BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

Poche parole semplici come tutte le parole necessarie

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La guerra non si può umanizzare si può solo abolire (A. Einstein)

Il 13 agosto 2021 moriva Gino Strada. Ci sembra un’eternità anche se lo sentiamo accanto, sempre più vicino. Sarà forse perché sono successe tantissime cose che sarebbe lungo spiegare e che sono in movimento, movimento che dilata il tempo e accorcia lo spazio: per dirla con Einstein e le sue teorie della relatività, conestrema sintesi …non proprio esatta.

Altre due guerre dopo la sua morte: l’aggressione dell’Ucraina da parte della Russia di Putin; il conflittoIsraele e Palestina che si è riacceso anche se un po’ oscurato dalla guerra contro l’Ucraina.

Ci manca ancora di più la sua presenza e la sua voce.

La prima volta che ho incontrato Gino Strada ero insieme a Luciana e Giorgio Alpi, a Roma tra Campo dei Fiori e il Monte di Pietà; pochi anni dopo l’esecuzione di Ilaria e Miran a Mogadiscio, il 20 marzo 1994, il più crudele dei giorni.

Quella prima volta non la potrò scordare mai. Spiegò, Gino, il suo pensiero sulla guerra e raccontò il suo impegno nei luoghi di guerra spiegando che negli ospedali di Emergency si curano tutti i feriti, tutti senza distinguere le parti in cui stanno. È il giuramento di Ippocrate, “bellezza” spiegava a chi esprimeva perplessità.

Chiese a Luciana e Giorgio una sorta di autorizzazione a intitolare a Ilaria l’ospedale

di Emergency a Battambang in Cambogia. Grandissima emozione, lungo applauso, anche lacrime. La foto che vedete è un regalo di un mio amico, Agostino, che non molto tempo fa è andato in Cambogia e dintorni, ha cercato l’ospedale di Emergency, la targa dedicata a Ilaria, ha scattato una foto che mi ha inviato.

Il capitolo 10 del libro di GinoUna persona alla volta” uscito lo scorso marzo si intitola “Afghanistan 2021”. L’incipit: “L’ultima volta che sono stato in Afghanistan era il 2018. … Mi piacerebbe tornarci ora che gli Stati Uniti hanno annunciato il ritiro delle truppe e che tutti i Paesi che avevano lì i loro eserciti hanno fatto lo stesso senza grande originalità …”

Non immaginava certo la tragedia che sarebbe accaduta pochi giorni dopo la sua morte con la precipitosa fuga dell’occidente, seguita da attentati, dal ritorno dei talebani che hanno riconsegnato il Paese ad Al Qaeda. Dal realizzarsi di quanto le donne Afghane avevano previsto con il loro grido di dolore, lanciando un appello disperato:

“Non ci abbandonate … quando si spegneranno i riflettori le donne saranno il bersaglio. … Ci cercheranno nelle strade casa per casa ci uccideranno…ci impediranno di studiare e di lavorare, ci ributteranno sotto il Burqua che è come morire lentamente”.

La prima missione di Gino è stata in Pakistan a Quetta al confine con l’Afghanistan dove andò nel 1991: “Al primo sguardo, Kabul mi era sembrata una città magica. …” Presto scoprì che nove vittime su dieci che arrivavano da lui erano civili, molti bambini. Pensò che si trattasse dell’incubo di quella guerra, che succedeva solo in Afghanistan. Mi sbagliavo, scriverà, e dopo altre missioni nel mondo: dal Perù alla Somalia; dalla Bosnia al Corno d’Africa, insieme alla moglie Teresa, ad un gruppo di amici, di medici, di persone di buona volontà, inizierà un percorso che porterà ad Emergency. La sua mission: Essere curati è un diritto di tutti. Senza discriminazioni.

EMERGENCY, si legge nel suo sito, è un’associazione italiana indipendente e neutrale, nata nel 1994 per offrire cure medico-chirurgiche gratuite e di elevata qualità alle vittime delle guerre, delle mine antiuomo e della povertà. EMERGENCY promuove una cultura di pace, solidarietà e rispetto dei diritti umani.

Difficile raccontare la complessità dell’impegno di Gino Strada, così esteso, autentico accompagnato dalla passione per la sua professione e da una inedita umanità: e quindi anche ruvido nelle sue riflessioni. Provo a farlo prendendo alcune sue forti affermazioni che ha anche riportato nel libro citato, curato da Simonetta Gola.

Aveva osservato che negli ospedali in cui lavorava nelle zone di guerra e/o di confine arrivavano diversi bambini feriti; gli capitò anche di dover amputare una mano a un piccolo che forse non aveva ancora dieci anni; aveva visto bambini mutilati. Ma che cosa c’entrano i bambini con la guerra, si era chiesto. Scoprì le mine a forma di giocattolo: farfalle, animali come pappagalli verdi … nessun soldato le avrebbe raccolte da terra ma un bambino sì.

Dunque era vero, nella coscienza di chi decide una guerra, e anche di chi la pratica, c’è spazio per la mutilazione dei bambini “nemici”: con le mine fabbricate in Cina, in Russia, negli Stati Uniti, in Italia. Noi a Quetta curavamo i disastri di tutte.

Cessate il fuoco è il titolo che sintetizza una serie di racconti e di riflessioni per la pace contro la guerra. Inizia con una citazione:

”Ricordatevi la vostra umanità e dimenticate tutto il resto”.  Jòzef Rotblat

Ci racconterà chi era Rotblat più avanti partendo da una dichiarazione di Albert Einstein:

La guerra non si può umanizzare si può solo abolire”. Il commento di Gino:Poche parole semplici come tutte le parole necessarie”.

Dopo Hiroshima e Nagasaki nacque un movimento per la pace ispirato alla lotta partigiana che aveva liberato l’Europa dal nazifascismo: non ebbe un grande successo ma ispirò nel 1955 il Manifesto di Bertrand Russell-Albert Einstein.

Il 9 luglio di quell’anno i più grandi scienziati del mondo avevano indetto una conferenza stampa presieduta da Jozef Rotblat, un fisico polacco, genio assoluto, arruolato nel Progetto Manhattan che gli USA avevano avviato “prima che lo facesse Hitler. Scrive Gino:

Quando fu chiaro che il programma atomico tedesco era fallito, gli Stati Uniti iniziarono a sostenere che le armi andavano fabbricate prima che lo facessero i comunisti. A quel punto Rotblat capì che c’era un unico motivo per fare la bomba atomica: usarla. Vite che sembrano già scritte possono cambiare … grazie a una scelta di responsabilità. Rotblat uscì dal programma di Los Alamos per motivi di coscienza. … … Letto con gli occhi di oggi il Manifesto è scandalosamente attuale e noi siamo ancora molto lontani dal nuovo modo di pensare in cui Einstein aveva sperato.

Dal Manifesto del 1955:

“Questo è dunque il dilemma che vi sottoponiamo crudo, spaventoso e ineludibile. Dobbiamo porre fine alla razza umana o deve l’umanità rinunciare alla guerra? Non si può rendere la guerra meno pericolosa, … meno omicida e meno suicida. La guerra si può solo abolire”

È possibile un mondo senza guerra?

Si chiede Gino Strada alla fine della prima parte del libro. Possiamo parlarne come un’utopia come nome dei desideri idee progetti che possono diventare realtà.

Utopia come l’isola (pensata da Tommaso Moro) che ancora non c’è ma che potrà esserci. Immaginare un mondo senza guerre è il compito più ambizioso che la specie umana si possa dare.

“Tra ricchi e poveri ci si ammala e si muore di classe, come sulla tragica tolda del Titanic”;

la citazione è di Giulio Alfredo Maccacaro, un medico illustre importante nella formazione di Gino Strada. È l’incipit della seconda parte dedicata ai diritti (primo fra tutti il diritto alla salute).

Scrive Gino nella parte che riguarda “il business della malattia”:

“Ci sarebbe da ringraziare tutti i giorni Tina Anselmi, che volle il sistema sanitario nazionale nel 1978 (quando era ministro ndr) e continuare a investire per migliorarlo.

E invece la medicina italiana non sta ben….

Secondo un recente rapporto Istat circa quattro milioni di italiani hanno rinunciato a curarsi per ragioni economiche. Quattro milioni di persone escluse, private di un loro diritto.

Nel 2000 l’Organizzazione Mondiale della Sanità aveva dichiarato il sistema sanitario italiano il secondo migliore al mondo per qualità e universalità delle cure. Che cosa è successo, come e perché si è arrivati fin qui?Ci deve essere stato un cambiamento culturale. Per molti secoli in tutte le culture la medicina si è sviluppata per curare gli ammalati, i feriti, per salvare vite umane, alleviarne le sofferenze. … Forse c’è stata una constatazione banale: tutti noi prima o poi nella vita abbiamo bisogno di un medico. … Proprio perché si tratta di un bisogno comune le cure devono essere di alta qualità, pubbliche – cioè di tutti – e per questo gratuite per tutti. Invece qualcuno è arrivato a una conclusione diversa: se ognuno di noi avrà bisogno di un medico allora ognuno di noi è potenzialmente cliente di un mercato, quello della salute. Illimitato visto che essere curati è un bisogno di tutti e non un lusso … si è passati dalla cura come diritto umano fondamentale alla fornitura di un servizio. … … Che senso ha parlare di denaro e di profitto quando si ha a che fare con una persona che soffre?” È la conclusione di una riflessione/denuncia puntuale del nostro sistema sanitario e dei suoi punti critici.

“Privilegi per pochi”: il titolo del pezzo finale del libro di Gino”; lo riassumo:

“Tutti gli esseri umani nascono liberi e uguali in dignità e diritti: è il primo articolo della Dichiarazione universale dei diritti umani, firmata il 10 dicembre 1948.

Dopo le leggi razziali e i campi di sterminio, la guerra e la fame, la comunità internazionale scriveva le premesse perché quella catastrofe non accadesse mai più. Già il preambolo affermava il legame indissolubile tra diritti umani libertà giustizia e pace nel mondo”. Non si trattava di firmare solo un documento, per gli Stati aderenti, ma di garantire i diritti inalienabili e uguali per tutti. Una vera sfida al mondo fino ad allora conosciuto: non solo una questione di etica ma di politica. Perché dove non ci sono diritti umani per tutti allora si tratta di privilegi per pochi.

Oggi nel mondo ci sono oltre quaranta conflitti attivi, ventisei ultramiliardari possiedono più risorse della metà più povera del pianeta e undici persone rischiano di morire di fame ogni minuto: è evidente che qualcosa non ha funzionato e non funziona. Nessun governo, nessuno stato del pianeta ha costruito realmente quei diritti che si era impegnato a realizzare: cibo, cure mediche, istruzione, un posto sicuro dove stare. Neppure questo è stato fatto, indebolendo le fondamenta della nostra vita insieme, sostituendo alla libertà il sopruso, alla giustizia la più spietata e violenta aggressione, alla pace la guerra che è il simbolo di questo mondo di umani senza diritti. Ma cambiare si deve e si può.

Mi ha molto impressionato il racconto di Gino del suo incontro con Renzo Piano e quello che ne seguì, di recente raccontato anche da quest’ultimo in una bella intervista. Si tratta della richiesta di Gino di aiutarlo a costruire un centro chirurgico pediatrico in Ugandaprogettando un ospedale “scandalosamente bello”

perché scandalo e bellezza sono due parole che insieme sono rivoluzionarie. Gino spiega così:” Guardando ai disperati bisogni dell’Africa, c’è chi pensa che qualsiasi cosa vada bene, sia meglio che niente. Non ha senso portare il meglio che niente in Africa o altrove ma il meglio.

Sarebbe un modo chiaro di praticare l’uguaglianza, non solo predicarla. Portare negli aiuti umanitari i migliori risultati che abbiamo raggiunto in tutti i campi dalla medicina all’architettura, compresa la bellezza. Renzo Piano era d’accordo e dopo che il governo ugandese mise a disposizione dodici ettari di verde sul Lago Vittoria e furono anche trovati finanziamenti consistenti il progetto si realizzò.

L’ospedale ha i muri di terra rossa, le vetrate spalancate sul lago, il tetto di pannelli solari. Scrive Gino:

“È un ospedale bello che supera ogni aspettativa ma la vera bellezza di quel posto sono i bambini che ci sono dentro, le loro famiglie … riceveranno cure adeguate, ritroveranno la speranza, guariranno, o almeno vivranno un po’ meglio, e aiutare qualcuno a vivere un po’ meglio alla fine è il vero senso di tutto.

Questa storia dimostra che si può fare.

Bisogna fare presto però. L’orologio dell’Apocalisse comprende oltre alla guerra atomica l’emergenza climatica le pandemie: non è mai stato così pericolosamente vicino alla mezzanotte (che simbolicamente rappresenta la fine del mondo). Dopo la seconda guerra mondiale: sessanta/settanta milioni di morti, il 60% civili e dopo Hiroshima nel 1947, anno in cui questo orologio nasce, la distanza dalla mezzanotteera di sette minuti; il 21 marzo 2022 è di cento secondi. Davvero pochi anche se ricorrendo ancora a Einstein il tempo non esiste come lo conosciamo/misuriamo noi. In ogni caso però bisogna fare presto.


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