La campagna “La mia voce per Assange”, presentata oggi nella sede della FNSI, dal Comitato (Benvenuti, Costantini, Donati, Gaudino, Morante, Spataro, Tuzi, che aveva già accolto l’appello del Premio Nobel per la pace, Adolfo Pèrez Esquivel, ha visto la partecipazione convinta, in video, del presidente Beppe Giulietti e di Carlo Bartoli, presidente dell’Ordine Nazionale dei giornalisti. Hanno fatto squadra, come sottolineato da Vincenzo Vita (art.21) anche il Fatto Quotidinao, Il Manifesto ed Avvenire ed assicurato il supporto tecnico Radio radicale, per continuare a parlarne, senza spegnere più la luce. Per Stefania Maurizi, la giornalista impegnata da 13 anni sul caso Assange (autrice del libro Il potere segreto), non c’ è più tempo da perdere, Assange sta male. Le condizioni a cui è stato sottoposto da molti anni, il tentativo di eliminarlo fisicamente, sventato e di cui si hanno le prove, dimostrano che dobbiamo fare presto. Per Maurizi non sarà la legge a liberarlo, perchè tutto è kafkiano, farraginoso, scivoloso. “Ho dovuto aspettare 7 anni ed impegnarmi in azioni legali per avere l’accesso agli atti dovuti, negata la trasparenza in tutte le sedi, ecco perchè l’opinione pubblica deve conoscere la storia di Assange. Per Gianni Barbacetto, il giornalismo italiano deve vincere la sua “timidezza”, afferma con ironia. Secondo il direttore di Avvenire, Tarquinio, “i giornalisti soiamono cani da guardia non solo dell’informazione, ma dell’umanità, perchè le filiere informative sono sempre più controllate da pochi, per questo dobbiamo far circolare tutte le informazioni necessarie.”
L’unione fa la forza si è sempre detto, ma in questo caso si può ben ripetere che il silenzio dei media occidentali è stato assordante, oggi, proprio dall’Italia riparte con slancio una iniziativa dovuta.
Una sequela di accuse ingiuste ed infondate contro Assange, lanciate fin dal 18 novembre 2010 dal Tribunale di Stoccolma, con un mandato d’arresto in contumacia, sono state solo l’inizio di questa tragedia contemporanea in salsa occidentale. Infatti, Julian Assange non è uno stupratore, non è una spia, non ha violato il segreto di Stato per fini diversi da quelli legittimi di far conoscere la realtà di crimini di guerra commessi da un paese occidentale, molto potente, come gli Stati Uniti d’America e lo ha fatto attraverso la raccolta di migliaia di documenti nella struttura di Wikileaks.
La sua vita oggi è nelle mani della giustizia britannica, che dovrà dimostrare al mondo il suo vero volto. Per Amnesty International occorre andare avanti anche legalmente, anche se l’impegno è eroico, perchè solo così si vincerà, non solo con l’opinione pubblica. L’obiettivo è scongiurare che chi ha commesso il delitto resti incolume, mentre lui, che ha agito per la libertà e la verità, paghi con la sua vita. Questo il paradosso del caso Julian Assange: punito dai poteri che non vogliono essere messi a nudo ma che si vantano di essere i portatori della libertà e della tutela dei diritti del mondo. Non perdiamoci di vista!