto all’inizio questa seconda autopsia sancisce che non può essersi trattato di suicidio bensì di assassinio con l’aggravante della possibile tortura: alcune delle ferite sono state inferte “in limine vitae o anche post mortem”.
Mario collaborava con Eastwest e Limes (due importanti pubblicazioni di geopolitica). Lo faceva firmando con uno pseudonimo, Astolfo Bergman: non solo forse per una certa cautela che caratterizza chi lavora nella cooperazione ma soprattutto perché i suoi articoli indagavano, esprimevano la volontà di addentrarsi nella complessità dei meccanismi delle violenze che stavano mettendo in discussione gli accordi di pace del 2016 e che avevano suscitato la speranza di una riconciliazione nazionale; che trovò un brusco arresto nel 2018 con l’arrivo di Ivan Duque alla presidenza del paese. L’illegalità era diventata imponente provocando estrema povertà e molte vittime. Mario sapeva e ne aveva scritto che con la vittoria elettorale di Ivan Duque, che definisce “uno dei più fermi oppositori di quanto pattuito a L’Avana”, la violenza in Colombia sarebbe aumentata.
Il 12 settembre 2017 scrive su Eastwest un articolo dal titolo “Il Papa in Colombia ha aggiustato un pezzo della “terza guerra mondiale” Bogotá – “A guardarli bene da vicino, sembra esserci un punto d’intersezione espiatorio che tiene insieme le traiettorie delle parabole disegnate dai mandati di Jorge Mario Bergoglio e Juan Manuel Santos. Da un lato il primo Papa latinoamericano, disposto a mettersi contro i settori più refrattari del Vaticano, per tirar fuori la Chiesa cattolica dall’oscurantismo in cui versava da forse troppo tempo; dall’altro il Presidente colombiano in carica, capace di mettere in discussione i trucchi di una guerra che aveva imparato a condurre da Ministro della Difesa, pur di chiudere un conflitto che è durato per oltre mezzo secolo.”
Il 12 aprile 2018 scrive su Limes un articolo dal titolo “L’estradizione negli Usa di una delle figure chiave delle Farc sposterebbe gli equilibri elettorali in vista delle presidenziali e bloccherebbe la smobilitazione dei guerriglieri. “Il mandato di cattura contro l’ex comandante delle Farc Jesús Santrich di una corte di New York è eseguito dalla procura colombiana tramite un esercizio di cooperazione giudiziaria attivato da una circolare rossa dell’Interpol. È accusato di aver preso parte a un accordo con il Cartello messicano di Sinaloa per spostare 30 chili di cocaina negli Stati Uniti – un’operazione dal valore di 320 milioni di dollari – l’ex negoziatore della guerriglia durante le trattative con il governo Santos a L’Avana rischia ora l’estradizione”. Ivan Duque sarà eletto Presidente della Colombia in agosto 2018. E Mario, Astolfo Bergman, interpreta con queste parole sempre su Limes: “La vittoria di Duque è la conclusione di una campagna elettorale iniziata nell’ottobre 2016 in occasione del plebiscito convocato per approvare l’Accordo di pace firmato con le Farc e sancisce il successo di uno dei più fermi oppositori di quanto pattuito a L’Avana. Il ritratto di un politico ostile alle trattative di Pace, proprio come il suo mentore Uribe”. (Alvaro Uribe è il presidente della Colombia 2002/2010, prima di Juan Manuel Santos 2010/2018 n.d.r.)
Mario Paciolla dunque non era un volontario alle prime armi: non era ingenuo e non era uno avventuriero sprovveduto. I contenuti dei suoi articoli pubblicati su Eastwest e su Limes lo dimostrano ampiamente. Aveva una conoscenza profonda del contesto in cui viveva e una consapevolezza della violenza politica e strutturale che attraversa la Colombia.
Il 29 agosto 2019 i caccia delle Forze aeree colombiane avevano bombardato l’accampamento di Rogelio Bolivár Córdova, comandante di una delle cellule dissidenti delle Farc ad Aguas Claras, vicino al municipio di San Vicente del Caguán, la cittadina dove Mario è stato ucciso. Morirono almeno diciassette persone: in gran parte minorenni. Il ministro della difesa Guillermo Botero fu costretto alle dimissioni. Su questo fatto grave ci sarebbe un documento delle Nazioni Unite filtrato dalla Missione di San Vicente del Caguan a cui Mario avrebbe contribuito ma che non fu condiviso da tutti. C’entra qualcosa con la decisone di Mario di lasciare l’ONU? E con la sua morte? Claudia Julieta Duque, nei suoi articoli, aggiunge che all’indomani delle dimissioni del ministro della Difesa, Mario e i suoi colleghi avevano subìto attacchi informatici che lo avevano portato a cancellare la maggior parte dei suoi account sulle reti sociali, eliminare foto di parenti e amici e fare una copia di backup del suo computer. E che già a gennaio del 2020 Mario aveva richiesto di essere trasferito ritenendo la Colombia non più un posto sicuro per lui. E infatti sappiamo che aveva prenotato un volo per l’Italia che non potè prendere mai. Nel novembre 2021 la vicepresidente e il ministro degli Esteri della Colombia, Marta Lucia Ramírez, sono in Italia per rilanciare i rapporti commerciali con il governo italiano. All’inaugurazione di una strada a Roma intitolata al premio Nobel Gabriel García Márquez presso il parco di Villa Borghese, è organizzata una manifestazione a cui partecipano una decina di deputate italiane: contro la violazione dei diritti umani da parte del governo colombiano del Presidente neoliberale Duque, condannato dalla Commissione Interamericana dei Diritti Umani CIDH per gravi violazioni durante il paro (sciopero) nacional studentesco al parco nazionale che, dal 28 aprile 2021 è il teatro della mobilitazione popolare, in particolare di studenti, in ricordo di Jason Garcia, Lucas Villa, Yinson Angulo, Santi Moreno, Dylan Barbosa uccisi proprio quel 28 aprile dalla polizia e i cui nomi sono scritti all’ingresso del parco che custodisce la statua di Rafael Uribe, un “eroe” ucciso nel 1914. Anche di questa storia scriverà Mario.
Per rendere giustizia a Mario sarà necessario ma non basterà identificare gli esecutori materiali del suo assassinio. Bisognerà scoperchiare la rete di responsabilità che ha permesso quest’ennesimo crimine contro chi difende i diritti umani, i depistaggi, la crudele e vergognosa messa in scena del suicidio, chi la copre là e qua.
Ci associamo alle parole di Anna, la mamma di Mario, che a Fanpage.it ha di recente dichiarato di guardare con vigile attesa alle azioni del nuovo governo colombiano: il 7 agosto u.s. Gustavo Francisco Petro Urrego di Pacto Historico è stato eletto Presidente della Colombia. Queste le parole di Anna:“Abbiamo la speranza che ci aiuti in questo percorso di verità. Mario era un ragazzo con la schiena diritta e non avrebbe mai accettato compromessi. Questa certezza, senza dubbio, ce l’abbiamo”.
Giuseppe Paciolla e Anna Maria Motta, continuando la loro battaglia per la verità, hanno anche presentato a Bogotà una denuncia contro i due funzionari ONU Christian Thompson e Juan Vasquez, i quattro agenti di polizia con l’ipotesi di “alterazione della scena della morte e ostruzione della giustizia”.
Mario cercava, cercava sempre di capire la complessa realtà in cui operava e che era simile ad altre situazioni nel mondo. Forse questo indagare, questa volontà di comprendere i meccanismi della violenza e le distorsioni di una pace mai realizzata è stata una delle ragioni che ha spinto qualcuno a mettere a tacere Mario Paciolla e con lui “Astolfo Bergman” che raccontava nei suoi articoli, in Italia e nel mondo, storie quasi sempre sbagliate. Studiare, anche da parte di chi ha la responsabilità e il dovere di cercare e trovare giustizia e verità, potrebbe essere molto utile, in Italia in Colombia e all’ONU, nel mondo in generale. Facciamo nostre le parole dell’avvocata Alessandra Ballerini, in occasione del compleanno di Mario il 27 marzo scorso:” Il diritto alla verità è un diritto di ciascuno di noi, non solo della famiglia… che questa verità noi chiediamo anche all’ONU: a che servirebbe altrimenti aver istituito la giornata per il diritto alla verità in una data simbolica come il 24 marzo, in memoria di Monsignor Romero assassinato in Salvador nel 1980 proprio per il suo impegno contro le violazioni dei diritti umani? Il 21 dicembre 2010 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite proclama il 24 marzo giornata internazionale per il diritto alla verità sulle gravi violazioni dei diritti umani e per la dignità delle vittime; Monsignor Oscar Arnulfo Romero è stato beatificato nel 2018 da Papa Francesco.
#NoiNonArchiviamo sempre con la famiglia di Anna e Giuseppe e le loro avvocate
*Cristiano Morsolin è esperto di diritti umani in America Latina
(Nella foto i genitori di Mario Paciolla e dietro il manifesto con cui si chiede verità e giustizia)