«C’è un fastidio sempre più crescente nei confronti della libertà di stampa e del giornalismo d’inchiesta. Anche in questa campagna elettorale in cui si vuole una sorta di equivalenza fra vero e falso, fra mafia e anti mafia, fra fascismo e antifascismo. No. Io non ci sto e denuncio un clima pericoloso. Presenterò un esposto ai ministeri degli Interni e della Giustizia denunciando che l’Italia è il paese che ha il più alto numero di cronisti sotto scorta, 30, e che è tempo di arrestare e neutralizzare i molestatori e chi minaccia. Prima che sia troppo tardi. Che non mi si venga a dire che poi non ci sono stati allarmi o segnalazioni».
Giuseppe Giulietti, presidente della Federazione nazionale della stampa italiana, ha aperto in via eccezionale la settima lezione del corso universitario di Alta formazione, Raccontare la verità, come informare promuovendo una società inclusiva, con focus proprio sull’informazione sotto attacco e che ha visto “in cattedra” chi del giornalismo di inchiesta ha fatto il proprio mestiere come Sigfrido Ranucci, Stefano Lamorgese ed Elisa Marincola della redazione di Report e Floriana Bulfon, freelance che collabora con Repubblica, Rai e testate internazionali.
Giulietti ha ricordato come l’esperienza formativa avviata dall’Ateneo padovano con Fnsi, sindacato giornalisti veneto e trentino e Articolo 21, sotto la direzione di Laura Nota, sia un laboratorio unico in Italia e che rappresenta il metodo per assicurare un futuro in primis alla professione giornalistica e a tutte le professioni: «Siamo nella società dell’informazione e della conoscenza e il corso di Padova ha messo insieme queste due mondi all’insegna dello studio, della ricerca, dello scambio di competenze. Oggi il giornalista deve non solo essere preparato, necessita di un aggiornamento continuo rispetto al quale non bastano le sue specifiche competenze per comprendere e poi tradurre la complessità dei fenomeni».
Il presidente della Fnsi ha poi rilanciato l’iniziativa congiunta Fnsi-Ordine nazionale dei giornalisti ospitata nell’ambito della 79. Mostra del Cinema di Venezia, lunedì 5 settembre, in favore di Assange. L’appuntamento è al Lido, alle 17, nella Casa degli autori.
«Assange può piacere o meno e l’oppressione non va combattuta in base al colore bensì in quanto tale, un concetto che fatica a passare specie in Italia in cui la polarizzazione è esasperata. In questo caso non si punisce i responsabili dei crimini scoperti da Assange, ma colui che ha mostrato al mondo questi crimini e che rischia fino a 175 anni di carcere. Il compito del giornalista è fare domande scomode, verificare i fatti in diretta, confutare cifre o affermazioni non veritiere. Diversamente rinuncia al valore costituzionale del mestiere che di sostanzia nel diritto dovere di informare correttamente».
E che l’informazione sia sempre più sotto attacco lo hanno ribadito anche Ranucci che ha parlato di «accerchiamento e desertificazione», Lamorgese che ha illustrato che ci si difende lavorando in squadra, con precisione, senza tesi preconcette e «facendo rumore organizzandoci». Marincola si è soffermata su quelli che ha definito «bavagli istituzionali» riferendosi a leggi che limitano la libertà di stampa: dal decreto sulla presunzione di innocenza, con la recente ed ennesima richiesta del procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri, a giornalisti ed editori di intervenire per cambiare la norma che impedisce alle Procure di parlare delle inchieste, alla riforma del processo penale, alle liti temerarie in sede civile con richieste di risarcimento milionarie, alla legge sulla privacy: «Ora si vuole pure cancellare la memoria rifacendosi al diritto all’oblio con società specializzare nella “pulizia reputazionale” senza parlare della continue pressioni dell’autorità giudiziaria attuata con perquisizioni e sequestri di cellulari e pc allo scopo di arrivare alle fonti».
E se chi è inserito in una grande struttura editoriale incontra sempre più difficoltà, figuramoci chi è freelance, condizione che spesso fa rima con precario e sottopagato. Di qui il tema della dignità del lavoro da rivendicare sempre. Bulfon ha condiviso la sua esperienza e spiegando come nasce e si sviluppa una inchiesta giornalistica confrontando le differenze fra Italia e altri paesi europei e la necessità quasi vitale dei consorzi internazionali: «Dai noi purtroppo c’è una propensione a preferire la polemica all’approfondimento, alla verifica puntuale dei fatti ed eventualmente alla loro puntuale contestazione e il giornalista spesso si trasforma in personaggio rispondendo a logiche di spettacolo. Per recuperare legittimazione e autorevolezza servono cronisti. Lo spettacolo è un altro mestiere».