L’esito del voto in Sardegna può rappresentare un paradigma dell’uso popolare che ne fa l’elettorato. Basta leggerlo con attenzione e per parti.
Cominciamo dall’altissima astensione. Ha votato solo il 53,1 % ben oltre 11 punti in meno rispetto al 2018. Solo in Calabria si è avuto un dato superiore. Promesse mancate, servizi allo sfascio, la sanità a brandelli, i trasporti una chimera, il lavoro che non c’è e, laddove esiste, diminuisce o si precarizza ulteriormente. Per settimane cittadini e sindaci sono scesi in piazza per esprimere paura, disagio, preoccupazione. In alcuni comuni si è arrivati a bruciare o strappare i certificati elettorali. La protesta popolare non ha avuto alcuna attenzione da parte istituzionale, governativa, parlamentare.
Cosa può fare il cittadino che non riesce a farsi curare, che sta per giornate intere all’interno di ambulanze o nei pronto soccorso, che non ha a disposizione per i suoi studenti mezzi di trasporto sufficienti, che per varcare il mare deve affrontare spese esorbitanti? O diserta le urne oppure manda segnali precisi. Quest’ultimo è stato il terreno scelto da quella metà dei sardi che ha deciso di andare a votare.
Lega e Psd’Az, che, con un’alleanza contro natura avevano vinto le regionali ed avevano espresso il presidente (Psd’Az) e vari assessori (tra loro quello della sanità), sono stati i più puniti: hanno superato di poco il 6%. Alleanza offensiva per i sardi anche nella rappresentazione simbolica perché i quattro mori di Lussu e Bellieni, da cento anni presenti nel panorama politico italiano, non sono stati ammessi sulla scheda proposta dalla Lega. A questa scelta, pensate, si era opposto l’assessore ai trasporti, Giorgio Todde, di quella stessa spuria alleanza, che, accusando la Lega di ‘colonialismo’, si era dimesso sia dall’incarico, sia dal partito. Per tutta risposta il suo Presidente, Christian Solinas, quasi lo volesse sconfessare pubblicamente, è andato a rendere omaggio alla Lega, dal palco di Pontida. Cosa avranno pensato i sardisti veri?
Certo, anche in Sardegna il primo partito è risultato essere Fratelli d’Italia ma, altra sorpresa del voto sardo, ha superato di soli due punti percentuali il Movimento 5 Stelle che ha scavalcato il PD. Perché, visto che, anche qui, si dava il Movimento moribondo e sulla soglia della sparizione? Non ci sono dubbi che il risultato positivo è stato determinato dalla coerenza di Conte e dall’azione svolta dai parlamentari espressi da quel partito, mentre il PD, che pure è cresciuto rispetto al 2018, è stato visto più come forza politica ferma sulle posizioni istituzionali che schierato a favore della sua storica e tradizionale base. Ed è andata bene anche l’alleanza Verdi-Sinistra con un solo punto in meno della Lega e con più voti rispetto ad Azione di Calenda-Renzi che, anche se dichiarano fermi propositi di opposizione verso chi ha vinto, come si fa a classificarli con certezza, visti i tanti trasformismi dei due principali protagonisti?
La situazione che si è determinata in Italia e in Sardegna deve indurre il mondo progressista ad un’approfondita riflessione su quale ruolo svolgere in un paese che sembra aver dimenticato la propria grandiosa storia popolare, quella che ha tirato fuori dalle macerie un Paese distrutto, che ha saputo costruire una democrazia solida dandosi una straordinaria Carta Costituzionale, che ha saputo mandare i propri figli, tutti i propri figli, nella scuola pubblica per educarli e formarli, che riusciva a costruire occasioni di lavoro nelle quali fare inserire i giovani. Si può davvero credere che quell’Italia ‘popolare’, possa essere sostituita da ‘populisti’ che conquistano salotti televisivi dai quali impongono un linguaggio fatto di slogan e che di politico non ha niente.
Per liberarsi dai pericoli rappresentati da questa destra, dal suo autoritarismo, dalle sue alleanze con i Le Pen, gli Orban, i Duda bisogna smetterla con progetti campati per aria, eclatanti, inconcludenti e ritorniamo realmente popolari. Il segnale che viene dalla Sardegna bisogna saperlo cogliere. L’alleanza progressista, non voluta o mancata a livello nazionale, qui si può cominciare a costruirla, ma non pensando a giochi di potere, puntando invece ad allargare collaborazione e partecipazione verso quei cittadini che implorano un ritorno alla politica. Cittadini che non si fanno condizionare dal vento che sta soffiando impetuoso, che si tengono stretti la storia gloriosa dell’antifascismo, che conoscono il valore vero di ‘Bella Ciao’, cantato sia dalle popolazioni aggredite dell’Ucraina, sia dalle donne iraniane in lotta per libertà e dignità. Non come quei tristi esponenti musicali italiani che pensando ai nuovi sponsor, o, peggio, per profonda ignoranza, hanno rifiutato di cantarla perché ‘troppo politica’.