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Dal Salento una bellissima storia d’integrazione

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C’è un mare che unisce, Giano bifronte, sponda di esodo e d’approdo. Ed è il mare del Salento. Che se potesse parlare ne avrebbe da narrare di storie. Di disperazione e riscatto, paura e speranza. Ed è lui che di fatto, ci consegna una storia da raccontare, ricordandoci che c’è qualcos’altro, come le onde, in grado di unire. Oltre ogni strategia, geopolitica, sistema. Ed è il cibo.

Da Cortina passando per Copertino (Le) con salti in Costa d’Avorio, Senegal, Pakistan, Siria, tra flutti perigliosi e barconi di fortuna , pittule bollenti e baklava armeni zeppi di miele da addentare come si morde la fiducia, si dipana un viaggio di bellezza, integrazione e riscatto chiamato Griot.

Una brigata di cucina composta da uomini e donne sbarcati sulle coste del Salento a bordo di natanti in fuga dalla disperazione, esperta nella preparazione di catering multietnici nei quali ognuno racconta la sua terra d’origine attraverso i piatti della tradizione. Così si incontrano paralleli e meridiani, navigando verso tavolate colorate. Al timone c’è Roberto Zanetti, arrivato 20 anni fa nel Salento da un paesino attaccato a Cortina, per terminare la sua tesi dedicata a turismo e b&b e poi rimasto, per lavoro e per amore.

“A distanza di anni ho aperto un ristorante a Copertino, nel centro storico, dove mi dilettavo a preparare piatti che parlassero della mia terra come della vostra, ricordo ancora le pappardelle al Primitivo di Manduria col capriolo”. Poi l’avvicendarsi delle fasi della vita, il matrimonio, il figlio, il lavoro da dipendente e infine i corsi di formazione che hanno permesso la nascita di Griot.

Termine che non ha facile traduzione  letterale ma significa, in Africa, tramandare di generazione in generazione la cultura di un popolo e di un territorio attraverso gli usi concreti, messi in pratica, in assenza di una tradizione scritta come avviene invece in Europa.

Capitan Roberto tiene a Magliano nel leccese in un centro qualificato ”quattro corsi di alta formazione per ragazzi immigrati. Faccio cucina, pizza, pane e pasticceria con 16 partecipanti a percorso per la durata massima di 120 ore”.

Tecnica, cura, tenacia. “Sono pignolo, mi piace lasciare qualcosa ai corsisti che serva loro per il futuro”, sottolinea Roberto. E oltre il risvolto professionale, quelle cucine sono state fucina di un cammino di integrazione positivo e colorato senza precedenti, a partire dal 2018.

Perché i ragazzi che arrivano al centro non sono fuori legge in fuga, ma vite instradate al futuro dalle associazioni che le accolgono sul territorio all’indomani degli sbarchi.

C’è bellezza, oltre la cortina della diffidenza e del giudizio.

“Siamo partiti, d’accordo con i miei datori di lavoro ed è stato bellissimo – sorride Zanetti gustando un tiramisù artigianale attorno a un tavolo conviviale a Leverano -.  Gambia, Armenia, Siria, Mali, Costa d’Avorio, Senegal, Nigeria, sono alcuni dei paesi di provenienza dei componenti del team”.

Che cambiano in base alle destinazioni che ogni componente prende man mano.

I primi catering hanno prodotto stupore, gradimento e altre commesse.

“Poi è arrivata la pandemia e ha bloccato tutto, stiamo provando a ricominciare”. E c’è da giurare che ce la faranno. Perché – il risvolto doloroso –gli sbarchi non cessano ma anche perché  – la faccia nobile della medaglia -, oggi più che mai c’è voglia e necessità di sentirsi fratelli, di melting pot di culture, storie, percorsi.

Che si tracciano ad esempio sull’ocra “un vegetale che per me è stata una scoperta- ricorda il timoniere -, molto buona. Una zucchina pentagonale con all’interno un gel dal gusto particolare che i maliani abbinano a riso e gamberetti”.

È dolce, l’abbraccio.

Forse perché viene dal buio dei graffi dell’animo.

“Ho conosciuto ragazzi egiziani – si commuove Roberto – che durante la traversata verso il Salento sono caduti in acqua, ci sono stati tante ore. Altri che in Libia sono stati torturati, hanno visto la morte…”.

Ma il mare è fluido. Annega o tiene a galla.  E chi tocca la terraferma è tedoforo di un messaggio di vita. Che si scrive a tavola, dove si può fare la storia. E la pace.

da La Gazzetta del Mezzogiorno


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