Cento anni fa la marcia su Roma. Lo scenario e le tappe verso la dittatura e il dovere di custodire sempre la libertà

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Nelle elezioni politiche del 1921 i Fasci italiani di combattimento di Benito Mussolini, che si erano presentati nelle liste dei Blocchi Nazionali assieme ai liberali, elessero solo 35 deputati. Poco più di un anno dopo, il 31 ottobre 1922, il duce del fascismo veniva chiamato da Re Vittorio Emanuele III a guidare il governo.

Che cosa c’era stato in mezzo? Appunto la marcia su Roma del 28 ottobre di cento anni fa, cioè la minaccia di un colpo di stato militare da parte delle milizie fasciste radunate per effettuare un attacco alla capitale. Il presidente del Consiglio allora in carica, il liberale Luigi Facta, presentò al Re la dichiarazione dello stato di assedio, ma il Re rifiutò di firmarla e chiamò invece Mussolini a fare il primo ministro.

Dietro il precipitare di un processo del genere c’era un fatto strutturale. L’Italia non aveva retto alle conseguenze economiche e sociali della I Guerra mondiale, al costo di vite umane che aveva comportato (circa 600.000), alle conseguenze politiche della cosiddetta “vittoria mutilata”, mentre tra le masse e nella sinistra politica balenava la prospettiva (e lo spettro per altri) della rivoluzione bolscevica. La guerra aveva portato all’ingresso delle masse nella vita del paese e a livello politico, con l’introduzione del sistema proporzionale, al tramonto del notabilato dell’età liberale giolittiana e all’affermazione di due grandi partiti, uno già presente, il Partito socialista, il secondo nuovo alla scena politica, il Partito popolare. Queste due grandi forze, che insieme avrebbero rappresentato la maggioranza del paese già nelle precedenti elezioni politiche del 1919, non riuscirono a trovare un accordo tra loro e tanto meno una triangolazione con i liberali di Giolitti.

Mussolini si inserì in questo quadro di debolezza, usando la violenza delle sue squadracce per indebolire gli avversari. Per la verità, proprio nel tentativo di creare uno sbocco politico a un governo che chiudesse le porte al fascismo si erano spesi i socialisti riformisti di Turati, Treves e Matteotti, ma questi furono espulsi dai massimalisti del Partito socialista, avendo Turati rotto la pregiudiziale antimonarchica andando alle consultazioni del Re per il governo. I riformisti avevano allora costituito il Psu il 4 ottobre 1922, segretario il giovane Giacomo Matteotti. Il fatto che fosse stato costituito un partito socialista, dotato di un forte gruppo parlamentare, in grado di concorrere a una nuova soluzione di governo, fu probabilmente tra i fattori che indussero Mussolini ad abbreviare i tempi del suo percorso verso il potere con la Marcia su Roma.

All’avvento al governo di Mussolini, seguì una rapida trasformazione in un regime dittatoriale. Dieci giugno 1924: rapimento e uccisione del deputato socialista Giacomo Matteotti, assunzione da parte di Mussolini della piena responsabilità di quanto accaduto, nel discorso del 3 gennaio 1925, e nel 1926 le cosiddette “leggi fascistissime” che aboliscono partiti, sindacati e libertà di stampa. È il regime fascista, che stipulerà poi nel 1929 il Concordato con la Chiesa cattolica e poco dopo emanerà le leggi sui culti ammessi per regolare la vita delle nostre chiese evangeliche.

Per quanto ci riguarda più direttamente, una delle conseguenze dell’avvento del fascismo fu la soppressione dell’unico tentativo di dialogo organico che ci sia stato tra il mondo laico e quello protestante italiano, caratterizzato dalle figure di Piero Gobetti e di Giuseppe Gangale. Il tema di tale dialogo era stato la mancata riforma religiosa come l’elemento di debolezza della costruzione dell’unità d’Italia, un tema che conferiva un importante significato alla presenza protestante nel nostro paese.

Gobetti aveva scritto una decina di articoli sul periodico di Giuseppe Gangale Conscientia, otto dei quali ripubblicati in Risorgimento senza eroi e uno su Rivoluzione liberale e aveva, a sua volta pubblicato nella sua collana editoriale il libro di Gangale, Rivoluzione Protestante. Piero Gobetti doveva morire per le conseguenze delle bastonature fasciste a Parigi nel febbraio 1925 e, con le leggi “fascistissime”, Conscientia e tutte le riviste cui questo dibattito si era via via allargato vennero proibite. Gangale continuò la sua attività con la casa editrice Doxa, ma nel 1933 abbandonò l’Italia. Se le leggi sui culti ammessi avevano, sia pure con molti limiti, permesso la libertà di culto, da un punto di vista più generale la compressione delle libertà politiche e di opinione ebbe come effetto di respingere i protestanti italiani in una sorta di ghetto culturale da cui dovevano uscire con l’antifascismo e la Resistenza.

Chi vuole trovare un’affinità tra la marcia su Roma e le elezioni politiche del 25 settembre 2022 si sbaglia quindi e di grosso. Ma non sbaglia chi ricorda che la libertà va sempre intransigentemente difesa, perché è facile perderla ma è difficile riconquistarla, e che vi sono delle situazioni in cui è vitale dare la priorità a ciò che unisce rispetto a ciò che divide.


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