Una mostruosità politico-istituzionale fu all’origine dell’avvento del fascismo. Per capirlo basta rileggere alcune pagine di “Marcia su Roma e dintorni” di Emilio Lussu, ristampato di recente da Einaudi nella collana ET scrittori: il costo è talmente accessibile – 11 euro – che dovrebbe circolare in tutte le scuole, in tutte le case. Anche per capire il presente. Mi son preso la briga si sintetizzare alcune pagine di questo gioiello narrativo scritto con rigore storico, ironia, eleganza stilistica.
“Mussolini volle rispettare scrupolosamente le classiche consuetudini della guerra. Prima di iniziarla, volle dichiararla e volle mandare araldi nella capitale (…).
Che fece l’on. Facta? In primo tempo accolse, con tutti i convenevoli, gli ambasciatori del ‘Duce’ che gli offrivano guerra o pace. Li trattò con squisite maniere, cercando di temporeggiare. Offrì persino strette di mano, sigari e pranzi. Quando s’accorse che tutto era vano e seppe che la ‘marcia su Roma’ era iniziata, prese il coraggio a due mani. Che fece mai? Presentò al re le dimissioni del suo gabinetto (…).
E’ attorno a Roma che si devono decidere le sorti d’Italia. Mussolini prende il treno a Napoli, traversa Roma e si confina a Milano. Milano era dalla parte opposta, a 600 chilometri da Roma. Se fosse rimasto a Napoli, sarebbe stato più vicino. Originale ubicazione di combattimento. Anche con la strategia moderna, 600 chilometri di distanza dal grosso che si batte sono effettivamente molti. Ma, in compenso, Milano ha il vantaggio di essere a pochi chilometri dalla frontiera svizzera (…).
Mussolini, a Milano, si barrica nella sede del suo giornale e fa mettere attorno una fitta barriera di reticolati (…). La ‘marcia’ ha così inizio col comandante che sta fermo e si cinge di filo spinato (…).
Un forte nucleo di fascisti milanesi invade il posto di guardia della caserma degli alpini, in via Ancona, e lo occupa. Prontamente interviene il colonnello con un battaglione inquadrato. – ‘Viva l’esercito!’ – gridano i fascisti. – ‘Molte grazie – risponde il colonnello -. Ma se non sgombrate entro cinque minuti ordino il fuoco’. –‘Viva l’esercito!’ – gridano ancora una volta i fascisti. E per testimoniare la loro ammirazione presentano le armi. Impassibile, il colonnello ripete l’ordine di sgomberare. – ‘No! – dichiara il capo fascista. – ‘No. Noi tutti preferiamo morire’ -. –‘I vostri desideri – commenta il colonnello -, saranno appagati’ (…).
Il ‘Duce’ è presto informato di tutto. Esce dal fortilizio e si precipita nella caserma. Rapido e agitato è il colloquio fra il colonnello e il ‘Duce’. Il colonnello, perduta la calma, fa suonare la tromba. E’ il segnale per l’assalto (…). –‘Sgomberate! – comanda il ‘Duce’ ai suoi. I fascisti abbandonano la caserma, il ‘Duce’ rientra nel fortilizio (…).
Il 28 lo stato d’assedio è proclamato in tutta Italia. Le prime istruzioni telegrafiche del governo sono chiare: ‘Arresto, con qualunque mezzo, di tutti i capi fascisti’ (…).
A Milano, il prefetto chiama Mussolini. Il condottiero della ‘marcia’ esce una seconda volta dal suo fortilizio e si presenta in prefettura, remissivo come il primo cittadino ubbidiente alla legge. Il prefetto gli comunica gli ordini del governo: è l’arresto (…).
Ma lo scompiglio non dura a lungo. Alle ore 12.40 dello stesso giorno 28, l’Agenzia Stefani comunica: ‘Lo stato d’assedio è revocato’ (…).
Che cosa è mai avvenuto? Semplicemente questo. L’on. Facta si è presentato al re per la firma del decreto di stato d’assedio, insieme deciso. Il re ha risposto: ‘E’ impossibile, io non posso firmare un decreto simile’. L’on. Facta ha insistito rispettosamente, invano. –‘Desidero, dirà più tardi il re all’on. De Vecchi – che gli italiani sappiano che solo io non ho voluto firmare il decreto di stato d’assedio. –‘Viva il re’ – gridano i fascisti (…).
Il 29, Mussolini riceve dal re l’invito telegrafico di formare il ministero. Parte da Milano, in treno, e arriva a Roma il giorno dopo (…). Il quartiere popolare di San Lorenzo non partecipa alla gioia dei burocrati. Si ribella alle parole dei capi e agli ordini del giorno dei partiti organizzati e si prepara a difendersi. Più tardi un pugno di eroi si farà uccidere sulle barricate (…).
Le colonne fasciste, rinfrancate, riprendono baldanza (…). Solo due giorni dopo, il 31, entrano in Roma, e sfilano, deliranti, davanti al Quirinale. Il re è al balcone, al suo fianco sono la famiglia reale e Mussolini in camicia nera. –‘Viva il re!’ – acclamano per ore le camicie nere. ‘Viva il re!’. – ‘Ma è il re, dunque, che ha fatto la marcia su Roma?’ commenta il popolino” (pagg. 53-57).
Una descrizione magnifica di un colpo di stato da operetta che si trasformerà in tragedia per il popolo italiano. Tutto questo perché la monarchia e il suo re Sciaboletta furono i veri sostenitori di Mussolini e del fascismo, ben diverso dalla fermezza del colonnello nella caserma degli alpini di Milano. C’era quindi un’Italia pronta a difendersi, che venne completamente ignorata. La lezione principale che si ricava dma questo splendido libro è che la coscienza democratica deve essere sempre ravvivata, praticata, guidata e incoraggiata. ‘Marcia su Roma e dintorni’ dovrebbe diventare un testo scolastico. Fantasticheria proporlo oggi? Forse, ma anche critica aperta, diretta, inequivoca a quanti in tutti gli ultimi decenni non lo hanno fatto ed hanno abbandonato la politica partecipata per ragionare solo in termini di alleanze di potere. Con i risultati che si sono raccolti il 25 settembre e con il rischio che se non si ritorna al più presto a studiare, discutere, analizzare, proporre, le cose andranno sempre peggio. E non solo per immigrazione, famiglie, dritti civili, autonomie regionali. Ma per la stessa democrazia repubblicana garantita dalla Carta Costituzionale.