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Nilde Iotti, scorci di una rara “progressione” femminile

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L’appuntamento di questo mese per la rubrica “Dalla parte di Lei” è dedicato a Nilde Iotti, una delle 21 madri della Costituzione, eletta il 2 giugno 1946 nell’Assemblea Costituente (21 donne su 556 componenti). È stata designata, assieme ad altre quattro donne, Maria Agamben Federici, Angela Gotelli, Lina Merlin, Teresa Noce, nella Commissione dei 75 deputati a cui venne affidata la scrittura della Costituzione,

Nilde Iotti: la prima donna eletta Presidente della Camera dei Deputati il 20 giugno del 1979, “il seggio più alto di Montecitorio, la sua ‘casa’ ormai da trentatrè anni”, come scrive Luisa Lama che cura il suo profilo biografico fino a quella data.

Ne racconta la storia, l’impegno civile e politico, dalla Resistenza come staffetta e responsabile, nella sua regione, dei Gruppi di difesa della donna, all’elezione nell’Assemblea Costituente al suo lavoro in Parlamento fino al 1979. Agli anni successivi di Nilde Iotti, che reggerà fino al 1993 la carica di Presidente della Camera, in Parlamento fino al 1999 e sempre “Dalla parte di Lei”, dedicheremo altre pagine. Sviluppando l’intreccio della storia di Nilde con quella dei movimenti femminili e femministi fino al progetto della carta “Dalle donne la forza delle donne”, perché il suo impegno con le donne per l’emancipazione non fu solo per il diritto al lavoro, a una maternità responsabile e alla sua tutela, a una famiglia paritaria e non gerarchica, ai servizi sociali: pose la questione della libertà femminile e dunque del rapporto con gli uomini.

Luisa Lama è studiosa di Storia delle Istituzioni pubbliche e dell’Università nel Novecento italiano. Ha curato il volume Nilde Iotti Una storia politica al femminile (introduzione di Livia Turco, Donzelli Editore).

C’è una preziosità nel profilo che Luisa ha curato, in particolare nella parte relativa agli anni dal 1945 al 1964: anni cruciali per Nilde, per la sua vita, la sua formazione e la sua “progressione” politica. È l’amore che nasce e si sviluppa con Palmiro Togliatti, amore contrastato perché “eccentrico” e “trasgressivo” in quegli anni pervasi da tanto perbenismo moralistico, ma profondo e intenso a cui entrambi non rinunciarono.

Scrive Livia Turco, Presidente della Fondazione Nilde Iotti, nella presentazione del libro citato:

È importante leggere con gli occhi di oggi il racconto di questa storia d’amore che ha coinvolto personalità autorevoli della politica. In un tempo in cui tutto sembra fragile… e anche le relazioni umane rischiano di impoverirsi, ci fa piacere offrire … l’esempio di un sentimento così profondo e duraturo, così intensamente umano …nell’intreccio tra passione d’amore e passione per la politica. Dove però il piano della vita privata e quello della politica sono sempre stati distinti …. Un esempio di bella e grande politica anche dal modo di vivere l’amore.

Casualmente questo profilo esce il giorno stesso delle elezioni politiche, forse le più importanti degli ultimi decenni: l’abbiamo programmato a fine maggio quando non c’erano all’orizzonte elezioni anticipate. Ma questa storia vera di una donna come Nilde Iotti ci sembra una necessità raccontarla proprio in questo momento. Con una importante precisazione per dire che l’obiettivo politico dei movimenti femminili e femministi non è semplicisticamente di avere una donna Presidente del Consiglio ma in primis quello di cambiare la forma mentis la cultura la politica le relazioni tra le persone, introducendovi una visionaria sinergia multigenere, per produrre piena coscienza e capacità di percepire un mondo fatto pensato immaginato raccontato e abitato da donne e uomini. E di poterne costruire uno migliore.

MGG e AC

Nilde Iotti, scorci di una rara “progressione” femminile

di Luisa Lama

Mercoledì 5 marzo 1975. Camera dei deputati. Votazione finale del provvedimento legislativo sulla riforma del diritto di famiglia. Nilde Iotti si alza dal suo scranno, posto alla sinistra del presidente dell’Assemblea Sandro Pertini, per esprimere il suo voto favorevole. Non si tratta di una seduta di routine; soprattutto per lei che, allora giovanissima Costituente, per la prima volta era entrata in quella sala il 25 giugno 1946. E forse non è un caso se, ancora trent’anni dopo, la stessa Iotti scelga di dedicare il suo primo pensiero proprio alla Costituzione e ai principi che la legge in approvazione finalmente riconosceva e sanciva:

Senza voler entrare in un’analisi approfondita delle ragioni che hanno permesso di far trascorrere tanto tempo prima che si attuassero i principi costituzionali, io credo che non si debba dimenticare che c’è stato un lungo periodo in cui reclamare in questa materia l’attuazione della Costituzione significava essere contro la legge, poiché si era convinti che la legge ancora in vigore (il codice civile attuale) avesse un peso maggiore della stessa Costituzione, cioè che la Costituzione dovesse essere interpretata nella chiave della legge vigente. Per fortuna questo periodo è finito e oggi la nostra discussione ci ha riportato alle stesse fonti del nostro Stato: La Costituzione e lo spirito che ha animato la guerra di Liberazione.

Due sono quindi i punti imprescindibili ai quali la deputata Iotti lega il suo voto e quello del gruppo comunista a cui appartiene: i valori della Resistenza al nazifascismo e la Costituzione, che da quei valori è innervata. Del resto Nilde conosceva bene quella storia. Era stata ed era diretta testimone di tutte le difficoltà e i pregiudizi che avevano inceppato l’affermazione dei diritti delle donne. Le sue radici erano ben piantate in quei principi e anche nei luoghi in cui quelle esperienze di vita, sia personale che istituzionale, si erano dipanate.

E proprio da qui sorge un interrogativo: come era riuscita una donna della sua generazione – quella nata negli anni ’20 del ’900 – a raggiungere un traguardo tanto prestigioso e quali “tappe” avevano segnato il suo percorso esistenziale, per tanti aspetti eccentrico per il suo genere e per il suo paese?

In definitiva, riflettendo su quella vita, ciò che in particolare colpisce è lo scatto con cui Nilde Iotti compie i suoi primi passi nella politica. Un’accelerazione che, con un richiamo all’alternarsi delle stagioni, potremmo definire “da maggio ’45…a maggio ’46”. Perché di fatto tutte le sue prime esperienze si concentrano nell’arco di un solo anno, compreso fra i giorni della Liberazione e la vigilia di due straordinari appuntamenti elettorali: il Referendum istituzionale e l’elezione dell’Assemblea costituente.

Nilde Iotti era nata a Reggio Emilia il 10 aprile 1920. Era cresciuta in una famiglia di modeste condizioni economiche. Il padre, ferroviere, fu costretto ben presto ad abbandonare il lavoro per le sue idee antifasciste. Fin da piccola Nilde aveva avuto un’educazione cattolica, vissuta con intensità e convinzione. Si era diplomata maestra, poi, grazie a una borsa di studio messa a bando dalle Ferrovie, si era laureata alla Cattolica di Milano nell’ottobre del 1942 e subito aveva trovato lavoro come insegnante di lettere presso un istituto tecnico di Reggio Emilia. Dopo l’8 settembre 1943 si era rifugiata con la madre a Cavriago, un piccolo paese della cintura reggiana, e qui aveva aderito al movimento antifascista clandestino dei Gruppi di difesa della donna. Da quella scelta di campo maturerà progressivamente una vera e propria formazione “nuova”: culturale, spirituale, politica e psicologica. Certo volitiva e determinata, Nilde coglie al volo ciò che il mondo del suo microcosmo reggiano le offre. Si impegna, cerca di dare il meglio dei suoi talenti su due temi cruciali: innanzitutto le donne, che in quei mesi del primo dopoguerra rappresentavano la “vera” novità, in quanto protagoniste del nuovo panorama politico. Con coraggio avevano partecipato alla Resistenza e finalmente erano “cittadine”. Dopo le prime battaglie di inizio ’900, avevano conquistato il diritto di voto attivo e passivo, quindi erano elettrici e potevano essere elette; il suo secondo impegno è dedicato all’assistenza – settore cruciale in quegli anni drammatici del dopoguerra in cui i bisogni erano immensi e scarse le risorse. Sul piano spirituale perderà la fede e su quello ideologico si avvicinerà al comunismo, sempre con un atteggiamento misurato e unitario, soprattutto nei confronti delle donne cattoliche con le quali cercherà il dialogo e la condivisione nelle battaglie legate all’emancipazione, che diventerà la sua vera bandiera.

E proprio in quella tarda primavera del ’46, da cui siamo partiti, troviamo Nilde Iotti nel pieno di un’impegnativa campagna elettorale. Si presenta come candidata, poi eletta, nelle liste del PCI. Aveva 26 anni Nilde in quel 25 giugno 1946 quando, per la prima volta, fa il suo ingresso nell’emiciclo di Montecitorio. E così ce lo racconta:

Quando nel gruppo dei miei compagni entro nella sala ormai quasi gremita di Montecitorio il cuore mi batte forte, non tanto per l’emozione naturale di trovarmi per la prima volta in un ambiente estraneo ove ogni ingresso è controllato dagli occhi dei colleghi e del pubblico che affolla le tribune, quanto per il pensiero sempre presente che oggi, in questa sala nasce ufficialmente la nuova Italia Repubblicana.

Un successo straordinario ma anche una “prova” per lei e per molti giovani della sua generazione. Ragazzi e ragazze che, come Nilde, erano nati negli anni venti, spesso cresciuti in una famiglia antifascista, formati nelle scuole di regime, poi, con maggiori o minori responsabilità, partigiani nella Resistenza. Erano giovani che avevano scelto di combattere la lotta armata accanto e sotto la guida di uomini e donne costretti all’esilio, al confino o al carcere, i quali sapevano bene che se si voleva rompere col fascismo era necessario voltare pagina e quindi mettere in campo proprio quei giovani, ai quali affidare il governo della nuova Italia repubblicana.

Ma per Nilde non bastava la scelta di campo e l’impegno politico, svolto soprattutto a fianco delle donne dell’UDI. In quel passaggio già di per sé singolare e raro, la sua vita ha uno “scarto” imprevisto. In quell’aula di Montecitorio la costituente Iotti scopre un sentimento d’amore, ricambiato, che la legherà per sempre a Palmiro Togliatti, il segretario del partito che l’aveva eletta al Parlamento. Il mitico “Ercoli” è un uomo non più giovane, sposato e padre di un figlio. Per l’Italia perbenista di quegli anni è uno scandalo, così come lo è per il PCI. Di fatto essi vivevano come concubini e quella convivenza, fuori dalle “regole”, costituiva un reato penale. Le lettere che Iotti e Togliatti si scambiano nella prima fase della loro relazione testimoniano bene quel clima, insieme alle difficoltà e al coraggio con cui scelsero di vivere il loro rapporto, vitale per entrambi:

“…Con tanta freschezza e impeto entrava il tuo sorriso nella mia vita … te l’ho detto una sera: come una striscia di sole in una stanza buia …una striscia di sole che ora è lontana e soffro: nec tecum vivere possum nec sine te”, scrive Togliatti e Iotti risponde:” Quanta tristezza in questo paese distrutto! Ho visto troppe rovine. Questo senso di morte mi fa sorgere un monte di dubbi nel cuore. Fino a quando mi amerai? …mi prende il senso dell’assurdo del nostro amore. … Non può essere che il sogno di una lunga notte … anche se il cuore ne piangerà”.

“… Ho abbandonato me stesso a te come mai avrei pensato …Ma forse è vera la cosa più semplice di tutte, che ti voglio bene. Senza di te non so pensare la mia vita ora” “Non credevo che avrei tanto sofferto, di non ritrovarti … di non avere nulla di te, di non sapere quando l’avrò. Ora mi pare che non potrò vivere così … vivrò come da tanti anni, solo con il mio lavoro… Come diceva Gramsci una vita costruita solo dalla volontà. Povero Gramsci ma anch’egli ha amato” (Togliatti).  “Se tu sapessi quanto sforzo io debba fare per parlare di me … forse perché c’è sempre stata solitudine intorno a me … quale Dio ti ha insegnato la strada segreta per cui mi hai conquistata senza che potessi accorgermene? Per la prima volta io non sono stata più sola …” (Da lettere dell’agosto 1946).

“Dopo esserci sentiti tanto vicini non si può rimpiangere di non poter vivere insieme …Ho immaginato come potrebbe essere la nostra vita. Un bel sogno, un bel ricamo della fantasia e null’altro lo so … La gioia di quell’istante farà svanire ogni tristezza e ogni malinconia”. (Iotti) “Quanto ho fatto verso di te e con te non è mai stata un’intenzione frivola …ho seguito un impulso più forte della mia volontà … dobbiamo solo andare avanti come in certi passi difficili di montagna… questa è la lettera più seria che ti ho scritto, cara, stracciala bruciala … ma voglimi bene!”. (Togliatti)  ” Mi sento di lottare con le unghie e con i denti per difendere un sentimento che è mio e solo mio … non importa se il cammino – duro e difficile – se la scalata ci farà sanguinare i piedi e le mani, la corda che ci unisce non si può spezzare perché è intrecciata di fibre umane …” (Iotti, settembre 1946).

 Un rapporto solido quanto quello di una famiglia “regolare”, completata nel 1950 dall’arrivo di Marisa Malagoli, la piccola modenese, sorella di un operaio delle Officine Orsi, ucciso a Modena dalla polizia durante uno sciopero generale.

Così Nilde Iotti racconta in un’intervista del 12 agosto 1989 al Corriere della Sera:

“A Modena, dopo l’eccidio dei 6 operai, si tiene un’assemblea dei deputati dell’opposizione. Togliatti mi manda un biglietto: – e se adottassimo uno dei bambini rimasti senza niente? –  Gli rispondo con una parola: d’accordo. Così Marisa entrò nella nostra casa. … Marisa arriva a Roma accompagnata dal padre. È bionda, ma il ciuffo sulla fronte è più chiaro. Togliatti la guarda e sorride: – ha i capelli di due colori -”.

Così Nilde Iotti, nel raccontare alla giornalista e scrittrice Oriana Fallaci il significato più profondo dell’affetto che la legava a Togliatti, rivelava anche la sua concezione del sentimento materno:

La maternità non è solo un fatto viscerale (…)  esiste anche un’altra forma di maternità  e di paternità, quella che ti fa allevare un figlio, te lo fa amare, educare, dargli un modo di essere. Forse mi sbaglio ma non so se è più forte questa maternità o l’altra (…) Quando io parlo di Marisa e dico mia figlia, lo dico perché lo sento che è mia figlia.

Certo tutto sarebbe stato più facile se avesse scelto di chiudere con il suo lavoro, o comunque con l’attività politica, come in definitiva le era stato suggerito dal partito, ma lei era stata irremovibile, anzi:

Questo fu l’argomento di una delle prime lunghe spiegazioni che ebbi con Togliatti. Gli dissi che non avrei mai abbandonato, per nessuna ragione, la lotta politica per il nostro rapporto. Nella vita potrei accettare di tutto salvo che di non lavorare, di non essere me stessa. Questo d’altra parte corrispondeva anche alla sua immagine di donna.

I riflessi del difficile rapporto con il partito, e in particolare con quello della sua città, emergono già dalla candidatura alle elezioni politiche del 1948. La si accusava di scarso legame con il suo territorio. E certo quello era lo schermo alzato per  nascondere  un giudizio moralistico sul loro rapporto ma, forse,  quel giudizio celava anche un messaggio trasversale, indirizzato al Segretario dai compagni reggiani, ancora riluttanti a condividere l’idea del partito “nuovo” che Togliatti, solo due anni prima, parlando di “ceti medi e Emilia rossa”, aveva scelto di diffondere e rilanciare proprio da Reggio Emilia. E colpire Nilde Iotti, la sua compagna, poteva significare anche colpire la nuova linea del PCI.

Poi l’attentato del 14 luglio 1948. La coppia esce da Montecitorio: i colpi di pistola, Togliatti riverso sul selciato, la corsa verso l’ospedale, l’interdizione a Nilde di assisterlo (stanno per arrivare la moglie e il figlio, la vera famiglia di Togliatti; Nilde si sente un’intrusa ma riesce a forzare la protezione delle guardie di fronte alla stanza di Togliatti mostrando il tesserino da deputata!), la guarigione, poi la ripresa della vita insieme, là dove era stata interrotta.

Ecco alcuni brani del racconto di Nilde di quel giorno tragico:

Uscimmo insieme quella mattina …dal Parlamento …avevamo percorso pochi metri e all’improvviso qualcosa di pauroso sembrò stagnare nell’aria offuscandone la luce. … Vidi Togliatti cadere a terra; mi precipitai, mi inginocchiai davanti a lui … In quell’istante un’ombra scura ci fu accanto, intravidi la canna lucente di una pistola. Mi gettai d’istinto sul petto di Togliatti e forse questo gesto fece deviare, all’ultimo istante, la mira dell’assassino e colse il nostro compagno solo di striscio, sul fianco. Allora gridai con tutta la mia voce … non so quanti attimi siano trascorsi o quante ore; la vita intorno si era fermata … Togliatti era a terra con gli occhi chiusi, inerte, “morto”… …. Mai ho sofferto così, non mi sono sentita così sola disperata e impotente come in quell’istante. Misi la mano sotto la sua testa … la ritrassi adagio e in quell’istante Togliatti aprì gli occhi: erano i suoi occhi penetranti tranquilli di sempre: gli occhi di Togliatti vivo. … seppi in quel momento, nel modo più sicuro, che quell’uomo che per i lavoratori e la nostra patria aveva combattuto e vinto tante battaglie avrebbe vinto la morte. (da «Vie Nuove» 10 luglio 1949)

Nei primi anni cinquanta, a quel dramma fece seguito per Nilde un periodo di sofferta solitudine politica e professionale. Non le mancava certo la tenacia, continuava il suo lavoro sui temi femminili sia in Parlamento che all’UDI, ma la sua “progressione” – definizione che preferiva alla parola carriera – rimaneva sospesa. Anche la fisionomia complessiva di quel decennio sembrava stagnante e senza slanci. Eppure non tutto era così fermo e immobile, come appariva. Le esperienze e i bisogni di libertà, di emancipazione della generazione di donne nate poco prima o durante la guerra, erano già in fermento nelle famiglie e nella società. Tuttavia – o forse proprio per questo – quelle giovani erano consapevoli di dover sfidare una cultura ancora imperniata sulla soggezione e sul familismo. Anche per questo, progetti ambiziosi, che poi si sarebbero rivelati vincenti negli anni successivi, ebbero la loro gestazione  proprio alla metà di quel decennio. In particolare si trattava di due progetti di legge. Il primo riguardava l’istituzione della pensione per le casalinghe. Un provvedimento che divise il fronte femminile fra chi dubitava che esso rappresentasse un passo significativo sulla via dell’emancipazione e chi, come Nilde, lo giustificava come un segnale lanciato per dar voce alla moltitudine di donne italiane, che vivevano nella solitudine del lavoro domestico, perno vitale dell’attività di cura alla famiglia. In quello stesso mese del luglio ’55, due deputate socialiste e tre comuniste, fra cui Nilde Iotti, presentavano un secondo progetto di legge che riguardava un tema certo ben più incisivo per il presente e il futuro delle donne. Si trattava del testo per la Modificazione degli articoli del codice civile sull’ordinamento del matrimonio, con cui le proponenti evidenziavano lo stridente contrasto esistente fra le norme riguardanti il diritto di famiglia, contenute nel codice civile del ’42, e le mutate condizioni economiche e sociali delle famiglie italiane, ma soprattutto sottolineavano con forza la loro contraddittorietà con i principi di eguaglianza dei cittadini, dichiarati dall’art. 3 della Carta costituzionale:

L’uguaglianza di dignità sociale e di capacità giuridica di tutti i cittadini senza distinzione di qualsiasi natura – ivi compresa la distinzione di sesso – è un principio che prima di essere accolto dalla Costituzione, ha avuto la sua affermazione storica nella Resistenza e nella lotta per la libertà, a cui le donne italiane hanno partecipato con chiara coscienza e con una generosità d’azione a volte spinta al sacrificio. Al riconoscimento del diritto di uguaglianza – diritto che non si può negare senza negare la dignità della persona – la donna è giunta dopo una lunga serie di prove; oggi essa esige che questo diritto sia attuato per ogni istanza della vita sociale.

L’intento cardine del provvedimento era quello di cancellare la potestà maritale e di sostituire la collaborazione fra i coniugi nella direzione della famiglia, all’ordinamento gerarchico del matrimonio, tuttora in vigore. Si trattava, com’è oggi evidente, di un’importante anticipazione delle norme sul diritto di famiglia, sancite vent’anni dopo dalla legge 151/75.

Intanto i sommovimenti carsici degli anni cinquanta, qui appena accennati, trovavano nel decennio successivo una loro effettiva concretezza. Finalmente cadeva il veto all’ingresso delle donne in Magistratura, un traguardo perseguito invano dalle Costituenti fin dalle prime accese discussioni sui valori della Carta (con la legge 66 del 1963; le prime 8 donne entrano in magistratura nel 1965). Entravano in campo i “media”, rappresentati dalle riviste femminili, ma non solo. C’era la televisione, il cinema, la letteratura, la musica. Tutto era alla ribalta e testimoniava un mondo in profonda trasformazione, attraversato dal boom economico, dall’effervescenza politica e sociale, dal mutamento degli stili di vita e dei consumi. E le donne di sinistra erano parte viva di quel laboratorio aperto che era l’Italia.

Anche la “progressione” di Nilde Iotti riprendeva vigore. Ora il suo interesse è più rivolto al partito. Sa di avere le carte in regola per svolgere il lavoro di cui esso ha bisogno: rilanciare una politica attrattiva, convincente e autonoma rivolta alle donne. Del resto anche nel PCI, sia pure faticosamente, erano cadute le prime chiusure nei suoi confronti. Nel 1956, all’VIII congresso, Nilde entra nel Comitato centrale. Nei primi anni sessanta viene nominata Segretaria della Commissione femminile comunista e nel ’62 entra in Direzione.

Poi l’evento traumatico, e mai più rimarginato, della scomparsa del suo compagno. Il 21 agosto del 1964 Togliatti muore a Yalta. Il dolore per quella perdita poteva essere devastante e definitivo. E comportare anche l’eventualità, volontaria o indotta, di un suo abbandono della politica per riservarsi un ruolo che ormai le competeva di diritto, quello di custode della sua memoria. Al funerale di Togliatti la sua presenza, insieme a quella di Marisa, diventa ufficiale proprio nel momento in cui tutti riconoscevano in lei la sua vedova. Vedova di un uomo che mai era stato suo marito. E pur se travolta dal dolore sa di dover compiere un gesto lì e subito. Quel “Memoriale” che lei e Marisa avevano ricopiato sulle rive del mar Nero non era un documento di routine ma il testamento di Palmiro Togliatti, segretario del P.C.I., il suo uomo. Bisognava renderlo pubblico e in fretta.

Nilde non rinuncerà al suo lavoro, anzi con l’impegno di sempre si aggrappa alle cause che l’hanno appassionata: i diritti delle donne e la loro emancipazione, la loro libertà.

Ma saranno gli anni settanta a cogliere i frutti di quel ventennio di effervescenza politica e progettuale. E nonostante gli eventi drammatici che lo contrassegneranno: dalla comparsa del terrorismo rosso e nero, all’uccisione del presidente Aldo Moro e, sul piano politico, dal tramonto definitivo del “compromesso storico”. Una sconfitta che non riesce però a cancellarne le grandi riforme che puntavano in particolare sull’affermazione dei diritti delle donne. E Nilde Iotti fu protagonista di quelle che potremmo definire le tre missioni fino ad allora “impossibili”: divorzio, diritto di famiglia, aborto.

Per tanti motivi, a cui si è accennato, la legge sul diritto di famiglia, forse quella che le stava più a cuore, fu approvata in sei mesi, praticamente da tutti i partiti dell’arco costituzionale. Con quelle norme, finalmente, si sanciva l’assoluta parità fra i coniugi, l’abolizione della figura del capo famiglia, il mantenimento del suo cognome per la moglie, l’equiparazione dei figli naturali a quelli illegittimi, la comunione dei beni (in armonia con l’idea ispiratrice di fondo della legge cioè quello della famiglia comunità con la possibilità di scegliere da parte dei coniugi un regime patrimoniale diverso). Erano principi e diritti di parità ormai divenuti maturi e che sottintendevano anche una sua antica idea di famiglia, fondata sui sentimenti e sulla comprensione reciproca.

Il 1979 sarà il suo anno “magico”. Prima sarà eletta parlamentare europeo poi, pochi giorni dopo, il coronamento desiderato, sperato, forse inatteso, della sua lunga “progressione”. Il 20 giugno proprio lei sarebbe salita sul seggio più alto di Montecitorio, la sua “casa” ormai da trentatre anni. E risalendo i gradini di quello “scalone” dove tutto era iniziato e si era intrecciato – la sua storia di donna e la sua carriera politica – forse avrà ricordato una frase di Borges che l’aveva colpita:

Il passato è indistruttibile,

prima o poi tornano tutte le cose,

e una delle cose che tornano è il progetto di abolire il passato.


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