L’acronimo DIG sta a significare Documentari Inchieste Giornalismo, e si riferisce al DIG Festival 2022 “Stay Gold”il più importante festival europeo dedicato al giornalismo investigativo e di reportage che si è tenuto a Modena dal 22 al 25 settembre scorso dedicato a Populismi e democrazie, crisi politica e climatica, libertà di espressione, diritti civili e focus sull’Italia al voto: sono questi i temi su cui si sono concentrati oltre 80 eventi, tra workshop, anteprime cinematografiche, incontri sull’arte e concerti. Nei quattro giorni della manifestazione si è parlato di conflitti, propaganda e giornalismo, delle grandi crisi del tempo in cui viviamo attualmente, di autoritarismo tecnologico.
Un’edizione dedicata alla memoria di Matteo Scanni giornalista, documentarista, a lungo direttore della Scuola di Giornalismo dell’Università Cattolica prematuramente scomparso il 27 gennaio scorso. Alberto Nerrazzini, giornalista investigativo è il presidente di DIG che nella presentazione del programma ha confermato «il supporto al giornalismo investigativo e la crescita della sua grande comunità composta da autori, giornalisti e cittadini che non si accontentano e vogliono essere consapevoli, informati, liberi e incorruttibili»
Di particolare interesse i talk come “My life undercover. Giornalisti sotto copertura” con Mads Brügger, Sacha Biazzo, Alberto Nerazzini, Corrado Formigli, e “Giornalisti e procure: l’inchiesta sotto indagine” con Giorgio Meletti, Giuseppe Giulietti, Alberto Nerazzini, Paolo Mondani, Fabrizio Franchi che già dalla presentazione aveva le caratteristiche di un dibattito incalzante su quanto è difficile per i cronisti che si occupano di inchieste in una nazione dove la ricerca della verita dei fatti viene ostacolata: «La solitudine troppo silenziosa dell’inchiesta in Italia. Partendo dal caso paradigmatico, nel maggio scorso, della Procura di Caltanissetta che ordina ai militari della Dia, nelle ore immediatamente successive alla messa in onda di una nuova inchiesta sulla Strage di Capaci, di perquisire l’abitazione e la redazione di Paolo Mondani, inviato di Report Rai3, sequestrando anche telefonini e computer, un incontro per fotografare e denunciare il declino dell’informazione nel nostro Paese.
Libertà di espressione,tutela delle fonti, segreto professionale. Ma anche indipendenza, autocensura, tutele legali e contrattuali del giornalista». Ad introdurre il dibattito è intervenuto Alberto Nerazzini che ha messo subito il dito nella piaga: «Le Procure non indagano più. Il sistema Goustizia in Italia è allo sbando anche se sulla carta abbiamo il sistema giudiziario migliore». Proiettato sullo schermo in alto al tavolo dei relatori appariva il “Decreto di perquisizione locale e personale e sequestro” della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Caltanissetta. Direzione Distrettuale Antimafia, commentato cosi dal presidente di DIG: «In poche righe è rappresentato il dramma di mette sotto indagine chi indaga».
Paolo Mondani è giornalista professionista. Ha lavorato per quotidiani italiani e network italiani ed esteri. Per la Rai, nel 1997, ha collaborato agli Speciali di Raidue. Inoltre, tra il 1999 e il 2002, ha lavorato come inviato per Circus, Raggio Verde, Sciuscià, Emergenza Guerra e Sciuscià edizione straordinaria. Nel 2003 è inviato e coautore di Report, su Rai Tre. Nel 2006 collabora, come inviato, ad AnnoZero su Rai Due. Dal 2007 è di nuovo nel Team di Report. Autore dell’inchiesta andata in onda su Report il 30 maggio 2022 “La pista nera” che ha svelato la presenza di Stefano Delle Chiaie, il fondatore di Avanguardia Nazionale, sul luogo della strage di Capaci del 23 maggio del 1992 e i suoi contatti con esponenti mafiosi. «Il 29 aprile, un mese prima che il mio servizio venisse trasmesso da Report, vengo convocato dalla Procura di Caltanissetta e mi viene detto che “sto facendo un lavoro che do fastidio” alla presenza di un gruppo di sostituti procuratori e di uno dell’Antimafia nazionale.
La cosa singolare è che io – racconta Paolo Mondani – non avevo ancora mandato in onda nulla. Mi chiedono cosa io avevo intenzione di far vedere in televisione e mi anticipano, testuali parole che “tutto quello che verrà trasmesso verrà smentito dalla Procura”. Nel servizio si parla di eventuali mandanti della strage di Capaci e nelle indagini che coinvolgevano eventuali mandanti ed esecutori si era trascurato un particolare importante, quello della presenza di Stefano Delle Chiaie, fondatore di Avanguardia Nazionale coinvolto nella strategia della tensione e deceduto nel 2019. Le indagini condotte anche prima della strage in cui perse la vita Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e gli uomini della scorta Vito Schifani, Antonio Montinaro e Rocco Dicillo, presagivano cosa sarebbe poi accaduto. Un collaboratore di giustizia non viene creduto e spariscono le prove. La compagna di questo uomo è la sorella dell’autista di Delle Chiaie e racconta che spesso andava a Palermo dove si incontrava con boss mafiosi».
Nella informativa scaturita da quell’incontro veniva dichiarato il coinvolgimento di Stefano Delle Chiaie nella strage di Capaci del 23 maggio 1992. L’ex brigadiere Walter Giustini ascoltato dalla procura nazionale Antimafia aveva spiegato che sarebbe stato possibile arrestare Totò Rina 13 mesi prima della strage ma una parte della magistratura ha scelto la strada della restaurazione, della sedazione narrativa. Quello che è accaduto a Palermo è una storia di documenti spariti, di nascondimento delle prove. Paolo Mondani racconta con estrema pacatezza quanto è accaduto prima che il suo servizio giornalistico per Report andasse in onda: «Sono stato pedinato, registrato, intercettato».
A fronte delle proteste dell’Ordine dei Giornalisti e della Federazione della Stampa, della redazione di Report, il decreto di perquisizione viene ritirato ma resta l’amarezza di vedere come il lavoro di un giornalista che indaga venga osteggiato da chi dovrebbe avere tutto l’interesse di arrivare alla verità sulle stragi di mafia. Giorgio Meletti ha lavorato per numerosi giornali tra i quali Il Secolo XIX, Il Mondo, Corriere della Sera, Tg La7, Il Fatto Quotidiano e, negli ultimi due anni scrive per il Domani. «Mi vanto di entrare nei palazzi di giustizia solo come imputato in considerazione che non mi occupo di cronaca giudiziaria ma di economia. Purtroppo noto che il giornalismo giudiziario tende a sminuire e a non irritare le sue fonti, che non sono altro che i giudici. Ci sono atti giudiziari che erano stati depositati due anni prima che cadesse il ponte Morandi di Genova e solo sul Fatto Quotidiano, dove a quel tempo lavoravo, erano stati pubblicati. Purtroppo c’è una normalizzazione e i giornalisti giudiziari sono allo stesso tempo carnefici e protagonisti».
La parola poi è passata a Giuseppe Giulietti che ha spiegato come si percepisca «l’assenza di dibattito e che prima della Rete esiste l’Agorà. Come dice bene il fratello di Giancarlo Siani (ucciso a Napoli nel 1985, ndr) “bisogna arrivare il giorno prima e non dopo”. Il giornalismo d’inchiesta non è sotto attacco solo in Italia ma è un problema internazionale e penso a Putin, Bolsonaro, Steve Bannon. Una delle cause è quella della disintermediazione perché il mediatore dell’informazione diventa un ostacolo». Il presidente della Federazione nazionale della stampa ha fatto poi una proposta per quanto accaduto a Paolo Mondani: «Un esposto alla Procura per quello che ha subito perché il pedinamento e le intercettazioni a suo carico sono illegali». Il dibattito si è concluso con l’intervento di Fabrizio Franchi consigliere nazione dell’esecutivo dell’Ordine dei Giornalisti. «Noi giornalisti siamo soli e non abbiamo chi ci tutela. Subiamo il peccato originale che deriva dalle inchieste su Tangentopoli. Purtroppo è saltata la politica e subiamo anche le querele temerarie», ricordando che anche nel suo caso aveva subito una querela che si era trascinata per anni in Tribunale.