Diritto del lavoro: dai giornalisti a Paolini alla Corte Costituzionale

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Succede che lo scorso 5 maggio Marco Paolini, attore e regista di fama, tiene la lezione inaugurale che segna l’avvio della seconda edizione del corso di alta formazione “Raccontare la verità: informare costruendo una società inclusiva” organizzato da Università di Padova, Fnsi, Sindacato giornalisti Veneto, Trentino Alto Adige e Articolo 21, diretto dalla professoressa Laura Nota, esempio di singolare contaminazione fra il mondo della ricerca e il mondo dell’informazione, all’insegna della transdisciplinarietà professionale.

Siamo nell’aula Magna del Bo, dove ha insegnato, fra gli altri, anche Galileo Galilei. Ottocento anni di storia.

In presenza circa 200 persone, da remoto quasi altrettante. Fra queste ultime anche l’avvocato del lavoro Alberto Piccinini, con studio a Bologna, fra i fondatori di Comma 2 e fra i consulenti legali anche di Sgv, oltre che di Aser e Cgil. Il quale di lì a poco più di un mese, il 7 giugno, avrebbe discusso in Corte Costituzionale sulla legittimità della soglia occupazionale, ovvero il discrimine dei 15 lavoratori, in particolare in materia di licenziamento illegittimo.

Ed ecco che il giuslavorista viene colpito da alcuni passaggi dell’intervento di Paolini che spazia dal Greenwashing alla gig economy. E dalla gig economy ai gigacapitalisti il passo è breve. Specie se il riferimento, come per Paolini, è l’omonimo libro di Riccardo Staglianò, fresco di stampa per Einaudi. L’attore il testo ce lo ha tra le mani, lo sfoglia, lo maneggia e ne legge passaggi significativi su quello che l’autore definisce un “pericoloso disallineamento tra ricchezza aziendale e forza lavoro”.  Ma torniamo alla citazione: “Quando YouTube viene comprata da Google per 1,65 miliardi di dollari la sua forza lavoro consisteva di 65 persone, per la maggior parte ingegneri. Ognuno di loro, facendo una semplice divisione, valeva 25 milioni di dollari (…) tanti, ma ancora niente rispetto a quel che sarebbe venuto dopo. Instagram, la piattaforma per condividere foto, aveva 13 dipendenti nell’aprile del 2012 quando Facebook decide di acquisirla. Il che fa 77 milioni per dipendente…”.

Ben lontani, come sottolinea sempre Staglianò-Paolini dal record di 345 milioni di dollari ascritto ai 55 dipendenti di WhatsApp quando nel febbraio 2014 Zuckerberg paga per la società qualcosa come 19 miliardi di dollari.

Aziende sempre più “leggere” e con utili e quotazioni da capogiro. Le dimensioni dell’impresa  in termini occupazionali ai tempi dalla gig economy non possono essere l’unico criterio valido nel Diritto del lavoro e in particolare in materia di licenziamento illegittimo.

È questo il punto che Piccinini fa suo e viene attraversato dalla folle idea di produrre il video di Paolini con la memoria autorizzata per la parte di interesse alla Suprema Corte. Ma i colleghi del collegio di difesa lo dissuadono: troppo irrituale per il Tempio. E allora il 7 giugno, in discussione, Piccinini non rinuncia a citare gli stessi passaggi del libro di Staglianò davanti al presidente Giuliano Amato e alla relatrice Silvana Sciarra (e suscitando anche la incuriosita attenzione degli altri giudici) concludendo: « Ora proviamo a immaginare che Instagram, una piattaforma conosciuta nel mondo intero, con 1 miliardo di accessi al mese, sia un’impresa italiana. Io non so quanti dipendenti abbia oggi, ma dovrebbe trovare applicazione l’art. 1 comma 3 del decreto legislativo 23/2015, che, com’è noto, estende gli effetti del Jobs Act anche ai datori che “superano la soglia” in data successiva all’entrata in vigore del decreto legislativo. In Italia, quindi, nel 2022 il licenziamento di un dipendente Instagram sarebbe disciplinato dall’art. 9, che si basa su un presupposto facilmente smentibile: che il numero dei dipendenti possa costituire l’unico paramento per misurare le dimensioni delle imprese e così giustificare la diversificazione del regime».

Da cosa nasce cosa. Il 22 luglio la sentenza della Corte Costituzionale, la numero 183 che rigetta la questione ma, come dire, non rinnega. Con ogni probabilità le suggestioni di Staglianò-Paolini-Piccinini hanno lasciato il segno: “il numero dei dipendenti (…) non rispecchia di per sé l’effettiva forza economica del datore di lavoro…” Anzi, “in un quadro dominato dall’incessante evoluzione della tecnologia e dalla trasformazione dei processi produttivi, al contenuto numero di occupati possono fare riscontro cospicui investimenti in capitali e un consistente volume di affari. Il criterio incentrato sul solo numero degli occupati non risponde, dunque, all’esigenza di non gravare di costi sproporzionati realtà produttive e organizzative che siano effettivamente inidonee a sostenerli.”

Le motivazioni della sentenza sono tutte da leggere e da analizzare. E in questo ci aiuta il commento di Alberto Piccinini pubblicato sul sito di Comma2. Ecco il link per chi volesse leggerlo integralmente: http://commento piccinini

 

(da http://www.comma2.it e Sindacato Giornalisti del Veneto)


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