Mikhail Sergeevič Gorbačëv, scomparso all’età di novantuno anni, è stato un protagonista assoluto della storia russa e del Ventesimo secolo. Abbiamo letto molte analisi sul suo conto e sarà bene, dunque, tenersi lontani dalla retorica. Cominciamo, ad esempio, col dire che Gorbačëv non ha affatto perso la sua battaglia, in quanto la direzione di marcia che aveva indicato al proprio Paese e al mondo intero costituiva un fatto rivoluzionario di cui si discute tuttora. È stato messo da parte con un mezzo colpo di Stato, dove sia chiaro che mezzo è un eufemismo, e sostituito da un personaggio, El’Cin, sul cui operato è opportuno sorvolare: questo è il punto, l’aspetto ineludibile della questione. Sostenere che i suoi provvedimenti principali, la perestrojka e la glasnost’, siano alla base del putinismo attuale poi, è un grave errore d’interpretazione. Se oggi siamo al cospetto di una regressione così evidente non è colpa di un rivoluzionario come l’ultimo grande segretario del PCUS ma di chi ha ridotto la fu Unione Sovietica in condizioni disperate, tra fame, miseria, criminalità e sofferenze indicibili, fino a favorire l’ascesa di un personaggio, Putin, di cui si può e si deve dire di tutto ma al quale non si puo negare di aver avuto, agli occhi della sua gente, il merito di risollevarla dall’indigenza e da condizioni di vita che ricordavano da vicino quelle che condussero all’Ottobre del ’17 nella Russia degli zar.
Non dico che fossimo arrivati alle “anime morte” ma quasi, e questa deriva non può in alcun modo essere imputata a Gorbačëv. Il nostro ebbe, al contrario, il merito di provare a riscattare la sfida epocale del comunismo, proiettandolo nel futuro e salvando, con riforme radicali, un sistema che avrebbe avuto ancora qualcosa da dire, se l’Occidente non avesse deciso, dopo l’abbattimento del Muro, sacrosanto, di stravincere una guerra che si sarebbe dovuta concludere senza l’umiliazione dei vinti. Tanto per dirne una, mai e poi mai avremmo dovuto estendere la NATO oltre i confini tedeschi, prendendo in seria considerazione l’ipotesi di scioglierla per sopraggiunta obsolescenza. Allo stesso modo, mai avremmo dovuto dar vita alla damnatio memoriae di un modello storico, politico, sociale, culturale ed economico che aveva senz’altro enormi difetti ma, al tempo stesso, aveva avuto il merito secolare di rispondere alle esigenze di milioni di persone. Non è un caso se a porsi il problema della sfida comunista fu uno straordinario intellettuale non comunista come Norberto Bobbio, il quale mise in guardia tutti coloro che pensavano di poter tirare una riga su ideali che avevano scaldato i cuori delle masse in ogni angolo del mondo. Spiace dirlo, ma è sbagliato anche ridurre l’intera parabola sovietica alle barbarie di Budapest e di Praga che, per quanto esecrabili, non esauriscono una vicenda che ha attraversato da protagonista il Secolo breve, cambiandone il volto e segnandone, nel bene e nel male, il destino.
Di quella storia, tragica e indispensabile, Gorbačëv ne è stato un narratore, un interprete e uno dei massimi simboli, tendendo la mano all’Occidente su questioni essenziali come il disarmo nucleare, la conclusione del conflitto afghano e la modernizzazione di un sistema che aveva voglia di crescere e vivere finalmente in pace. Non a caso, non è eccessivo ritenerlo uno dei padri dell’Europa: un continente che dovrebbe estendersi, come sosteneva lui, dall’Atlantico agli Urali, con la Russia al centro di un progetto comune, nell’ambito di una dialettica feconda che oggi, per le note ragioni, sta purtroppo venendo meno, con conseguenze destinate a riverberarsi sulle prossime generazioni.
Non cadremo nella trappola di metterlo a confronto con Putin, per quanto la differenza sia abissale e visibile a occhio nudo. Era l’altra Russia: quella che non abbiamo capito, non abbiamo saputo accettare, abbiamo provato a distruggere e sottomettere e di cui, non da oggi, stiamo vedendo la ribellione, ahinoi tremenda e carica di violenza e di ferocia.
Quando venne ammainata la bandiera rossa dell’URSS, pertanto, non finì la storia ma una prospettiva di dialogo e di confronto, seguita dall’orrore cui stiamo assistendo, sgomenti, da oltre due decenni.
Mikhail Gorbačëv è stato un costruttore di pace, un sognatore, un utopista, un galantuomo e una personalità di primo piano, di cui troppo spesso si è tessuto l’elogio senza comprenderne il pensiero. Con la sua scomparsa se ne va un testimone di ciò che sarebbe potuto essere e, purtroppo, non è stato. Dietro tante lacrime di coccodrillo si intravede la soddisfazione di chi, su entrambe i fronti, ha deciso di rimuovere il concetto di pace dall’orizzonte dell’umanità.
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