Il vantaggio di 6 milioni di voti su Jair Bolsonaro, pari a 5 punti percentuali, non è stato sufficiente ieri a Lula da Silva per raggiungere la necessaria metà dei voti più uno e conquistare la presidenza della Repubblica al primo turno elettorale, come predicevano quasi tutti i sondaggi. L’ex capitano dell’esercito e il cosiddetto partito militare che vincolano a buona parte delle forze armate e alla loro ideologia tradizionalista e gerarchizzata ampi strati popolari di frontiera, borghesia minuta e marginalità criminogena, socialmente attigui ma in permanente, violento contrasto a difesa delle rispettive sopravvivenze quotidiane, hanno dimostrato un controllo del territorio e di quell’affollata parte dell’opinione pubblica che vi abita ben maggiore delle previsioni generali. Malgrado non raccolgano il favore della maggioranza delle donne e dei giovani.
Il voto dei poco meno di 124 milioni di persone affluite alle urne (su 226 milioni di abitanti), oltre il 79 per cento degli aventi diritto, ha subito ritardi e varie proteste, ma nessun incidente di rilievo né apprezzabili contestazioni nel corso dello scrutinio. In un paese vasto mezzo subcontinente, attraverso una geografia che riunisce tutte le meraviglie e gli ostacoli di una natura straordinaria, non è un risultato di poco conto. Lascia tuttavia più tensioni e incognite di quante non ne abbia risolte. In attesa che il prossimo 30 ottobre il secondo turno decida chi tra i due maggiori contendenti, gli unici effettivamente in gioco dei sette candidati che hanno partecipato all’elezione, conquisterà la massima magistratura dello stato e andrà ad occupare per i prossimi 4 anni il palazzo del Planalto, nella monumentale Brasilia di Costa e Niemeyer.
Bolsonaro e il suo Partito Liberale, che dell’accusa d’inaffidabilità del sistema elettorale avevano fatto un leit-motiv della propaganda fino all’apertura dei seggi, celebrano oggi i successi ottenuti nelle elezioni dai loro candidati al Congresso. Numerosi sono infatti i deputati e senatori diretta espressione della destra sostenuta dalle chiese evangeliche e filo-militare, sempre e comunque fieramente avversaria, spesso nemica dichiarata e militante delle organizzazioni di base che difendono i diritti civili in paese multietnico e multiculturale come pochi anche nella meticcia America Latina. Tanto per ricordare l’intensità dei conflitti che avvelenano ogni giorno la vita della gran parte dei brasiliani. Ma a cui volge le spalle per non vederli anche quella parte di borghesia urbana, colta e benestante, che -per esempio- ha eletto ieri al Senato l’ex giudice Sergio Moro, sanzionato dalla stessa magistratura penale per aver ingiustamente condannato e imprigionato il poi liberato e scagionato ex presidente Lula.
La proposta di riconciliazione nazionale avanzata da Lula, dal suo Partito dei Lavoratori e dalla coalizione extra-large che raggruppa 7 formazioni politiche, dai comunisti alla destra moderata laica e cattolica (non escluse frange integriste), ha fallito nel tentativo di penetrare nel fronte che ha potuto invece tenere insieme la legittima e anche onorevole opinione conservatrice con loschi interessi quali il narcotraffico e il crescente, più che allarmante commercio delle armi alla luce del sole tra la popolazione comune. Nelle fasce di media periferia, che -attenzione!- nel caos urbanistico di megalopoli come San Paolo e Rio s’intersecano con i quartieri alti fino talvolta a sfidarsi fisicamente lungo chilometri di strade e viottoli, simili a mobili fronti di guerriglia, quasi fosse il Donbass di vent’anni addietro. (Bolsonaro ha votato ostentando nel seggio il suo giubbotto anti-proiettile; ma anche Lula ne indossava uno.) Nel mese circa d’attesa del ballottaggio elettorale, sono questi i punti d’attrito permanente da cui si teme possano scaturire incidenti capaci d’incendiare il clima elettorale.
I pretesti che per i sostenitori di Lula (tutt’altro che smentiti dai portavoce delle Forze Armate) potrebbero essere invocati strumentalmente per una qualche forma d’intervento militare, sono conseguenza delle storiche arretratezze del paese. Quelle antiche dovute ai ritardi dello sviluppo, che impediscono una solida e diffusa cultura del lavoro, formativa di una coscienza di comunità e solidarietà. Sostituita giorno dopo giorno dal prevalere di bisogni immediati e improrogabili che rendono subalterni inconsapevoli delle peggiori strategie clientelari. Un esempio concreto e frequentissimo: nelle estesissime zone urbane di abusivismo edilizio, l’accesso a servizi primari come l’acqua corrente potabile e la rete fognante viene negoziato in cambio del sostegno degli abitanti a modificazioni del piano regolatore. Ma, in questi ultimissimi anni anche alla subordinazione alle milizie armate che sempre più numerose impongono il proprio ordine nelle favelas e dintorni. La crisi economica ha accentuato tutti i fenomeni di illegalità, che contaminano tutto ciò che toccano.
Smaltita la notte elettorale, il Brasile torna già in campagna per il secondo turno. Bolsonaro è in testa nel distretto federale della capitale, grazie alle concentrazioni di militari e del ceto impiegatizio, base dell’evangelismo. Non prevale ma rafforza la sua posizione negli stati-chiave di San Paolo, Rio e Minas Gerais, grazie all’efficienza amministrativa dei suoi governatori. Si mantiene in equilibrio nel Sud. Sono le zone geografiche e sociali in cui farà il massimo sforzo: dichiara che vuol vincere con il 60 per cento… Ci si aspetta che il web venga trasformato in un vero e proprio campo di battaglia, con assalti di hacker e scorrerie di fake-news senza precedenti. Il Nordeste e Bahia, le zone industriali sono le roccaforti di Lula, nelle quali la sua coalizione farà il massimo sforzo di mobilitazione. Determinanti potrebbero però diventare gli atteggiamenti del sistema bancario, delle grandi multinazionali (comprese quelle cinesi), gli interessi dell’agro-esportatore e le associazioni industriali e commerciali che non manifestano pregiudizi. Le loro sono scelte basate su precisi interessi di categoria e di gruppo, non hanno particolare simpatia per Bolsonaro e con Lula presidente fecero ottimi profitti. Quei tempi però erano diversi per tutti e appaiono lontani.