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Decreto di citazione a giudizio del giornalista Paolo Borrometi. I chiarimenti dell’avvocato Fabio Repici

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“Il decreto di citazione a giudizio del giornalista Paolo Borrometi sottoscritto dal Procuratore della Repubblica di Ragusa Fabio D’Anna e dalla Sostituta Procuratrice Monica Monego è stato notificato stamattina alle 10:34 e già alle 11:17 è stato seguìto da un comunicato dell’on. Fava che suona note di giubilo. Per questo appare necessario fissare con nettezza alcuni elementi obiettivi”. Lo scrive Fabio Repici avvocato di Paolo Borrometi.
“Secondo l’ipotesi di reato contestata a Borrometi egli avrebbe diffamato componenti della Commissione antimafia dell’Ars con la nota in cui il 20 aprile 2020 contestò le affermazioni di una relazione della stessa Commissione e segnalò che egli il 15 marzo 2015 aveva effettivamente pubblicato sulla testata online da lui diretta un comunicato che secondo la Commissione, viceversa, non era mai apparso.
Dopo le querele proposte congiuntamente dall’on. Fava e da altri componenti della Commissione antimafia regionale, nel corso delle indagini preliminari avevamo dimostrato documentalmente alla Procura di Ragusa che:
1. In periodo di poco precedente all’audizione di Paolo Borrometi davanti alla Commissione al tempo presieduta dall’on. Fava la testata online diretta da Paolo Borrometi era stata fatta bersaglio di una gravissima operazione di hackeraggio. Questa non è la tesi dei difensori di Paolo Borrometi ma la conclusione raggiunta dalla Procura della Repubblica di Roma;
2. La pubblicazione contestata a Borrometi dalla Commissione antimafia regionale come mai pubblicata era, invece, stata effettivamente pubblicata il 15 marzo 2015 e quell’articolo dopo l’intrusione degli hacker era stato rimosso dagli articoli visibili e relegato nel cestino del sito (“trash”), dove è stato recuperato dall’unico consulente tecnico che da aprile 2020 ha ufficialmente potuto accedere e ispezionare dall’interno il sistema informatico utilizzato da Borrometi;
3. È stata raccolta la deposizione di un testimone che aveva effettivamente letto nel 2015 sul sito di Borrometi l’articolo che nel 2020 secondo la Commissione antimafia regionale non era mai stato pubblicato;
4. Dal 15 marzo 2015 al mese di febbraio 2020, allorché Paolo Borrometi fu audito dalla Commissione antimafia regionale, mai nessuno si era accorto né si era mai lamentato di quella presunta mancata pubblicazione di cui sarebbe stato “responsabile” Borrometi e la cui scomparsa è invece da ascrivere all’azione di hackeraggio di cui Borrometi è stato vittima. Ciò perché, appunto, quella pubblicazione era comparsa il 15 marzo 2015.
Davanti a questi elementi oggettivi chiunque comprende che non esistevano i presupposti per la celebrazione di un dibattimento a carico di Paolo Borrometi per quella scombiccherata ipotesi di reato. Tuttavia, il dr. D’Anna e la dr.ssa Monego hanno emesso il decreto di citazione diretta a giudizio a carico del giornalista Borrometi per l’udienza dell’8 giugno 2023. Al Consiglio superiore della magistratura sottoporrò i fatti sopra descritti perché si valuti se l’emissione del decreto di citazione a giudizio, davanti alle risultanze del fascicolo, possa rientrare nel campo delle valutazioni discrezionali che un pubblico ministero compie al termine delle indagini preliminari o se invece ci siano elementi per ritenere inadeguata l’azione del dr. D’Anna come capo di un ufficio requirente e della dr.ssa Monego come pubblico ministero.
L’avvocato Alessandro Vitale e io, quali difensori di Paolo Borrometi, affronteremo serenamente il processo, laddove il Tribunale di Ragusa prenderà atto non dell’assenza di prove a carico di Borrometi ma della sussistenza di prove che dimostrano l’assoluta falsità dei fatti contestati al giornalista. Magari sarà l’occasione per identificare i responsabili della criminosa attività di hackeraggio compiuta ai danni di Paolo Borrometi. Insomma, magari dopo questo processo inutile e ingiusto, seppure attraverso vie contorte, si celebrerà un processo nei confronti di qualcuno che si è reso responsabile di una ignominiosa campagna di discredito di un giornalista integerrimo, vittima di un eclatante caso di character assassination che dura da qualche anno con una virulenza davvero senza pari. Perché è vero, come afferma in piena campagna elettorale l’on. Fava, che la Commissione antimafia regionale da lui presieduta, tramutata in una Commissione anti-anti-mafia, ha avuto un deficit di onorabilità, ma quella perdita di credibilità deriva dalle scelte fatte dalla maggioranza dei suoi componenti sotto la guida dell’on. Fava e con la condivisione esplicita dell’on. Micciché quale presidente dell’Ars. Del resto, leggere negli atti del fascicolo che l’on. Fava ha proposto querela contro Paolo Borrometi anche su delega dell’on. Micciché e dell’Ufficio di Presidenza dell’Ars dà a tutta la vicenda pure un curioso tono di surrealismo».


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