«Guerino Francesco Gatto, giudice del tribunale di Parma, ha deciso di vietare ogni ripresa audiovisiva del processo che vede imputato Luca Marola e che vede la prossima udienza in programma il 3 novembre. Il giudice, alla richiesta di autorizzazione di tre giornalisti della cooperativa Fase3, ha risposto che “non sussiste un interesse sociale particolarmente rilevante alla conoscenza del dibattimento e tale da giustificare le invocate riprese”. Insomma, il giudice ha deciso che quanto riguarda Marola non deve essere conosciuto e che è meglio oscurare quanto avverrà nel suo tribunale». È quanto denunciano, in una nota congiunta, Silvestro Ramunno, presidente dell’Ordine dei giornalisti dell’Emilia-Romagna e Matteo Naccari, presidente dell’Associazione stampa Emilia-Romagna.
«Questa decisione – aggiungono – segue l’onda della censura che molte procure stanno mettendo in atto nei tribunali ai danni dei cittadini, l’ultimo in ordine temporale quello di Reggio Emilia con la protesta dei cronisti locali, non riconoscendo il loro diritto a essere informati. Non vorremmo che dietro a questo rifiuto ci fossero altre motivazioni legate al clamore che il processo nei confronti di Marola potrebbe avere. La vicenda di Luca Marola è infatti conosciuta in tutta Italia (il giudice la considera invece sconosciuta): è l’imprenditore che ha fondato EasyJoint, azienda pioniera nel settore della cannabis light, ora accusato di detenzione e spaccio di stupefacenti. La sua vicenda si inserisce quindi nel dibattito nazionale sul commercio di cannabis light, con tutti i risvolti di cronaca che si sono avuti sulle attività che alcune procure hanno messo in atto nei confronti di questo settore».
Di conseguenza, incalzano Naccari e Ramunno, «raccontare la sua vicenda processuale non significa schierarsi pro o contro, non significa raccontare, come sostiene il giudice, qualcosa che non interessa a nessuno, ma anzi vuole dire informare i cittadini che avranno la possibilità di farsi una propria opinione. Purtroppo, e lo diciamo con rammarico, sull’onda anche del decreto Cartabia, la magistratura si sente sempre più nel diritto di decidere cosa va raccontato ai cittadini e cosa no, molto spesso preferendo oscurare l’informazione. È ora di dire basta. Ecco perché chiediamo un intervento deciso contro quanto stabilito a Parma, con una presa di posizione forte da parte degli organi che governano la magistratura».