È sempre più evidente che la società dell’informazione pervade la trama nervosa del mondo.
La carta stampata è in crisi profonda, la televisione generalista regge negli ascolti ma perde via via ogni identità avvolta da trash e talk, il lavoro è dominato dal precariato che spesso è puro schiavismo.
Domina la rete, con logiche e paradigmi lontanissimi dallo spirito iniziale: da regno delle libertà è divenuta ormai preda di pochi potentissimi oligarchi. Gli Over The Top (da Google, ad Apple, a Facebook, ad Amazon, a Twitter, a Microsoft, a Tik Tok) sono vere e proprie meta-nazioni, con fatturati più grandi di un medio Paese benestante. E non è definito, ancora, il tema della tassazione delle Big Tech.
Esiste sempre, poi, lo scandalo accantonato con dolo del conflitto di interessi, di cui neppure si parla. Eppure Berlusconi ce lo fa ricordare in ogni momento.
Lo stesso avvento del digitale, salutato come una divinità pagana nel Pnrr, è irto di ostacoli e di scelte fatte a metà. Nel rapporto europeo DESI (Digital Economy and Society Index), ad esempio, se l’Italia è un po’ risalita (ora al 18° posto su 27) nella valutazione complessiva, rimaniamo la maglia nera quanto a culture digitali.
Viene rimosso, non per caso, ogni riferimento al 5G e all’inquinamento elettromagnetico. Servono misure di cautela a tutela della salute e dell’ambiente maggiori e non minori di quelle di oggi. Forse è arrivato il momento di costruire, dunque, un’alternativa “ecodigitale”. Il digitale è, per di più, un attore enorme del consumo di energia.
Non c’è una vera e propria linea strategica sulla banda larga e ultralarga, dove siamo indietro e soprattutto fermi per l’incertezza sulla eventuale unicità della rete. Da quest’ultima vicenda discende la questione di Tim-Telecom: l’evocato spezzatino (non certamente risolto dal neo-statalismo di FdI) mette a rischio 40mila lavoratori, con un indotto che arriva a 100mila addetti.
Vi è, anche, il nodo cruciale dei dati personali: va riaffermato il principio dell’appartenenza delle identità digitali alle persone e non ai padroni di Internet. Altrimenti, i casi come Cambridge Analytica incombono. Ugualmente è da riaffermare la negoziabilità degli algoritmi, che non possono essere una sorta di inconoscibile latinorum.
E poi alcune tematiche rimangono irrisolte: dal freno alle querele temerarie alla riforma moderna del servizio pubblico radiotv.
Sulla Rai, nel 2015 presentai insieme a Giuseppe Civati – grazie ad un testo predisposto con lungimiranza da MoveOn – una proposta di legge completamente opposta a quello che volle l’allora presidente del consiglio Renzi, che impose il ritorno dell’azienda pubblica sotto l’egida del governo, mentre noi immaginammo di svincolare da indebite ingerenze un apparato che rappresenta un bene comune. Infatti, il testo si intitolava non a caso “La Rai dei cittadini”, con il coinvolgimento nella gestione di ampi settori della società civile attraverso una Fondazione indipendente cui far transitare le azioni oggi in capo al ministero dell’Economia. Ora chiediamo il rispetto del pluralismo e certezza nelle risorse, evitando di affidare – come chiede la Lega- il canone di abbonamento alle Regioni. Si creerebbe un pasticcio e si aprirebbe per tale via la strada della privatizzazione. Un servizio pubblico differenziato e non egualitario.
In sintesi, dobbiamo riprendere il capitolo dei media e del digitale, che purtroppo è sceso nella bassa classifica delle priorità. Mentre l’Italia è piombata dal 41° al 58° posto nella classifica per il tasso di libertà di informazione stilata dal World Press Freedom Index.
Ultima, e non certo ultima, la storia di Assange: il giornalista fondatore di WikiLeaks rischia in queste settimane di essere estradato negli Usa, dove pendono su di lui – per una legge sullo spionaggio del 1917- 175 anni di carcere. E la sua eventuale condanna (“colpevole” di avere scritto sui crimini di guerra in Iraq e in Afghanistan, nonché sugli orrori di Guantanamo) sarebbe un colpo ferale al diritto di cronaca e un chiarissimo avvertimento per coloro che non si vogliono piegare al silenzio imposto dai poteri sui misfatti.
Ecco perché non ci vogliamo arrendere. È il momento di resistere e di costruire un’alternativa ecodigitale, una Rai dei cittadini, un altro Villaggio globale possibile.
Fonte: Repubblica
Iscriviti alla Newsletter di Articolo21