Sono altri, però, gli assenti che dovrebbero preoccupare la classe politica che si candida a rappresentarci.
Nei primi sei mesi del 2022, dal 1 Gennaio alla fine di Giugno, 463 persone hanno perso la vita lavorando: una media di 77 morti ogni 30 giorni, quasi venti a settimana. Vanno aggiunti ai 4713 caduti nei quattro anni precedenti, quelli della legislatura nata nel Maggio 2018. Cinque anni, tre governi, 5276 morti sul lavoro.
Ormai solo sette settimane ci separano dal voto: la media crudele ci dice che, quando alla fine di Settembre saranno aperte le urne e contati i voti, saranno morte, lavorando, altre 140 persone. Altri centoquaranta assenti, però non giustificati. Sedie vuote intorno al tavolo, letti vuoti, lapidi e fiori e fotografie porcellanate al posto delle persone, delle voci, degli sguardi.
Questa strage quotidiana e infinita di uomini e donne non occupa alcuno spazio nella contesa elettorale. Perché? Non sono importanti? Non portano voti? Certo: loro sono morti. Ma le loro storie, le famiglie, i loro figli, i loro compagni sono vivi: sono lo squarcio, la pelle scuoiata della Repubblica fondata sul lavoro. Non sappiamo se voteranno, o meno. Certo dovranno riuscire a vincere il disgusto e il dolore che tanta omertà provoca. La loro voce è parte di quel coro indignato che mormora e canta nenie funebri contro l’assenza degli eletti, contro la loro indifferenza, la loro pigrizia superba. La politica non ha orecchie per quelle canzoni, non ascolta quelle voci da troppo tempo, nemmeno in campagna elettorale.
Peraltro è vero che dai programmi elettorali, e dal poverissimo dibattito che vi si innerva, non sono stati espulsi soltanto i caduti sul lavoro.
Qualcuno ha notizie di un dibattito sui braccianti agricoli? C’è un’iniziativa, uno sticker, un incontro nel parco dedicato a quelle decine di migliaia di uomini e donne che, per una paga da schiavi, si spezzano la schiena – nelle nostre estati sempre più torride – per consegnare alla filiera dello sfruttamento commerciale i rossi pomodori, i cocomeri che ci dissetano? Qualcuno ha notizie di loro? O di qualcuno che voglia perseguire efficacemente i caporali che li rendono schiavi?
C’è qualche fine cronista politico, meglio informato di noi, che possa darci notizie di un’iniziativa qualsiasi, rivolta ai lavoratori della logistica? Eppure, lo dicono i numeri, sono proprio loro a rischiare di più: cinquanta addetti del settore sono morti, nei primi sei mesi del 2022, stoccando merci, distribuendo pacchi, trasportando prodotti fin dentro le nostre case. C’è qualcuno che ne vuole parlare, nel confronto elettorale?
No, possiamo starne certi. I morti sono già morti. Dei vivi che si sfiancano guidando furgoni per quindici ore al giorno; o di quelli nei campi, italiani o africani, bianchi o neri, donne o uomini, non importa a nessuno.
Non potrebbero capire – viene il sospetto – il perché di un bacio a cena e di un divorzio a colazione, com’è avvenuto tra Calenda e Letta, nel vuoto pneumatico delle idee. Non potrebbero comprendere perché Salvini, nella sua propaganda, li chiami “invasori” e voglia combatterli. E poi, se sono giunti per mare, forse è meglio che non sappiano che le cannoniere della Marina li attendono al varco, come promettono i Fratelli d’Italia.