A dispetto delle apparenze, l’informazione professionale, quella svolta dai giornalisti, assume una nuova centralità ed importanza nella nostra società, in quanto argine alla diffusione di fake news, discorsi di odio, aggressioni, minacce e discriminazioni. Lo abbiamo visto con la pandemia, lo vediamo oggi con le difficoltà a raccontare un conflitto tragico, innescato dall’aggressione russa all’Ucraina, che viene combattuto anche con le armi della manipolazione e della disinformazione. Un ruolo che il Parlamento e le forze politiche continuano a fingere di non vedere. Così come si continua a ignorare il grave deficit in tema di libertà di informazione che le rilevazioni internazionali, anche quelle di fonte Ue, continuano a indicare e documentare.
Il ruolo del buon giornalismo come cardine della democrazia è stato ampiamento riconosciuto e richiamato più volte dal Capo dello Stato e dal Pontefice, ma anche dalle istituzioni europee. Non ultima dalla presidente dell’Europarlamento che, in una recente visita in Italia, si è impegnata a sostenere provvedimenti che il nostro Parlamento avrebbe potuto e dovuto affrontare da tempo.
Nel nostro Paese sono troppi i nodi da sciogliere per garantire il diritto ad informare e ad essere informati. Troppe aggressioni, troppe minacce, troppe iniziative giudiziarie intimidatorie, troppi giornalisti sotto scorta. Al nuovo Parlamento chiediamo di passare dalle parole ai fatti. Di rispettare le sollecitazioni delle istituzioni europee e della Corte Costituzionale per rivedere la legge sulla diffamazione, per arginare le querele bavaglio, per garantire realmente la segretezza delle fonti, così come reclama la Corte dei diritti dell’uomo. Tutte richieste avanzate da tempo a cui si è aggiunta quella di introdurre provvedimenti sull’introduzione di aggravanti specifiche per punire minacce e violenze nei confronti dei giornalisti o per sanzionare il reato di ostacolo all’informazione.
Una buona informazione muove anche dalla piena autonomia del lavoro giornalistico, ma questo non è tale se è precario, frammentato e non tutelato; ne risente la qualità stessa del lavoro. L’Italia deve investire di più nel pluralismo dell’informazione, a maggior ragione alla luce della rivoluzione digitale. Non si possono erogare contributi solo per espellere colleghe e colleghi dalle redazioni. Oltre alle indispensabili garanzie per il lavoro, sarebbe importante introdurre anche dei parametri qualitativi, come il rispetto delle regole base della deontologia professionale, per erogare finanziamenti pubblici.
Una nuova centralità per l’informazione professionale necessita, inoltre, di norme al passo con i tempi. La legge istitutiva dell’Ordine risale al 1963 ed è rimasta sostanzialmente immutata, parliamo ormai di un’altra era geologica in una realtà che continua a mutare costantemente sulla spinta della innovazione tecnologiche. Non possiamo restare ancorati a canali di accesso obsoleti, ad avere norme sulla disciplina che non aiutano a garantire il doveroso rispetto della deontologia – cardine di una corretta informazione – ad avere un esame che è rimasto poco più che a “penna a calamaio”.
Al nuovo Parlamento chiediamo, quindi, un’attenzione reale e non di mera facciata a tutto campo sul giornalismo, alle sue regole e alla necessità che questa professione risponda in modo sempre più adeguato al dettato costituzionale dell’articolo 21. Ben venga, quindi, una grande iniziativa unitaria su questi temi, per la democrazia e per la libertà di espressione. L’informazione deve essere una priorità per il Parlamento per il bene del nostro Paese.