Indietro non si torna. Con questo governo non si può scherzare né ci si può illudere, come fa ingenuamente qualche commentatore che, evidentemente, non ha ancora capito a quale bivio della storia siamo giunti, che si possa tornare al moderatismo, alla sinistra che tempera al centro le proprie pulsioni più radicali e al confronto pacato fra due coalizioni che si rispettano e si legittimano a vicenda. Il centrosinistra ha fallito, il bipolarismo ha fallito, la globalizzazione ha fallito, il capitalismo selvaggio ha fallito, la mancanza sempre più forte di diritti e dignità umana ci ha condotti sino a questo punto e il centrodestra è diventato sempre più destra, pura e senza infingimenti. Loro, a differenza nostra, non si vergognano della fiamma tricolore, dei saluti romani, del loro passato e del loro presente, delle loro dichiarazioni, delle loro prese di posizione, di ciò che hanno scritto e di ciò per cui sono saliti all’attenzione delle cronache. Noi, per troppo tempo, dei nostri valori ce ne siamo vergognati. Ci siamo vergognati di essere socialisti, progressisti, persino socialdemocratici, abbiamo accantonato ogni discorso relativo alla lotta contro le disuguaglianze, ci siamo convertiti progressivamente a un pragmatismo cinico e incolore, abbiamo abbracciato la tecnocrazia al punto di snaturarci, siamo diventati poltronari e governisti, abbiamo accettato di governare con chiunque, senza portare a casa quasi nulla, e ignorato sempre di più le legittime proteste della nostra gente. Abbiamo trattato il Movimento 5 Stelle, e i movimenti in generale, come una massa di trogloditi, senza renderci conto che per lo più erano elettori ed elettrici di sinistra, stanchi dei silenzi, delle opere e, soprattutto, delle omissioni della stessa. Abbiamo avuto la fortuna di governare insieme a loro nel Conte II ma non lo abbiamo saputo difendere, e non ho sentito alcuna voce levarsi per far presente al Corriere della Sera che definire Lucia Azzolina “ex ministra dei banchi a rotelle durante la pandemia, poi finiti a migliaia in discarica” significa accostare, implicitamente (e speriamo involontariamente), alla discarica non i banchi ma un essere umano. Sarà perché ho avuto l’onore di intervistare per la rivista AREL Carmen Yáñez, moglie di Luis Sepúlveda, effettivamente gettata in una discarica dopo essere stata torturata a Villa Grimaldi, ma a me determinate frasi fanno venire in mente i peggiori inferni della Terra, a cominciare dal regime di Pinochet. E il fatto che ormai tutto sia lecito, che non ci si indigni più per nulla e che la difesa delle donne sia direttamente proporzionale al partito cui sono iscritte è uno dei più grandi insulti che si possano rivolgere alle donne e alla loro dignità, un attacco all’universalità dei loro diritti e un insulto alla piena parità che giustamente rivendicano.
Quest’estate abbiamo sbagliato tutte e tutti qualunque cosa, io per primo, e dobbiamo fare tesoro degli errori madornali che abbiamo compiuto. Ora, però, bisogna guardare avanti. Di fronte a un esecutivo del genere, non si può rimanere in silenzio. Enrico Letta ha garantito che il PD ha chiuso con la stagione delle larghe intese e noi vogliamo credergli, con l’auspicio che il suo successore, uomo o donna che sia, la pensi allo stesso modo. Giuseppe Conte, dal canto suo, sta portando avanti un’opposizione leggermente più pacata, forse troppo, ma siamo certi che anche lui saprà farsi sentire al momento opportuno. Ciò che è certo è che, mai come in questo momento, opposizione deve significare opposizione, battaglia politica deve significare battaglia politica e piazza deve significare piazza; il tutto pacificamente, ci mancherebbe altro, ma senza sconti, recuperando il valore dell’intransigenza che, negli anni del berlusconismo arrembante, la sinistra ufficiale ha accantonato, affidandosi a un simulacro di opposizione che ha letteralmente disgustato la sua gente.
Non è questione di nomi: bastano le denominazioni attribuite ai vari ministeri, dal Merito alla Sovranità alimentare, per rendersi conto del programma effettivo di questa compagine. Basta dare un’occhiata ai profili e alle storie dei singoli ministri e ministre per capire che ci attendono tempi bui e che non potremo rimanere in silenzio. E dovremo essere noi uomini i primi a scendere in piazza, innanzitutto a sostegno delle donne nella difesa del diritto all’aborto, poi per rivendicare il pieno riconoscimento delle pari opportunità, infine per contrastare il pessimo clima che si respira intorno a loro, come se fosse in atto una rivoluzione regressiva dalle conseguenze imponderabili e, probabilmente, pesantissime. Quanto allo sfondamento del tetto di cristallo ad opera della prima presidentessa del Consiglio donna, lascerei perdere la retorica e mi concentrerei, piuttosto, sulle idee che esprime e sulla qualità e la storia di coloro che la circondano.
Dobbiamo far presente che esiste una netta differenza fra l’esercizio del governo e la presa del potere, e che le istituzioni, e naturalmente la Costituzione, sono di tutte e di tutti e non a disposizione della maggioranza pro tempore.
E poi dovremo girare, e molto: da piazza Fontana a piazza della Loggia, da Marzabotto a Sant’Anna di Stazzema, passando per Genova, Sesto San Giovanni, Bologna e ovunque ci sia una storia e un’identità da difendere e valorizzare nuovamente. E dovremo farlo tutte e tutti, senza sosta, perché ne va del nostro futuro e di quello delle nuove generazioni.
A tal proposito, mi sia consentito, in conclusione, di far presente che il merito, per come lo intendeva la “ex ministra dei banchi a rotelle”, era quello della Costituzione. Il merito, per questo governo, abbiamo l’impressione che sia la vecchia idea della destra notabilare, ossia l’avvenire di una persona derivante dal censo e dal prestigio familiare, ciò che don Milani chiamava “fare parti uguali fra disuguali”. Ci auguriamo di essere in errore, ma abbiamo fondati motivi di scrivere quello che scriviamo.
Indietro, come detto, dopo quest’esperienza, non sarà possibile tornare. Bisognerà, dunque, porre al centro dell’agenda politica e civile il tema essenziale del conflitto d’interessi e quello non meno importante del lavoro e delle sue tutele, del Reddito di cittadinanza e del non lasciare indietro nessuno, altrimenti tutto perderà di senso e la democrazia si indebolirà in maniera drammatica.
Scriveva Antonio Gramsci: “Mi sono convinto che anche quando tutto è o pare perduto, bisogna rimettersi tranquillamente all’opera, ricominciando dall’inizio”. A cento anni dalla Marcia su Roma, e dati i tempi che stiamo vivendo, ci sembra la citazione più adeguata.
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