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L’ impegno per la verità sul caso Toni – De Palo

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139456 del 2019. Porta questo numero il fascicolo di indagine contro ignoti, tuttora aperto presso la Procura della Repubblica di Roma, sull’omicidio di Italo Toni e Graziella De Palo. Dei due giornalisti non si hanno più notizie dal 2 settembre del 1980. Esattamente quarantadue anni fa. A questa inchiesta giudiziaria, ancora in piedi, è legata la speranza di riuscire a risalire alla verità sul caso dei reporter italiani che, negli anni più tormentati della storia del nostro Paese, all’indomani della strage di Ustica e di Bologna, raggiunsero il Libano per raccontare “dal fronte” i traffici che facevano da sfondo al conflitto mediorientale.

La Federazione Nazionale della Stampa Italiana si è posta al fianco delle famiglie Toni e De Palo, anche in ambito propriamente giudiziario, con l’obiettivo di sollecitare e sostenere gli inquirenti, ancor oggi impegnati per ricostruire lo scenario in cui è maturato l’agguato, per accertarne esecutori e mandanti e per individuare il luogo ove sono occultati i resti dei due giornalisti di cui non sono stati mai rinvenuti nemmeno i cadaveri.

La verità può forse emergere nella mole di atti raccolti dal Pubblico Ministero presso gli archivi del servizio segreto militare. Il generale Mario Grillandini, che nel 1980 era vicedirettore operativo della sezione spionaggio estero del Sismi, è tornato a ribadire, nel corso della testimonianza resa nel 2021 al processo sulla strage di Bologna, che la chiave per comprendere quanto accaduto ad Italo Toni e Graziella De Palo rimane celata negli archivi della sede di Beirut del servizio segreto militare, diretta all’epoca dal colonnello Stefano Giovannone. Per capire chi e perché ha fatto scomparire i corrispondenti di Paese Sera, sarà allora utile svelare le ragioni per le quali è stata diffusa, poche settimane dopo la scomparsa, la falsa notizia della liberazione di Graziella De Palo; tanto che un volo dei nostri apparati di Intelligence fu fatto materialmente decollare alla volta del Libano per recuperare la giovanissima inviata. Quel velivolo, inspiegabilmente vuoto al suo rientro in Italia, rimane uno dei tanti enigmi attorno ai quali ruota l’intricata vicenda.

Chi ha provato ad infrangere il reticolo di depistaggi, menzogne e calunnie eretto negli anni a custodia degli indicibili segreti di cui, molto probabilmente, i due giornalisti erano venuti a conoscenza, ha pagato con lo scherno e l’isolamento la propria lealtà verso la nostra democrazia. Come è accaduto all’ambasciatore Stefano D’Andrea che, per primo, manifestò le proprie riserve sull’operato del centro Sismi di Beirut.

Oggi, quarantadue anni dopo l’ultima intervista che costò la vita ad Italo e Graziella, in un mondo totalmente cambiato rispetto a quello del 1980, si può ancora fare molto per provare a dirimere questo doloroso mistero di Stato, liberandolo dal velo opprimente dei tanti omissis che ancora permangono. Ne tenga conto chiunque sarà chiamato a guidare il Paese negli anni che verranno. Lo dobbiamo a queste due vittime, sacrificate sull’altare del diritto-dovere di informazione; lo dobbiamo ai loro familiari che con grande dignità non hanno mai smesso di invocare ed attendere la giustizia; lo dobbiamo all’intera comunità dei giornalisti e ad ogni cittadino che si riconosce nei valori della nostra Costituzione.


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