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Un centrosinistra diviso perde la sfida sulla nuova Costituzione cilena

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Non ha un significato univoco e men che meno conclusivo il plebiscito che a larga maggioranza (61,87% contrari, 38,13% favorevoli) ha respinto in Cile la nuova Costituzione. Certamente costituisce una secca battuta d’arresto del processo di radicale rinnovamento politico e istituzionale del paese, tumultuosamente aperto dalle continue proteste di piazza del 2019, poi incanalate nella convenzione costituente che ottenne il 78% dei voti nel 2020. Gli stessi 15 milioni di elettori, i rispettivi partiti, dovranno tuttavia -inesorabilmente- trovare il modo di riprendere e continuare il dibattito. Le elezioni immediatamente precedenti dimostrano che la Costituzione di Pinochet ha il sostegno di una ridotta minoranza, che non rappresenta neppure tutta la destra.

Nondimeno a tutt’oggi rimane vigente. E lo sarà fintanto che non verrà sostituita da un’altra. Mentre c’è un’ampia maggioranza che considera indispensabile e urgente alla vita del paese, al suo sviluppo economico e civile, trovare nella Charta fondamentale la forma giuridica capace di rendere compatibili interessi materiali e sensibilità sociali storicamente diversi e tutt’ora divisi (grosso modo) in 3 terzi. Detto in termini tradizionali: un 30% alla sinistra, un 30% al centro e un 30% alla destra. Se, com’è avvenuto più volte in passato e di nuovo con questo plebiscito, il centro si spacca e una parte vota con la destra, il centro-sinistra perde. Ma in quest’attuale contesto il prevalere della conservazione sulla riforma, evidentemente rilevante è tuttavia circostanziale.

Settembre non è storicamente un mese dei più felici per il riformismo cileno. Dalla tragedia di quasi mezzo secolo addietro, dall’indimenticabile sacrificio di Salvador Allende, però, la storia nazionale ha riconquistato con piena convinzione (la tenacia è nel carattere cileno) il cammino del confronto democratico. Di cui, entro i limiti delle tensioni sopportabili dal sistema istituzionale, anche la piazza è un luogo del tutto legittimo in una democrazia piena e partecipata. E’ questo un aspetto nient’affatto secondario dei nodi da sciogliere. Preliminare anche ai punti concreti e specifici il cui rifiuto ha portato alla bocciatura del testo, su cui i 154 costituenti eletti da una grandissima maggioranza popolare ha discusso dal luglio 2021 al luglio scorso: quasi 13 mesi.

Evidente, innegabile, si presenta la contraddizione tra un’Assemblea costituente liberamente eletta, che redige e approva a larga maggioranza un testo poi invece respinto dalla consultazione popolare che avrebbe dovuto confermarlo. Appare nient’affatto estranea a questo capovolgimento d’opinione nella massa del medesimo corpo elettorale, la richiesta della parte più moderata del centro-sinistra, personalità e frazioni del Partito Socialista e della Democrazia Cristiana, di tagliare il numero dei delegati indipendenti (cioè non diretta espressione dei partiti), a una nuova Assemblea costituente. I resoconti del dibattito interno a quella appena sciolta, rivelano infatti che alla contrapposizione centro-sinistra/centro-destra si è spesso sovrapposta quella interna al centro-sinistra tra la linea riformatrice più avanzata, talvolta radicale, espressa dai delegati indipendenti, e quella moderata rappresentativa dei partiti.

In Cile, così come in quasi tutto l’Occidente, incontriamo così una consistente area di opinione qualificata, attiva e militante, che si mantiene al di fuori dei partiti tradizionali. Spesso in opposizione ad essi, alla loro dirigenza soprattutto, anche quando in astratto politicamente affini. E’ lo spazio da cui periodicamente scaturiscono iniziative e movimenti sommariamente definiti populisti, proprio in quanto esterni ed estranei ai partiti. Al punto che tra le critiche alla Costituzione respinta è stata fatta anche quella di non aver definito uno statuto dei partiti, nè fissato il loro numero massimo. Insieme al rifiuto dell’unicameralismo e della limatura dei poteri dell’esecutivo in materia economica (di carattere presidenzialista nell’intero continente) a vantaggio di quello legislativo. Una revisione discussa peraltro da decenni da Santiago a quasi tutte le altre capitali latinoamericane.

La creazione di un Consiglio Superiore di Giustizia per dare un governo autonomo al potere giudiziario e garantirne l’indipendenza, è stato accusato di non garantirla abbastanza; non tanto rispetto agli altri poteri dello stato, quanto dai rischi di politicizzazione dei giudici. Punctum dolens di estensione pandemica universale. Un’avversità non minore ha suscitato l’incorporazione nella nuova Charta Magna del carattere “plurinazionale e pluriculturale” dello stato cileno, già introdotto nella legislazione dalla seconda Presidenza di Michelle Bachelet, vale a dire la pari dignità delle culture dei popoli originari e dei loro diritti individuali con quelli di tutti gli altri cittadini. Minaccia l’unità nazionale, è stato detto. E costituirebbe un indebito privilegio (indennizzo a 500 e passa anni di espropriazioni, emarginazioni e violenze sopraffattrici) il riconoscimento al diritto di veto su atti legislativi e amministrativi che direttamente e specificamente li riguardano.

Sorprendentemente, in un paese di profonde radici cristiane e cattoliche com’è il Cile, sono restati in cambio poco più che sussurri i commenti sull’inclusione del divorzio, dell’aborto e sul fine-vita tra i diritti costituzionali. Ho avuto il privilegio d’incontrare più volte a suo tempo i presidenti Patricio Aylwin (il primo del nuovo Cile democratico, spazzata via la dittatura militare) ed Eduardo Frey (1994-2000), con le rispettive famiglie, un’umanità assolutamente virtuosa, d’ineccepibile onestà personale, sobria, lontano da qualsiasi sospetto di ostentazione. Cattolici democratici, che distinguono tra fede personale e credo politico. Patricio Aylwin è scomparso. Eduardo Frey si è espresso in disaccordo con il suo stesso partito, la Democrazia Cristiana:”… sono insoddisfatto di iniziative che indeboliscono la democrazia, sottoponendo il sistema istituzionale alla discrezionalità di maggioranze politiche congiunturali”.

Però la maggioranza contro cui si dichiara è costituita dai suoi giovani della DC che nel partito hanno sostenuto l’approvazione del testo poi respinto dal referendum. Perciò una maggioranza generazionale, più che congiunturale (sebbene, anche le generazioni passino… ma sul lungo periodo ha già detto John Maynard Keynes). La bocciatura popolare della Costituzione è stata secondo alcuni anche una rivincita del vecchio sul nuovo, che non vuol dire semplicemente della conservazione sul cambiamento; bensì anche della gestione dei tempi politici in un paese di cui ben noto è lo spessore del tradizionalismo. Dovranno tenerne maggior conto tutte le parti. Come dicono nelle campagne cilene: a scrollare troppo forte l’albero, non sempre cadono i frutti più maturi…


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