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Da Sabra e Shatila a Bannon: quarant’anni di deriva morale

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Per misurare lo stato di salute dell’informazione italiana, basta citare un esempio: il pressoché unanime silenzio in merito al quarantesimo anniversario del massacro di Sabra e Shatila, una delle tante forme di sopruso, vessazione e martirio cui è stato sottoposto il popolo palestinese nel corso degli ultimi settant’anni. Del resto, cosa ci si può aspettare di diverso in un Paese in cui un candidato è stato costretto a ritirarsi dalla corsa elettorale per aver messo in discussione non l’esistenza dello stato di Israele, sulla quale siamo tutte e tutti d’accordo, ma la legittimità di alcune scelte e di determinate politiche dei suoi governanti? Ebbene, sulla ricorrenza in questione è calato il sipario: nessun approfondimento, nessuna analisi, nessuna riflessione e una sinistra sempre più subalterna alla visione unilaterale che scandisce quest’amara stagione. E pensare che uno dei punti di forza della politica estera italiana, durante la Prima Repubblica, era costituita proprio dal suo essere filo-araba, al punto che sia Craxi che Berlinguer avevano ottimi rapporti, ad esempio, con il leader dell’OLP Yasser Arafat e anche fior di democristiani, Andreotti e Moro in primis, non hanno mai accantonato la linea del dialogo e del confronto con un mondo a noi affine e indispensabile per esercitare il nostro ruolo nel Mediterraneo.
In tanta malora, dinque, è difficile sorprendersi se poi personaggi come Bannon e Orbán tornano alla carica, riuscendo nell’impresa di sostenere con successo i propri beniamini e mettendo così a rischio la collocazione europeista dell’Italia. Quanto all’atlantismo, invece, non si corre alcun rischio: la NATO è viva e lotta insieme a noi, e nessuno dei sovranisti che si aggirano come spettri per il Vecchio Continente intende metterla in discussione. A essere a rischio è l’Europa e con essa anche l’euro, e non c’è dubbio che una Nazione fragile e indebitata come la nostra possa essere utilizzata come grimaldello per scopi tutt’altro che commendevoli. Così come non c’è dubbio che un indebolimento dell’Italia potrebbe rappresentare un favore non da poco per Putin e per coloro che, più o meno esplicitamente, lo sostengono. Il punto,  tuttavia, è un altro: si può detestare il putinismo in tutte le sue forme senza per questo essere completamente sdraiati su una linea politica comunitaria, e diciamo anche atlantica, del tutto sbagliata e controproducente? Si può esercitare il diritto di critica e mettere in discussione i capisaldi di una strategia che, col passare degli anni, si è rivelata sempre più dannosa? Si può sostenere l’Ucraina senza per questo appoggiare ogni richiesta di Zelens’kyj? Si può sostenere il sacrosanto diritto di Israrle a esistere, a patto che la formula sia quella dei due popoli – due stati, finora rimasta sulla carta e nelle pie intenzioni di qualche sporadico accordo per via dell’espansionismo dei coloni israeliani e della condotta di esecutivi come quello di Netanyahu, che tutto hanno fatto fuorché battersi per la pace e la distensione? Si può condannare Hamas chiedendo, al tempo stesso, che venga liberata la prigione a cielo aperto di Gaza? Si può commemorare un eccidio, quello di Sabra e Shatila per l’appunto, anche in una fase storica così complessa e delicata? E si può dire all’Europa che il bellicismo, l’ulteriore invio di armi a un Paese già armato fino ai denti e il rafforzamento di sanzioni che, a lungo andare, avranno ripercussioni negative anche sulla Russia ma nel frattempo rischiano di far saltare le nostre economie, questa visione muscolare e un po’ infantile ha prodotto come unico risultato quello di rafforzare il pessimo Putin e i suoi satelliti?
A pochi giorni dal voto, ci teniamo a far presente che anche noi siamo preoccupati, e non poco, per l’avanzata di una destra che di liberale ha ben poco e che in passato ha strizzato l’occhio a un congruo numero di autocrati. Quello che non accettiamo è di voltarci dall’altra parte di fronte a storture non meno intollerabili, trasformandoci in sudditi del conformismo, tifosi con la trombetta in bocca, esaltati che invocano l’atomica dal divano di casa, picchiatori da salotto e guerrafondai da tinello. Non accettiamo che alla barbarie dei soliti noti si aggiunga anche quella di chi dovrebbe difendere principî e valori senza i quali il Vecchio Continente semplicemente non è. E non accettiamo l’idea che le vittime non siano tutte uguali, qualunque sia il loro colore della pelle, la loro nazionalità e la latitudine cui si svolgono le mattanze. Abbiamo pianto per Sabra e Shatila, per Srebrenica e oggi ci inginocchiano di fronte agli orrori che stanno venendo alla luce in Ucraina, ribadendo, però, che esigiamo di trattarli allo stesso modo, senza pretendere che ci siano dittatori buoni e dittatori cattivi, senza sorvolare su alcun crimine occidentale e conservando la memoria di ciò che è stato affinché non si ripeta mai più. Proprio perché noi non siamo Putin, Orbán, Bannon e compagnia tiranneggiante. Siamo democratici a ventiquattro carati e vogliamo rimanerlo. È una questione, se non di etica, di deontologia professionale: ciò di cui la nostra categoria troppo spesso si illude di poter fare a meno.

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