“La guerra tra noi” è il titolo del bel libro scritto da Cecilia Strada, per Rizzoli, cinque anni fa e che si rivela di formidabile attualità. Nei giorni scorsi è stato presentato nel Sud Sardegna, a Guspini e Iglesias, ed è stata l’occasione per fare il punto sui drammi che si vivono nel mondo, non solo per i conflitti armati, ma anche per l’inarrestabile e sempre più doloroso fenomeno delle migrazioni dei popoli che fuggono da miseria, carestia, povertà, violenze. Proprio su questo fronte Cecilia Strada prosegue l’impegno cominciato decenni fa con i genitori Gino e Teresa Sarti, anche se ha deciso di cambiare. Ha lasciato il terreno dell’accoglienza delle vittime nei campi e negli ospedali allestiti da EMERGENCY per andare incontro ai profughi, a salvarli in mare, con RESQ PEOPLE di cui è ora responsabile della comunicazione.
Quali analogie e differenze tra l’impegno attuale e quello precedente?
-Innanzi tutto l’analogia principale è quello dell’attività e dei progetti umanitari. Emergency, che dopo aver lavorato in tutto il mondo ha deciso di operare anche in Italia; Resq People, al contrario, va in mezzo al mare. Da una realtà molto grossa e strutturata ad un’altra che, all’opposto, è tutta da costruire. Così ho deciso di abbracciarla. E c’è da sottolineare che intervenire di soccorso in mezzo al mare è una delle operazioni più complesse al momento.
Qual è il tuo giudizio su come le forze politiche italiane affrontano la questione immigrazione? La considerano solo un problema emergenziale o neppure quello?
-Per molti è solo uno strumento di propaganda di tenuta di una poltrona, di finalità elettorali. Per altri è un problema da affrontare volta per volta, senza considerarlo un fenomeno con il quale fare realmente i conti. E non è neppure da considerarsi solo oggetto di schieramento politico, visto che i primi accordi con la Libia sono stati sottoscritti dal ministro Minniti, del governo di Centrosinistra, cinque anni fa e da allora è cominciata una serie di violente violazioni dei diritti umani, delle convenzioni internazionali, una vergogna nazionale di cui si parla troppo poco.
Tra le forze politiche in campo per le elezioni del 25 settembre, c’è anche chi propone il ‘blocco navale’ per tentare di fermare migliaia di uomini, donne, bambini che coltivano una speranza e che per questo rischiano la vita. Si può davvero pensare che la violenza potrà fermare questo fiume di umanità?
-Anche qui siamo sul terreno della pura propaganda preelettorale proponendo qualcosa che oltre che indegno è irrealizzabile. Sia per come il diritto d’asilo è tutelato dalla nostra Costituzione, sia per quello che dice il diritto internazionale. In questo modo saremo noi a favorire l’ignobile lavoro dei trafficanti di uomini. Senza un preciso intervento anche dell’Europa, sarà la stessa UE a rendersi corresponsabile dell’uccisione di un sogno da parte di chi fugge da guerre e persecuzioni o dai disastri climatici che stanno causando la devastazione di interi territori da cui sono costretti ad allontanarsi centinaia di migliaia di persone. Cosa c’è di diverso tra queste aspirazioni e quelle di tanti giovani italiani che vogliono andare a studiare a Londra o a lavorare in Germania? Al contrario sarebbe doveroso cominciare a pensare come regolare i flussi migratori per renderli sicuri e ragionare sulle comunità d’accoglienza.
E parliamo ora di come la stampa, italiana e internazionale affronta la questione. Ci sono differenze o no?
-In generale il giornalismo anglosassone si concentra i più sui fatti. Abbiamo visto le differenze tra quel giornalismo e il nostro su come è stata trattata la morte della regina Elisabetta. L’informazione in Italia ha un grave limite, che posso sintetizzare con un esempio: raramente, quando si intervista un politico, si è in grado di fare la seconda domanda, quella sulla base di una documentazione che contrasti con quanto affermato in prima battuta dall’intervistato anche se dice bugie, ad esempio sui numeri dei profughi. Non fare la seconda domanda non è solo un limite professionale, è un rischio per la democrazia.
Alla luce di quel che hai detto, tu credi che tutto questo sia correggibile? Che ci dovrebbe essere un maggior impegno delle forze politiche democratiche per una più forte tutela della libertà d’informazione, così come garantito dall’Articolo 21 della Costituzione?
-Il primo intervento dovrebbe riguardare la dignità retributiva dei giornalisti. Se sono alla mercé gratuita degli editori, quale margine di autonomia avranno? Non è possibile, per nessuno, lottare per sopravvivere e fare un buon lavoro. E senza investimenti nei reportages, nelle inchieste, che giornalismo sarai in grado di avere? Avrai solo le agenzie rielaborate al desk. Il primo passo è quindi la tutela dei redattori.
E in queste condizioni, come si può pensare che davvero l’Articolo 21 della Costituzione venga rispettato? Se non avviene oggi, cosa accadrà se questa destra italiana sempre più autoritaria, vincerà le elezioni?
-Beh, bisognerà restare vigili, tenere la schiena dritta e cominciare a pretendere che dalle scuole cominci la formazione ad una corretta informazione. Per individuare non solo le fake news, ma anche le mistificazioni. Ad esempio, come fare una ricerca? Oggi Google toglie le castagne dal fuoco, ma è una vera ricerca? Quindi, già dalla scuola, bisognerebbe insegnare come si legge un giornale, come si valutano le fonti, quali le differenze, ad esempio, tra un articolo di Avvenire e lo stesso tema trattato sul sito di Salvini. Per formare i cittadini a saper distinguere tra pubblicità, propaganda e realtà.
Sia queste tue dichiarazioni, sia, e ancor di più, la dettagliata descrizione della situazione mondiale che fai nel tuo libro delineano un quadro angosciante. Data la totale assenza dell’Onu, come si fa ad essere ottimisti sul futuro? Tu ti senti di essere pessimista o ottimista?
-Ci sono le organizzazioni umanitarie, c’è l’UE per cui è nata, ci sono i cittadini. Ovviamente è un obiettivo a tendere perché, come diceva mio padre, se dell’Onu fanno parte i principali armaioli del mondo, è difficile credere che si impegneranno mai per favorire la pace. Io oscillo tra pessimismo e ottimismo. Ho molte speranze nei ragazzi, che per certi versi sono molto più avanti di noi, che vivono fianco a fianco nelle scuole e nel lavoro, valutando i loro compagni e amici di tutti i colori, con grande naturalezza, senza aspettare pronunciamenti istituzionali sul loro status, ma chiedendosi perché i loro diritti, uguali, non vengano riconosciuti.
Chiudiamo con una tua considerazione umana e professionale su tuo padre e su tua madre.
-Guarda, quando penso a quanti potrebbero intervenire e non fanno nulla per evitare che la gente venga respinta e muore in mare io penso immediatamente al loro impegno completamente opposto. Erano persone assolutamente normali, non mi piace la mistica dell’eroismo. Lui medico, lei insegnante per trent’anni in una scuola media della Bicocca, quando non era ancora il quartiere che è oggi. I suoi ex allievi mi chiamano ancor oggi per dirmi che devono a lei se salvarono le loro vite. Lui stufo di lavorare in Italia cercò esperienze estere e da lì cominciò il suo nuovo lavoro. Sul loro esempio oggi dico: smettiamo di delegare ad altri, impegniamoci in prima persona e tutti quanti potremo farcela, insieme.