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Le conseguenze del voto in Sicilia

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I risultati elettorali di domenica scorsa hanno confermato l’antica regola che uniti si può vincere, divisi si perde con certezza. È quanto accaduto nelle ultime elezioni per la Regione e il Parlamento. Il centrodestra, pur con molte diversità interne, si è presentato unito e ha vinto, mentre il variegato mondo del centrosinistra diviso in tante frazioni contrapposte ha perso, fatto che in noi cittadini democratici e progressisti provoca tristezza e rabbia.
Per la prima volta la destra-destra col 26% dei voti conquista la maggioranza assoluta alla Camera e al Senato. È andata peggio in Sicilia dove con una maggioranza schiacciante del voto espresso, soltanto dal 48,8% dei votanti per il rinnovo del Parlamento siciliano, si è avuta l’elezione diretta con soli 8oomila voti del Presidente, di centrodestra, della Regione.

Il risultato elettorale ha aperto delle discussioni interne nel centro destra e nel centro sinistra, nel primo per il ridimensionamento della Lega di Salvini e la forte crescita di Fdl e nel secondo per lo stallo del Pd e la dura sconfitta subita.
Relativamente alle ragioni della sconfitta del centrosinistra si può sottolineare che dai suoi presunti appartenenti (i vari partiti, partitini, correnti interne):
-non è stata condivisa alcuna lettura della realtà del Paese e delle sue trasformazioni;
-è venuta meno una convergente analisi della crisi contemporanea del modello di sviluppo neoliberista che ha imperato liberamente negli ultimi quarant’anni ;
– si è indebolito il loro collegamento organizzativo e politico con gli strati sociali, i territori (Centro, Nord, Sud), le aree tematiche (questione meridionale , sviluppo duale, disuguaglianze sociali, contrasto alle mafie e alla corruzione, gli effetti economici e sociali del riscaldamento climatico, delle rivoluzioni tecnologiche, della transizione digitale, ecc) che avrebbero dovuto rappresentare politicamente e sostenere con proposte innovative nel quadro delle politiche comunitarie.
Le problematiche brevemente richiamate riguardano l’intero mondo della sinistra europea che con una debole visione strategica deve fronteggiare la crescita elettorale della destra com’è dimostrato dai risultati elettorali in vari paesi dell’Ue. La globalizzazione senza governance democratica, il fallimento di una terza via ha indebolito i governi nazionali di fronte ai poteri finanziari multinazionali, ha sconvolto i rapporti sociali, ha messo in discussione il welfare state, i diritti sociali conquistati storicamente con dure lotte, hanno prodotto nuove povertà, disuguaglianze, insicurezze e paure.

La pandemia, la guerra della Russia contro l’Ucraina, la crisi energetica, l’inflazione hanno reso più fragili la vita di milioni di giovani, adulti e anziani. Questi cittadini non si sono sentiti difesi dal centrosinistra e hanno creduto alle false promesse dei populisti e dei sovranisti. Il problema, dunque, non è trovare un capro espiatorio, perché esso coinvolge la cultura e la responsabilità di tutta la classe dirigente del cosiddetto centrosinistra. Riguarda la personalizzazione e il leaderismo nei partiti che prosperano nell’illusione dell’uomo della provvidenza.

Non basta cambiare il segretario di turno come ha fatto negli ultimi decenni il Pd, occorre ritornare nei luoghi di lavoro, di cultura e scienza, tra le famiglie, i poveri, le forze produttive, i precari, i disoccupati. Per convincere i cittadini alla partecipazione politica occorre discutere con loro delle soluzioni dei loro problemi senza demagogia, sostenere la presenza degli organismi intermedi, l’associazionismo non profit. È possibile tutto ciò? Sì, ma ci vogliono partiti che non confondano le correnti per democrazia, con gruppi dirigenti nuovi per rigenerarli e che comprendano i mutamenti sociali, economici, ambientali in atto e che siano capaci di realizzare politiche concrete per sconfiggere disuguaglianze e ingiustizie sociali e edificare una democrazia compiuta. In caso contrario ci terremo gli Schifani e le Meloni per parecchio tempo.


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