“Carcere e lavoro: una prospettiva per i detenuti e un’opportunità per le imprese e la società”: è il titolo del convegno promosso dall’Ateno Veneto in collaborazione con il Sindacato giornalisti del Veneto che ha reso possibile la partecipazione di giornalisti per i crediti formativi che si è tenuta a Venezia il 5 ottobre scorso a cui hanno partecipato magistrati, funzionari del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, ufficiali e comandanti del Corpo di polizia penitenziaria, il capo dipartimento Carlo Renoldi, imprenditori nel settore turistico, alberghiero e industriale e giornalisti. Un dibattito che aveva l’obiettivo di sensibilizzare e promuovere attività di rinserimento lavorativo di ex detenuti nella società. Il convegno ha saputo affrontare tematiche a partire dall’importanza rieducativa e sociale che riveste il lavoro per i detenuti; il raccordo tra il fine pena e il rientro in società attraverso percorsi formativi e di lavoro dentro e fuori le carceri; i vantaggi della ”Legge Carlo Smuraglia” (193 del 22 giugno 2000) e dedicato alla sua memoria – come ha spiegato la presidente dell’Ateneo Antonella Magaraggia -, che ha come fine quello di incentivare l’attività lavorativa dei detenuti con agevolazioni fiscali e contributive in favore di aziende e cooperative in grado di impiegare persone detenute. Le possibili connessioni con il mercato del lavoro.
Una realtà ancora troppo poco conosciuta. Manca personale in molte aziende, soprattutto nel settore turistico e il convegno aveva anche lo scopo di sensibilizzare gli imprenditori e connetterli con le istituzioni deputate al reinserimento lavorativo per detenuti siano in semi libertà che, una volta scontata la pena, escono dal carcere. Strumenti efficaci per permettere ad un reale e produttivo ritorno alla vita civile, sociale, professionale, e umano, dove la dignità si riconquista attraverso il lavoro, come ha spiegato bene un detenuto intervistato dalla giornalista e documentarista Giovanna Pastega, (autrice insieme ad Andrea Basso di due cortometraggi realizzati nel carcere maschile di Treviso e quello femminile di Venezia- Giudecca).
Testimonianze preziose in cui si afferma che senza lavoro si viene a mancare la dignità, fondamentale se si vuole ottemperare ad un principio della Costituzione. : «La dignità del lavoro è un diritto fondamentale, fondante di qualsiasi società civile. Fa parte delle libertà e dei diritti fondamentali dell’uomo, ed è un diritto enunciato all’articolo 23 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo». Ad aprire i lavori la presidente dell’Ateneo Veneto, Antonella Magaraggia magistrato in servizio e attuale presidente del Tribunale di Verona. Un prologo in cui è stato affrontato l’argomento delle risorse messe a disposizione nel 2020 per il lavoro da implementare con le imprese: «8, 7 milioni di euro dove il Nord-Est fa la parte del leone, tra Veneto e Lombardia. Il 64% dei fondi nazionali. Un raccordo con le imprese e l’Ateneo che ha una vocazione sociale ben precisa e il suo mandato è quello di far connettere l’amministrazione carceraria con l’imprenditoria e le associazioni di categoria artigianali.
L’intento è quello di far dialogare il dentro con il fuori con il mandato di inserire anche i detenuti come previsto dall’articolo 4 della Costituzione, ma è anche nell’interesse della società. Le recidive dei reati è molto bassa se gli ex detenuti trovano lavoro. L’imprenditoria veneta può essere d’aiuto». Una realtà come quella del Veneto altamente produttiva e inclusiva. Carlo Renoldi il capo del Dap ha spiegato l’importanza di costruire una rete per condividere ideali e prospettive di lavoro. «Il carcere deve aprirsi ai territori e non chiudersi perché nel mondo contemporaneo la concezione moderna è che il carcere non è una realtà extraterritoriale. L’articolo 27 della Costituzione lo spiega bene: “La responsabilità penale è personale. L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”, ha una finalistica che è rivolta verso la rieducazione dei detenuti.
La connotazione costituzionale della funzione della pena è quella della sicurezza, ma non coglie l’attenzione sostanziale della pena. Il suo scopo è il lavoro e non solo la realizzazione della sicurezza – ha spiegato il magistrato – e la detenzione e l’esecuzione della pena serve a rimuovere le cause che hanno innescato il reato. Fondamentale è il trattamento rieducativo attraverso l’istruzione, la fomazione, il lavoro, le attività culturali e ricreative. L’articolo 20 si riferisce alla norma di riferimento dopo gli stati generali per l’esecuzione della pena. Non è obbligatorio il lavoro peniteniario ma è volontario come lo è la partecipazione alle attività trattamentali». Maria Milano Franco D’Aragona, provveditore regionale dell’Amministrazione Penitenziaria per il Veneto, Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia, cita Papa Francesco: «Un uomo che non lavora non ha dignità e anche per i detenuti è doveroso farli partecipare al progresso morale», per poi spiegare la realtà del carcere femminile della Giudecca: «Su 73 detenute 54 lavorano nella Casa di reclusione perché le altre materialmente non possono farlo». Nel suo intervento Angela Venezia direttore dell’ Ufficio III detenuti e trattamento del Provveditorato regionale dell’Amministrazione penitenziaria per la Toscana-Umbria e ad interim Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige, ha tenuto una relazione significativa sul piano delle relazioni umane e sociali, nel ribadire che «dove c’ è del bello si può parlare di bellezza, cortesia, gentilezza e dobbiamo trasformare il paradigma su come viene visto il carcere per considerarlo invece una risorsa.
È difficile parlare della società parlando di carcere solo come luogo di criticità al negativo. Non è solo quello che viene descritto dai mass media e dalla stampa in generale, quando diventa anche una risorsa di produttività. Nei detenuti che raccontano la loro esperienza (gli italiani si vergognano di apparire a differenza di quelli di altre nazionalità), la scelta di vita che li ha portati in carcere, ha fatto capire loro che esiste un’altra vita, una nuova visione. Noi non ci illudiamo di poter risolvere tutto ma offriamo delle opportunità per dare loro un’altra scelta, con l’impegno di sensibilizzare il territorio.
Il carcere di Belluno, ad esempio, è un piccolo istituto dove il 70% dei detenuti lavorano grazie ad un’attività preziosa di rinserimento. Gli imprenditori sono venuti in carcere per fare formazione delocalizzata al fine di promuovere il lavoro in carcere. Nel 2015 è stato creato un catalogo con la regione Veneto che elenca le attività lavorative in carcere». Paolo Armenio, vice presidente Confindustria Venezia Rovigo, ha spiegato come «sia fondamentale l’inserimento dei detenuti a fine pena e cosa si può fare per incentivare il lavoro all’esterno dei carceri. Il mondo delle imprese sta aspettando». Sono seguiti interventi anche di Tiziano Barone , direttore di Veneto Lavoro Regione Veneto e di Renato Mason, segretario della CGIA di Mestre.
Flavia Filippi, fondatrice associazione “Seconda Chance” che ha come mandato il compito di trovare lavoro ai detenuti e agli ex detenuti coinvolgendo imprenditori, commercianti, artigiani, ha spiegato come sia stato possibile collocare 110 persone detenute nelle imprese grazie alla collaborazione ottenuta con i magistrati di sorveglianza e con gli imprenditori. Una ricerca mirata e finalizzata su tutto il territorio nazionale dove la sua associazione coinvolge le realtà professionali creando relazioni significative tra l’esterno e l’interno. Un impegno basato sul volontariato ma con dei principi che si rifanno al mandato costituzionale.
Un progetto innovativo che trova lavoro ai detenuti e agli ex detenuti coinvolgendo imprenditori, commercianti, artigiani. Giovanna Pastega nel concludere un convegno molto partecipato, rivolto anche al ruolo della stampa che deve (o meglio dovrebbe) avere una responsabilità precisa nell’informare la realtà come quella del carcere, evitando di dare solo ed esclusivamente notizie negative, ha ribadito l’importanza della «dignità che deriva dalla nostra cultura giuridica. Una dignità che viene recuperata e si rifà alla parola dignitas».