Sei mesi di reclusione per aver riportato la notizia della causa di lavoro promossa contro l’ex ministra Teresa Bellanova dal suo ex addetto stampa. È la richiesta che un pm onorario del tribunale di Lecce ha formulato al giudice monocratico al termine dell’udienza di dibattimento nei confronti di tre giornalisti, uno di La7, una del fattoquotidiano.it e una del Tempo, imputati per diffamazione a mezzo stampa dopo una querela presentata dall’ex ministra Bellanova.
Sulla vicenda dell’ex addetto stampa che aveva citato in giudizio l’esponente di Italia Viva per vedersi riconoscere il giusto inquadramento contrattuale e la giusta retribuzione c’è stata recentemente una sentenza della Corte d’Appello di Lecce che ha accolto le richieste del lavoratore e condannato l’ex ministra. Nonostante tutto, il procedimento penale per diffamazione a mezzo stampa, nel quale è imputato anche l’ex addetto stampa e per il quale la richiesta del pm onorario è di un anno di reclusione, va avanti.
“E’ una situazione paradossale e pericolosa – denunciano il segretario generale della Fnsi, Raffaele Lorusso, e il presidente dell’Assostampa Puglia, Bepi Martellotta – Non solo viene richiesta una condanna per un giornalista che si è limitato a denunciare il mancato riconoscimento dei propri diritti di lavoratore, ma si vogliono colpire anche i cronisti che hanno fatto il loro lavoro, informando correttamente l’opinione pubblica. L’auspicio è che il pm onorario che ha formulato le richieste di condanna non abbia avuto il tempo di leggere la sentenza della Corte d’Appello che ha accolto il ricorso dell’ex addetto stampa dell’ex ministra Bellanova e che, in sede di decisione, il giudice monocratico sappia riconoscere le ragioni di chi si è battuto per i propri diritti e di chi ha esercitato correttamente il diritto di cronaca. Non è tollerabile, che dopo che la Corte costituzionale ha riconosciuto l’inammissibilità del carcere per il reato di diffamazione, considerandolo un pesante deterrente nei confronti del diritto di cronaca, in qualche aula di giustizia ci sia ancora qualcuno che pensi di utilizzare impropriamente le pene detentive non soltanto per punire i giornalisti coinvolti nei processi, ma anche e soprattutto per mandare un messaggio a tutti quei cronisti che continuano a fare correttamente il proprio lavoro, anche procurando qualche dispiacere al potente di turno”.