L’attenzione che Amelio riserva ne Il signore delle formiche alla passione ossessiva di Braibanti per la mirmecologia è uno strumento determinante di notomizzazione e rappresentazione di alcuni aspetti della personalità del filosofo/drammaturgo/poeta.
Braibanti (Luigi Lo Cascio, perfetto nell’operazione di mimesi) appare affascinato dall’organizzazione sociale delle colonie di formiche, dove ogni insetto rinuncia all’individualità (e rifugge la solitudine) per formare un superorganismo i cui elementi condividono i vari aspetti dell’esistenza, dal cibo al lavoro alle informazioni sul mondo esterno. Ogni formicaio, tuttavia, ha origine da una “regina” alata in grado di riprodursi. A questa struttura sembra ispirarsi il laboratorio che il drammaturgo fonda nel 1947 nel torrione Farnese di Castell’Arquato. Prende avvio proprio dal ritratto del poeta in vesti di Maestro apodittico l’analisi acuminata e non agiografica di Amelio. Irascibile, manicheo, egocentrico, cerebrale, crea un’Istituzione totale apparentemente anticonformista in cui però viene perseguito l’annichilimento di ogni pensiero divergente, impedendo di fatto lo sviluppo della personalità dei giovanissimi allievi. Ognuno dei ragazzi potrebbe ripetere la frase di Jakob von Gunten: nella mia vita futura sarò un magnifico zero, rotondo come una palla.
La convinzione di incarnare i principi di un’aristocrazia intellettuale infallibile, e una sostanziale freddezza dell’animo che a volte si traduce in disprezzo supponente per il lavoro altrui – vedi il cameo di Chiara Valerio nel ruolo di poetessa dileggiata dal protagonista –, portano Braibanti a rimanere costantemente in una posizione liminale, quando non di sarcastico antagonismo, nei diversi milieu con i quali entra in contatto: dalle feste della Roma gay (non sono come loro, ma sono anche come loro) alle aule di tribunale, in questo caso con piena ragione. Persino gli incontri con i ragazzi di vita sono connotati da un’attrazione/repulsione che impedisce ad Aldo di consumare i rapporti.
Anche il legame che tesse piano piano con il giovane Ettore pare più che altro fondato sull’eccitazione mentale data a Braibanti dall’esercizio manipolatorio della cultura che si traduce in suadente gioco di potere. Il discepolo, invece, si mostra febbrilmente attratto dall’iniziazione a un concetto intransigente di Arte e Bellezza, nonché dall’attenzione che un esponente del mondo adulto finalmente gli dedica; un adulto antipodale rispetto ai parenti bovini e pinzocheri.
Ettore sarà il vero agnello sacrificale della storia, un innocente assimilabile al principe Myškin – interpretato con delicatezza dall’esordiente Leonardo Maltese – stritolato dalla vanità di un presunto Maestro e dagli ingranaggi feroci di un’Italia volgarissima e codina, dedita all’uso delle acquasantiere e degli elettroshock “riparativi” – il ragazzo, nella realtà Giovanni Sanfratello, ne subì 40, più 19 trattamenti di coma insulinico –, eppure disperatamente fedele all’immagine di Braibanti, che tenta di riscattare con la toccante testimonianza processuale, cercando di recuperare una per una le parole cancellate dalla terapia psichiatrica.
A parte Ettore e Susanna, la madre dignitosa e illuminata di Aldo disegnata con essenzialità da Rita Bosello, il regista non salva nessuno. Con minuziosa cura demolisce la famiglia Tagliaferri, curiale e protofascista, intrisa di tanfo di tinello, frutti di cera e naftalina, le affittacamere laide in vestaglia serica e turbante, i medici untuosi, gli avvocati inclini alla turgidezza oratoria, la stampa omofoba, i magistrati ottusi e incrudeliti, enuncianti la bibbia del luogo comune e pronti a esumare dal codice Rocco il reato immaginario di plagio per mettere alla gogna Braibanti e chiuderlo in carcere – così da ostacolare, se non soffocare, il processo di modernizzazione in corso fra i giovani e gli intellettuali. Soprattutto non nasconde quanto la maggior parte dei “compagni” comunisti desiderasse la forca per i froci che infangavano l’integrità eterosessuale del Grande Partito Operaio, succube in quegli anni del monolitismo ideologico sovietico.
Il moralismo pletorico di sinistra (sinistra?), dilagante negli articoli dell’Unità, rappresenta un peso di giorno in giorno più grave per il terzo protagonista del film, il giornalista Ennio Scribani, di cui Elio Germano rende visibili le minime increspature di insofferenza e sdegno che si formano in superficie. Basta una luce diversa nello sguardo, un movimento brusco delle dita, un improvviso ingobbirsi per definire un personaggio che resta inciso nella memoria.
Scribani si prenderà invano a cuore la vicenda di Aldo ed Ettore, fino all’estromissione dall’Unità, per motivazioni interiori che avrebbero forse meritato un maggiore approfondimento.
Quando le acque si richiudono sulla storia di Ettore e Aldo, rimane negli occhi il pudore arioso della campagna emiliana – e i portici, i cortili delle città, in voluta antitesi al Grand Macabre romano –, nella vividezza malinconica del “tempo perduto”, un crepuscolo dello spirito, florilegio di occasioni perdute per sempre – rotto da ferite lunghe di luce, lampi d’un lontano, inconoscibile cielo 1.
1: La camera da letto di Attilio Bertolucci, Garzanti 1984-1988
IL SIGNORE DELLE FORMICHE
Lingua originale | italiano, emiliano |
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Paese di produzione | Italia |
Anno | 2022 |
Genere | drammatico, storico |
Regia | Gianni Amelio |
Sceneggiatura | Gianni Amelio, Edoardo Petti, Federico Fava |
Produttore | Simone Gattoni, Beppe Caschetto |
Casa di produzione | Kavac Film, IBC MOvie, Tenderstories, Rai Cinema |
Distribuzione in italiano | 01 Distribution |
Fotografia | Luan Amelio Ujkaj |
Montaggio | Simona Paggi |
Scenografia | Marta Maffucci |
Costumi | Valentina Monticelli |
Interpreti e personaggi | |
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