Kristeen R.Ghodsee ha scritto “ Valchirie rosse. Le rivoluzionarie dell’Est Europa”, Donzelli 2022, durante i lockdown 2020 e 2021. Si è dunque dovuta avvalere di una vasta documentazione resa disponibile on line da istituzioni private e universitarie e dei data base storici dei giornali, ma ha fatto affidamento anche su diverse opere e articoli da lei scritti in precedenza, nonché sulla sua ampia esperienza di docente di Studi russi e dell’est Europa all’Università della Pennsylvania. Ghodsee è conosciuta soprattutto per le sue ricerche di carattere etnografico sulla Bulgaria post – comunista e per i suoi studi di genere post – socialisti. Il libro è curiosamente dedicato a Daisy, la cagnolina della scrittrice, che l’ha aiutata, nel disagio dell’isolamento a causa del Covid, a mantenere un ancoraggio con la realtà quotidiana e le necessità irrinunciabili di tutti i giorni.
Il testo, preceduto dall’appropriata prefazione di Noemi Ghetti è strutturato in tre parti: un’importante introduzione dell’autrice, in cui chiarisce i suoi obiettivi di mettere a confronto il femminismo borghese dell’Occidente con il femminismo socialista; una parte centrale dedicata alla biografia di cinque importanti figure di femministe dell’Est; un’ ampia conclusione in cui evidenzia le risorse e le caratteristiche che nel lungo periodo hanno favorito il conseguimento di importanti successi da parte delle grandi attiviste socialiste e che possono costituire un ottimo suggerimento anche per le lotte a venire.
Le Valchirie rosse, chiamate così estendendo l’appellativo che Karl Radeck attribuì ad Alessandra Kollontaj durante la Terza Internazionale comunista del 1921, sono, oltre alla stessa Kollontaj : Nadezda Krupskaja, Inessa Armand, Ljudmila Pavlicenko, Elena Lagadinova. Lasciando a lettrici e lettori il piacere della scoperta citiamo solo alcune caratteristiche di queste personalità. Alessandra Kollontaj , rivoluzionaria e teorica russa , autrice di importanti testi, anche su questioni relative la sessualità, fu prima membro dei menscevichi, passò nel 1915 tra i bolscevichi e dopo la rivoluzione del 1917 Lenin la nominò commissario per l’Assistenza sociale. Riuscì a sottrarsi alle purghe staliniste e continuò a servire il Paese come ambasciatrice. Nadezda Krupskaja, rivoluzionaria e pedagogista russa, sposò nel 1898 Lenin, che assistette con grande dedizione senza mai venire meno al suo impegno politico. Ricoprì vari incarichi nel commissariato educativo con idee innovative. Inessa Armand, sposata, ebbe cinque figli. Entrò nel movimento rivoluzionario e divenne stretta collaboratrice di Lenin con cui ebbe una complessa relazione e fu anche molto legata a Krupsaja. Ljudmila Pavlicenko, dopo un matrimonio e una gravidanza precoci, divorziò. Aiutata dalla madre si dedicò a studi di Antropologia e di Storia dell’Unione Sovietica. Entrò volontaria nell’esercito, fu più volte ferita, riportandone un forte trauma, ma divenne la più temibile cecchina con al suo attivo 309 vittime nell’esercito tedesco. Quando dovette lasciare l’esercito a causa di un disturbo post – traumatico i suoi superiori trovarono un nuovo modo di sfruttare la sua bella presenza e le sue doti dialettiche. La bulgara Elena Lagadinova (1930 – 2017), agronoma e ingegnera genetica, durante la seconda guerra mondiale contribuì alla resistenza del suo paese contro i tedeschi. Fino all’implosione del sistema sovietico e alla sua emarginazione nel suo stesso Paese viaggiò e si adoperò a costruire relazioni e a impegnarsi per migliorare la condizione lavorativa e sociale delle donne e per combattere gli stereotipi di genere.
Ghodsee sottolinea come abbia spesso utilizzato della biografia di uomini e donne, annoverati tra i nemici del capitalismo, per indagare questioni di carattere più generale nate dalla creazione del libero mercato in seguito all’abolizione della schiavitù e della servitù della gleba: i livelli di remunerazione in rapporto alla produttività individuale, gli stereotipi razzisti e sessisti e le disuguaglianze nel mercato del lavoro, in che modo i vari tipi di socialismo hanno storicamente cercato di mitigare queste diseguaglianze.
Ci sono due eventi fondamentali della storia del Novecento che condizionano le storie e le scelte delle donne citate: la rivoluzione bolscevica del 1917, che segnò la fine dell’impero zarista e la seconda guerra mondiale, con la fine del nazismo prima, la creazione dei due blocchi e la guerra fredda poi.
Ghodsee sostiene come il femminismo occidentale abbia dominato la storiografia del movimento globale delle donne. Sostenitori e sostenitrici dei diritti delle donne, come l’inglese Mary Wollstonecraft, John Stuart Mill e la francese Olympe de Gouges puntarono sui diritti individuali. Tra il XIX e il XX secolo le americane Susan B. Antony ed Elizabeth Cady Stanton e l’inglese Emmeline Pankhust svilupparono queste idee formulando la richiesta del diritto di voto. Tra le protagoniste della cosiddetta “seconda ondata” poi vi sono Simone de Beauvoir (Il Secondo Sesso), Betty Friedan (La mistica della femminilità) e Gloria Steiman ( fondatrice della rivista MS), che secondo Ghodsee si sono battute soprattutto per maggiori diritti e privilegi per le singole donne. Sottolinea che donne come Betty Friedan sostenessero soprattutto l’obiettivo dell’ “autorealizzazione”, idea mutuata dagli studi dello psicologo americano Abraham Maslow. Avendo ben in mente la situazione americana Ghodsee cita donne, come Sheryl Sandenberg, direttrice operativa di Face – book, che attualmente promuovono l’avanzamento aziendale delle lavoratrici e richiama poi addirittura l’esempio di un gioco della Hasbro come “Ms Monopoly”, versione al femminile del classico Monopoli, come strumento creato del pensiero occidentale sempre con l’intento di spingere le ragazze a “farsi avanti” (lean in) per superare gli ultimi ostacoli rispetto a una piena parità con gli uomini.
Semplificando potremmo dire che ciò che vuole mettere in evidenza l’autrice, con un discorso certamente più articolato, è che “Laddove le femministe liberali spesso si concentrarono sull’uguaglianza legale, le attiviste dell’ estrema sinistra propugnavano l’equità attraverso un’espansione delle reti di sicurezza sociale nel breve termine e un sistema economico più giusto nel lungo termine … Immaginavano un progetto politico che contrastasse lo sfruttamento del lavoro non retribuito nella sfera privata come parte di un programma più ampio per superare le ingiustizie perpetuate da un sistema di libero mercato che produce forme sistemiche di discriminazione” che si rinnovano e si perpetuano nelle diverse contingenze storiche. Certamente le Valchirie rosse di cui ci parla l’autrice dovettero affrontare periodi storici che le posero di fronte a difficoltà e contraddizioni enormi, che a volte le costrinsero a scelte cruciali nella loro azione politica e dovettero concentrarsi “principalmente sulle tensioni tra genere e identità di classe, piuttosto che su razza, sessualità, capacità, identità di genere o altre categorie differenziali che animano i dibattiti attuali sulla giustizia sociale e sulla necessità di un cambiamento progressivo”. Tuttavia proprio attraverso le biografie di queste donne possiamo riscoprire le loro intuizioni, le loro teorizzazioni e le loro esperienze a volte sorprendenti e non prive di stimoli e riflessioni al giorno d’oggi . Interessante è anche un altro aspetto sottolineato da Ghodsee: l’azione di stimolo che ebbero, in particolare per gli Stati Uniti e l’Occidente spesso accusati di razzismo dal blocco orientale, il contatto col pubblico e i rapporti che, in tempi diversi, alcune delle Valchirie stabilirono durante i loro viaggi. Ljudmila Pavlicenko conquistò il pubblico americano con le sue abilità dialettiche e stabilì una insperata amicizia Eleanor Roosvelt. La bulgara Elena Lagadinova creò reti relazionali in diversi continenti, lavorò per un decennio (1976 – 1985) alle Nazioni Unite, nel 1986 divenne membro dell’Istituto internazionale delle Nazioni Unite per la ricerca e la formazione delle donne (Instraw). Nel 1972 l’attivista americana Angela Davis si recò in Bulgaria per incontrarla. In generale le critiche e le accuse al capitalismo da parte dei paesi socialisti hanno contribuito a evidenziare delle contraddizioni che i movimenti sociali dei vari paesi si sono impegnati a sfruttare:“La rabbia popolare e l’indignazione che veniva dal basso si sono mescolate alla pressione della comunità internazionale per accelerare in tutto il mondo un progressivo cambiamento sociale”. Ghodsse porta esempi di ciò in un altro suo lavoro “Second World, Second Sex. Socialist Women’s Activism and Global Solidarity during the Cold War ” Duke University Press, Durham 2019, perché la scrittrice ha sempre un occhio rivolto alle reti internazionali dei movimenti delle donne.
A conclusione del suo lavoro Ghodsee cita dati e statistiche per dimostrare come nei paesi del blocco orientale nonostante i molti problemi della inefficienze dell’economia pianificata, la scarsità delle libertà individuali, la persistenza di norme patriarcali, gli sforzi di molte attiviste socialiste hanno alla fine dato il loro frutti, considerando anche la situazione di arretratezza e le circostanze storiche dei Paesi in cui operavano. E’ infine interessante la lunga riflessione che l’autrice dedica a individuare le risorse e le caratteristiche su cui hanno contato le Valchirie rosse per il loro operato e che descrive a partire da alcune parole chiave: compagni e compagne, cioè le relazioni, l’umiltà,l’autodidattica, la ricettività, l’attitudine, le alleanze, la tenacia, l’impegno, il riposo, al momento giusto, quando è necessario. Nonostante io ritenga che il femminismo in Italia per alcune sue caratteristiche abbia molto coltivato la memoria di figure dei diversi schieramenti, tuttavia la scoperta o l’approfondimento della personalità e dell’azione di alcune attiviste femministe, non solo non sia priva di sorprese, ma sia arricchente per misurare a volte più i punti di convergenza che quelli di discordia che a volte separano e indeboliscono i movimenti.