Ottimo il voto al Parlamento europeo sulla questione relativa all’Ungheria di Orbán. Sono anni, infatti, che sosteniamo che non sia più una democrazia e che un paese del genere non possa e non debba stare in Europa, non rispettando alcuno degli standard che abbiamo fissato e costituendo un pessimo esempio per le altre nazioni. Il punto è che non basta. La Polonia di Morawiecki, difatti, pur essendo la più convinta sostenitrice delle sanzioni contro la Russia, desiderosa come non mai di menar le mani, non è meno anti-democratica e pericolosa del governo magiaro, specie per quanto concerne i diritti sociali e civili, l’indipendenza della magistratura, la libertà d’informazione e altri parametri dirimenti per potersi definire una democrazia compiuta. Pertanto, pur apprezzando la scelta di mettere finalmente in discussione il diritto di un paese non democratico di ricevere tutti i benefici che l’appartenenza alla casa comune garantisce, vorremmo che fosse chiaro che non si può abbassare la guardia. Devono essere comunque i valori a prevalere, e i valori non possono essere barattati con la convenienza del momento. La politica estera è fondamentale ma non può esaurire ogni discorso.
Se l’Unione Europea vuole avere un domani, deve assolutamente riprendere in mano determinati dossier. Il primo riguarda i diritti, perché è la sfida su cui si gioca la nostra credibilità. Se davvero vogliamo difendere i presunti “valori occidentali”, non possiamo essere i primi a fare spallucce di fronte a coloro che li violano, solo perché magari in quel momento ci fanno comodo al cospetto di una crisi globale che rischia di compromettere l’avvenire dell’umanità. Aggiungiamo che anche gli accordi con Erdoğan e con i tagliagole libici vanno esattamente nella direzione opposta a quella che vorremmo che fosse seguita, per l’ovvia ragione che non esiste democrazia senza dignità della persona. E se l’unico a parlare apertamente della centralità e della specificità degli esseri umani è papa Francesco significa che la politica, di tutti gli schieramenti, non ha più ragione di esistere.
Almeno per quel che ci riguarda, non concederemo ad altri ciò che non abbiamo mai concesso a Orbán e Putin. Per noi i dittatori sono tali a ogni latitudine, qualunque sia il loro colore e schieramento, che siano putiniani o atlantisti, e non esistono tiranni amici o di convenienza. L’idea barbara secondo cui “è un figlio di puttana ma è il nostro figlio di puttana”, tipico di una certa politologia americana, proprio non ci appartiene, non ci è mai appartenuta e non ci apparterrà mai.
Continueremo a tenere gli occhi ben aperti, a batterci contro ogni forma di sopruso, vessazione, ingiustizia e indecenza e a reclamare a gran voce la svolta senza la quale l’Europa non sarà più nemmeno un’espressione geografica. Semplicemente non sarà, perché o i principî valgono sempre e per tutti o di fatto si annullano. Pertanto, avremmo votato sì alla messa in discussione, per la prima volta seria, di un paese come l’attuale Ungheria ma esprimendo chiaramente il nostro sdegno per la difesa della democrazia a corrente alternata, a seconda dei periodi, al punto che un tempo anche Putin ci piaceva tanto, benché commettesse né più né meno ciò che sta commettendo adesso, fra le vane richieste d’aiuto e di illuminazione dei lati oscuri del mondo di coloro che per opporsi allo zar nell’era di massimo fulgore ci hanno rimesso la vita. L’elenco, ahinoi, è lungo.
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