Quattro anniversari che dovrebbero indurci a riflettere. Perché parlano del Novecento, secolo assai meno breve di quanto non immaginasse Eric Hobsbawm, straordinario storico di matrice marxista, autore di opere destinate all’eternità, scomparso dieci anni fa all’età di novantacinque anni. La lettura dei suoi testi, così ricchi di analisi ma anche di aspetti solitamente ignorati dagli storici, primo fra tutti il costume, hanno illuminato i tratti peculiari di un secolo che ha condotto l’umanità nel futuro, risultando uno dei più intensi, significativi, tragici e rivoluzionari di sempre. Il Novecento è stato, infatti, il secolo delle guerre mondiali, dell’atomica, delle incredibili scoperti scientifiche, dell’aumento esponenziale della vita media, del benessere e delle conquiste sociali, politiche, sindacali e democratiche. Una palingenesi che è costata, tuttavia, decine di milioni di morti, carneficine indicibili, lutti e sofferenze senza pari e inferni come i campi di sterminio che hanno mostrato il volto che può assumere l’essere umano quando gli viene permesso di sfogare i suoi istinti piu barbari. A Hobsbawm dobbiamo una visione che va ben al di là della semplice spiegazione degli eventi: è una narrazione che ci interroga sul senso della vita e del nostro domani, uno scandagliare continuo e un tentativo di leggere l’anima senza moralismi, cercando di penetrare fino in fondo nelle coscienze e di comprendere il significato di scelte talvolta raccapriccianti, per non dire proprio criminali.
Basti pensare, per citare due esempi accaduti in contemporanea, a ciò che accadde nell’autunno del ’62, quando negli stessi giorni assistemmo alla rivoluzione di Giovanni XXIII, il Concilio vaticano II che cambiò per sempre il volto della Chiesa, e all’incubo nucleare dei missili a Cuba, una follia che oggi è tornata tristemente d’attualità. Bisognerebbe studiare con attenzione quelle vicende, specie se si considera quanto sia lungimirante la visione pacifista di papa Francesco e quanto sia, invece, miope la condotta politica e diplomatica degli attori che stanno conducendo il pianeta sull’orlo di una catastrofe senza precedenti. Se prendiamo in esame il Discorso della luna di papa Roncalli e lo confrontiamo con i disperati appelli di Bergoglio, inoltre, ci rendiamo facilmente conto di quale sia la principale differenza fra allora e oggi, fra la speranza e la paura, fra il boom economico e la crisi totale in cui versiamo, acuita dalla questione del gas e del metano, dai rincari sfrenati delle bollette e dal terrore diffuso che sta caratterizzando il nostro Paese, sempre più fragile, diviso e diseguale. Purtroppo, a tal proposito, non è paragonabile nemmeno l’orrore internazionale, in quanto all’epoca Kennedy e Chruščëv mostrarono un discreto senso delle istituzioni e la piena comprensione di cosa sarebbe potuto succedere a soli diciassette anni dall’abisso di Hiroshima e Nagasaki. Oggi, al contrario, l’impressione è che si sia troppo lontani da quei fatti per comprendere fino in fondo dove potrebbe condurci l’utilizzo di armi nucleari nel contesto di una guerra che non riguarda più solo la Russia e l’Ucraina ma comprende ormai l’intero Occidente. Non stiamo capendo di essere sull’orlo del baratro. Continuiamo ad ascoltare e a leggere parole inappropriate, inutili spinte guerresche, proclami bellicisti fuori dalla realtà e richiami alla ferocia che contribuiscono a rendere ancora più cupa un’atmosfera già pesantissima. Il dramma è che sono venute meno le testimonianze dirette di chi ha vissuto sulla propria pelle una guerra mondiale o, peggio ancora, l’olocausto nucleare, e i libri, per quanto ben scritti, non bastano per rendersi conto dei rischi enormi che stiamo correndo.
Concludiamo, infine, con il ricordo di Stefano Gaj Taché, il bambino ebreo di soli due anni morto in un attentato alla sinagoga di Roma compiuto il 9 ottobre 1982 da un commando di terroristi palestinesi appartenenti ad al-Fatah. Lo ricordò il presidente Mattarella nel discorso di insediamento del 2015 e vogliamo ricordarlo anche noi, ora che la violenza regna sovrana pressoché ovunque e il fondamentalismo dilaga a ogni latitudine.
Storie del Novecento, drammi che ancora interrogano le nostre coscienze, assurdità che fatichiamo persino a decifrare eppure ci travolgono; in poche parole, simboli di quanto sia esile il filo che ci tiene attaccati alla vita e di quanto sia costantemente in bilico il nostro essere comunità.
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