Sono molte le risposte che il governo, di qualunque colore sarà, deve ai giornalisti italiani, a cominciare dal tema del lavoro “buono”. Libertà di stampa e dignità del lavoro sono strettamente connessi, sono le due facce della stessa moneta.
Stiamo vivendo un momento complicato per l’informazione. Destrutturazione è la parola d’ordine di tutto ciò che ci circonda. Destrutturazione del contratto, delle redazioni, qualcuno addirittura vorrebbe anche destrutturare il nostro sindacato, la Fnsi e le associazioni regionali di stampa.
Le redazioni degli anni Ottanta non esistono più. I giornaloni non esistono più, salvo rare eccezioni e comunque penalizzate nelle copie. Per chiarire: negli ultimi 20 anni i grandi quotidiani hanno perso tra il 70 e l’80% delle copie vendute.
Ora l’informazione è parcellizzata in centinaia di siti web; le redazioni minimizzate, simulacro del passato. Due anni di pandemia hanno destrutturato anche i luoghi di lavoro: il lavoro da remoto (non chiamiamolo per carità smart working che è una cosa differente) da un aiuto per i colleghi potrebbe trasformarsi nel cavallo di Troia per la spallata ai contratti.
Le trasformazioni tecnologiche hanno prosciugato gli organici delle televisioni private, le reti commerciali non sono più macchine da soldi e sul servizio pubblico, come quotidianamente ci accorgiamo, si stanno allungando le ombre di una politica che vuole ghermire la libertà di stampa.
In questa situazione, la Fnsi in questi anni ha fatto un ottimo lavoro, tenendo la barra dritta. Ha portato ai colleghi i diritti che non avevano, ad esempio a quelli che lavoravano senza contratto nei piccoli siti on line. Ha pungolato gli editori della Fieg per avere un rinnovo del contratto nel segno della contemporaneità e dell’inclusione, ma agli editori l’unico contratto che interessa è quello che tagli il costo del lavoro. Ha trattato con Aran per dare dignità agli uffici stampa professionali nell’ambito della pubblica amministrazione. Ha chiesto al governo soluzioni per il lavoro autonomo, la cancellazione dei contratti cococo, un obbrobrio giuridico italiano (perché il mondo ci insegna che il lavoro o è subordinato o è autonomo), la liquidazione giudiziale dei compensi.
Eppure, nonostante un quadro difficile, la realtà ci mostra in ogni momento fame di informazione di qualità, di notizie vere e verificate. Dal governo ci aspettiamo molte risposte sul lavoro professionale oltre che sulle querele bavaglio, le minacce, l’attacco sempiterno all’articolo 21. Perché è anche precarizzando il nostro mestiere che si affossa l’articolo 21 della Costituzione. Finché il lavoro non avrà dignità, l’Italia non riuscirà a risalire la china del 58mo posto.
Alessandra Costante, Coordinatrice nazionale di #ControCorrente