BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

I crocevia morali di un agente segreto. “Tomàs Nevinson” di Javier Marías, Ed. Einaudi

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E adesso tocca a lui, all’ineffabile agente segreto dalla vita blindata, all’uomo dalle mille identità, al personaggio già conosciuto in Berta Isla al quale il lettore si era legato a doppio filo in una sorta di spiazzante rapporto di attrazione/repulsione.
Con Tomàs Nevinson Javier Marías si conferma narratore raffinatissimo e colto, conoscitore profondo dell’animo umano, conduttore spericolato nei meandri della filosofia morale, maestro indiscusso di tecniche narrative sofisticate e coinvolgenti. La copertina del poderoso volume, edito come il precedente da Einaudi, sorprende l’uomo, del quale possiamo finalmente ipotizzare il viso, in un momento di stanca riflessione, sigaretta alla mano e un filo di fumo che lo avvolge, quasi un pendant visivo della copertina di Berta Isla. Anche il secco titolo, costituito da un nome e un cognome, crea un’ulteriore risonanza nei due volumi che, come lo stesso autore afferma nei ringraziamenti finali, creano una coppia.
Tomàs e Berta sono stati infatti una coppia, prima fidanzati ligi al conformismo della loro epoca, poi coniugi divisi dall’ingombrante lavoro di lui che lo porta a vivere molte altre vite sotto copertura non condivisibili con la compagna di una soltanto di quelle molteplici esistenze.
Se è evidente che Tomàs Nevinson costituisce una continuazione, in termini cronologici, di Berta Isla, è anche vero che i due romanzi godono di vita propria e di una pienezza e compiutezza narrativa che non comporta la necessità di leggerli entrambi, sebbene non farlo sarebbe quasi delittuoso.
Nel primo romanzo Marías ha mostrato la metà oscura di quel rapporto colto dallo sguardo femminile, l’attesa come fulcro esistenziale, l’ovvia curiosità e la necessaria rinuncia alla conoscenza come cifre incandescenti di anni che si snodano avvolti da un manto di cieca e fiduciosa comprensione reciproca, di separazioni che non possono non incidere sui sentimenti e sui percorsi individuali.
Adesso è invece Tomàs che finalmente si svela al lettore, non sarà comunque possibile rivelarsi alla moglie che, con una manovra perfettamente simmetrica al primo romanzo, resterà parzialmente in ombra. La donna lo ha creduto morto per molti anni – questo le era stato riferito dall’ineffabile Bertram Tupra, machiavellico burattinaio dei servizi segreti britannici – ma ritrovarsi sulla soglia di casa, dopo dieci anni, quell’uomo molto amato e mai conosciuto veramente non riuscirà a sconvolgere l’impostazione di una vita in cui da sola ha dovuto andare avanti come donna e come madre.
Berta resterà presente tra le pagine del romanzo come monito amaro per Tomàs, come paradigma di una normalità impossibile e probabilmente mai davvero desiderata. Spetta al lettore, e solo a lui, il privilegio di un varco prospettico dal quale osservare il travaglio interiore di un uomo che si era immaginato monolitico e senza incrinature, le sue battaglie etiche, le sconfitte, gli incidenti di percorso, le parziali vittorie, perché dev’essere subito chiaro che in quel tipo di attività vincere significa guadagnarsi la fiducia o addirittura l’amore di qualcuno per consegnarlo alla discutibile giustizia dei servizi segreti o alla morte.
Ed è proprio questo il nocciolo duro del romanzo, quello che a tratti – specie nella parte iniziale – gli conferisce un sapore saggistico, quello che ne fa una spettacolare riflessione sull’opportunità o addirittura sulla necessità del male per impedire che avvenga altro male.
Bisogna quindi partire dai lunghi aneddoti, un vero e proprio smisurato prologo che, attingendo alla finzione filmica e alla realtà, detta il tema di tutta la narrazione. Uccidere Hitler prima che arrivasse alla follia dell’olocausto sarebbe stata un’azione meritoria di portata universale o sempre e comunque un ignobile delitto?

Il dilemma parte da un vecchio film di Fritz Lang, girato nel 1941 quando ancora gli Stati Uniti non erano entrati nel conflitto. In esso un oscuro cacciatore interpretato da George Sanders si accosta con un fucile di precisione al luogo più sorvegliato della Germania, la villa a Berchtesgaden in cui Hitler si ritirava spesso. L’uomo lo inquadra nel mirino, spara consapevolmente un colpo a vuoto, poi lo inquadra di nuovo e potrebbe stavolta con il suo sparo raggiungere il suo obiettivo. Ma tutto questo non avviene e la Storia prende la strada della catastrofe. Stessa cosa, ma stavolta scendiamo sul piano della realtà, capita allo scrittore Friedrich Reck-Malleczewen che, nel suo Diario di un disperato, racconta come, pur avendo avuto l’occasione e la tentazione di eliminare Hitler con facilità, non lo aveva fatto, sostanzialmente perché lo aveva percepito come “un personaggio da vignetta comica”. Certo non poteva ancora sapere che lui stesso sarebbe morto in un campo di concentramento. Se gli sviluppi futuri fossero stati chiari e lampanti con congruo anticipo, anche uccidere avrebbe avuto un altro peso, un’altra morale, un altro provvidenziale spessore. È l’irreversibilità della morte a creare profonde lacerazioni interiori, l’impossibilità di tornare indietro, di rimettere tutto a posto, di cancellare persino le tracce di ciò che è avvenuto con un momentaneo atto di volontà.
Ecco, il romanzo consiste proprio in questo. Coinvolto dallo stesso Tupra, che lo aveva ingaggiato con l’inganno e che con un altro sottile inganno psicologico lo recluta nuovamente, Tomás è incaricato di scoprire quale tra le tre donne segnalate dai servizi segreti è Magdalena Orùe O’Dea, cinica e spregiudicata terrorista dell’Eta legata anche al terrorismo irlandese, inattiva da diverso tempo ma probabilmente intenta alla preparazione di altre terribili stragi.
Il primo tragico dilemma, per un uomo che ha ricevuto un’educazione all’antica per la quale le donne non si toccano nemmeno con un fiore, è legato proprio all’ordine di uccidere una donna; il secondo all’uccisione di un essere umano del quale si sospettano future azioni illecite senza averne la certezza, di una persona che, pur essendosi macchiata di atroci nefandezze, potrebbe aver scelto la strada della redenzione.
Calatosi nel panni del professore Miguel Centurión, Tomás deve entrare in confidenza con loro. Tutte vivono nella tranquilla e quasi narcotica cittadina di Ruàn, nome fittizio di un luogo del Nordovest della Spagna, e lui deve seguirne le mosse, carpire il segreto di un passato oscuro e sporco di sangue innocente e naturalmente ucciderne una, dopo averla identificata.
La vicenda procede con estenuante, avvolgente e grandiosa lentezza, ancora una volta l’attesa come vera protagonista, sia essa di un cedimento di una delle tre donne che possa portare allo smascheramento sia essa una rinuncia che possa condurre al fallimento della missione. Le ore, i giorni, i mesi sono avvolti dal crescente, colloso disagio del protagonista che, come gli verrà rimproverato da Tupra, sembra aver perso il suo intuito. Tomás annaspa nell’indagine, occupa il letto di una di loro, impartisce lezioni di inglese ai figli di un’altra, divide spazi lavorativi con la terza, collega nella stessa scuola in cui i servizi segreti lo hanno piazzato con quell’identità nuova di zecca.

Javier Marías

Tra un’occupazione e l’altra, Berta si infila nei suoi pensieri, richiamo irresistibile, e non mancheranno brevi pause in cui incontrarla e in cui fingere – la finzione regna sovrana in ogni anfratto di questo prodigioso romanzo – di essere una coppia normale che pianifica gli incontri con i figli, che cena scambiando quattro chiacchiere. Come sempre solo lei, Berta, ha capito, ha colto la sua sofferenza e il suo strazio, ma mantiene il consueto ruolo di muta testimone, di sostanziale estranea al viluppo venefico delle attività dell’antico coniuge.
Sotto il profilo stilistico, al di là del sapiente uso delle strutture sintattiche e del lessico, la vera novità è costituita dalle pagine vorticose e affascinanti in cui Marías realizza un repentino passaggio di focalizzazione da Tomás a Miguel e viceversa, passaggio fluido, accattivante, spiazzante, spontaneo. Sembra quasi che il protagonista si osservi dall’esterno, constati la distanza che lo separa dal nuovo Io, ma vi si cali dentro adottandone parole e punto di vista. Essere due vite contemporaneamente, essere due sguardi, due corpi, due personalità fino a scoprirne infine la sostanziale coincidenza attraverso uno strappo brusco, uno strattone della coscienza non del tutto sopita. E come se non bastasse anche la voce narrante passa dalla prima alla terza persona, a seconda del punto di osservazione, la vicenda da intima e personale si apre all’oggettività fino a spalancarsi sull’universalità delle questioni etiche, sui princìpi essenziali, sulle scelte incontrovertibili, sulle brucianti responsabilità, sui possibili orizzonti.
Sono tanti i personaggi che incrociano il cammino di Tomás verso la verità più probabile e tutti risultano vivi e verosimili, dal politico volgarotto e ruffiano al giornalista ammanicato e ghiotto di piccoli scandali, dal maneggione e abile costruttore allo spacciatore pavido che rifornisce di coca i notabili del paese, ci vuol poco a ritagliarsi un’aura di importanza in un luogo tanto asfittico e ordinario. E naturalmente loro, le tre donne dal passato impenetrabile e dalle personalità diversissime, materia viva dentro cui scavare. Una soltanto è stata una spietata terrorista, ma quale? “La scienza, con tutti i suoi progressi e le sue scoperte, non ha ancora trovato un metodo infallibile per capire quando una persona è sincera e quando mente […] perché il pensiero è ondivago, contraddittorio, sfuggente, e non si stabilizza mai né sta fermo, come le raffiche di un vento vorticoso”.
Della meravigliosa instabilità del pensiero Marías possiede le chiavi e le maneggia con compiaciuta voluttà. Al lettore non resta che l’avido desiderio di tornare ai suoi testi, alle sue parole, alle sue pagine in cui echeggiano i versi del Bardo come un passaggio di testimone da un classico all’altro, perché, tra i classici contemporanei, Marías senza dubbio va collocato.

Tomás Nevinson

Javier Marías
Einaudi
pp.590
22,00 €

I crocevia morali di un agente segreto. “Tomàs Nevinson” di Javier Marías, Ed. Einaudi


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