Sono incappato dopo tanti anni di reportage tv, realizzati per le Nazioni Unite e Network del servizio pubblico internazionale compreso la RAI, in un disturbo mentale. Dovuto a chi si trova ad assistere in prima persona ad eventi terribili e resta inevitabilmente condizionato in qualche modo. Dal 1980 al 2016 ho assistito a numerosi conflitti non solo bellici, in tutto il pianeta. I reporter possono trovarsi a fotografare, filmare, scrivere su avvenimenti che hanno portato al ferimento o alla morte di persone in guerra. E nessuno di noi può rimanere indifferente vedendo altri esseri umani terrorizzati, feriti o uccisi. A maggior ragione, i giornalisti possono rischiare personalmente la vita per la paura sulla propria pelle. Alcuni hanno reazioni a breve termine, come un’accentuata percezione del pericolo o un’ipersensibilità verso rumori improvvisi di bombe e ambulanze. Altri invece possono trovarsi desensibilizzati e diventare quasi indifferenti di fronte alla morte e alla sofferenza. Alcune persone, poi, rischiano di portarsi dietro problemi che danneggiano la loro vita. Ed è particolarmente vero per i giornalisti che non possono lasciare un’area di conflitto perché si tratta della loro stessa comunità in guerra.
In Inghilterra Il BBC World Service ha la sezione europea del Dart Center for Journalism and Traum con sede centrale negli Stati Uniti, volto ad affrontare lo stress post-traumatico depressione e panico. Presso il Centro di addestramento alla sicurezza“Centurion Risk Assessment Services (Post-Traumatic Stress Disorder, PTSD) reporter, fotografi e cameramen possono anche soffrire di disturbi simili con sintomi tali da rendere difficile la gestione della vita quotidiana. Un giornalista può cominciare ad avere questo tipo di reazioni quando il conflitto è finito, o quando lascia il paese in cui ha lavorato: in sostanza quando il lavoro da fare è stato fatto, e si trova quindi sommerso dai sentimenti più profondi e nascosti. Spesso si tratta di disturbi di breve durata, l’espressione Disturbo da Stress Post Traumatico si usa solo quando si manifestano sintomi gravi e si protraggono per più di un mese. Parlare di “disturbo” (disordine) suggerisce che la naturale reazione umana agli eventi scende in profondità e che “le ferite della mente” non riescono a rimarginarsi in modo automatico. I sintomi che si protraggono per un periodo più breve si possono catalogare come “disturbi da stress acuto”, i giornalisti spesso hanno bisogno di reprimere i propri sentimenti mentre lavorano. “Noi ci troviamo di fronte a cose orribili che ci colpiscono realmente, ma diciamo a noi stessi: non posso tollerare di pensarci in questo momento. E naturalmente, è il fatto stesso di essere giornalisti che suggerisce un pensiero simile, perché abbiamo delle scadenze da rispettare. L’unico problema è che alla fine, si può rimanere catturati dalla situazione. E quando improvvisamente cominciano gli attacchi di panico, o terribili mal di testa o ancora sintomi fisici che appaiono disconnessi tra loro, ci si trova catapultati in un mondo in cui si pensa: non so cosa mi sta accadendo”.
La sola esperienza non sembra essere in grado di proteggere da reazioni di questo genere. Al contrario, si può sostenere con una certa tranquillità che i reporter e le troupes più esperte sono esposte ai rischi maggiori. La BBC per 15 anni, ha seguìto e riportato circa una dozzina di guerre e conflitti armati. Alla fine si arriva ad esaurire le proprie difese.
Una ricerca commissionata dal Freedom Forum dell’Università di Toronto rivela che i corrispondenti internazionali inviati in zone di Disturbi da stress post traumatico guerra rischiano il disturbo da stress post-trauma e la depressione, senso di tristezza, mancanza di serenità, difficoltà nel dormire, perdita del senso del proprio valore, pensieri suicidi. Soffrire di disturbi di tipo fisiologico come aumento del battito cardiaco ,della sudorazione e stati d’ansia. Gli inviati in zone di guerra hanno più di una probabilità su quattro di soffrire di disturbo da stress post-trauma nel corso della loro vita. Più del doppio rispetto al rischio che corrono i funzionari di polizia e poco veterani combattenti dell’esercito. Comunque dedotto che la maggioranza dei reporter di guerra non soffre di disturbi a lungo termine. Un tentativo di patologizzare un settore. Tre quarti dei giornalisti che ho osservato non hanno riportato sofferenze a livello psicologico. La maggioranza è stata inviata di guerra per un periodo di circa 15 anni e generalmente uscita con qualche conseguenza. Reporter che veramente hanno avuto problemi spesso non hanno ricevuto un trattamento adeguato in particolare in Italia dove non esiste una conoscenza scientifica di questi temi.
Attacchi terroristici, guerre, bombe, incidenti aerei, stermini di massa ma anche terremoti, inondazioni e altri tragici eventi: c’è un fil rouge che collega tutte queste situazioni. L’effetto sulla salute mentale delle vittime, dei sopravvissuti e delle loro famiglie e conoscenze. Lo stress post-traumatico (Post Traumatic Stress Disorder, PTSD), è infatti una forma di disagio mentale che si sviluppa in seguito a esperienze fortemente traumatiche. Definito e studiato negli Stati Uniti soprattutto a partire dalla guerra del Vietnam e dai suoi effetti sui veterani, riproposti poi in tutte le più recenti esperienze belliche, il PTSD può manifestarsi in persone di tutte le età, dai bambini e adolescenti alle persone adulte, e può verificarsi anche nei familiari, nei testimoni, nei soccorritori coinvolti in un evento traumatico. Il PTSD può derivare anche da una esposizione ripetuta e continua a episodi di violenza e di degrado.
Definizione di caso
Essendo una condizione di disagio mentale complessa e derivante da molteplici fattori, sia personali che ambientali, la diagnosi di PTSD non è univoca né semplice ed è genericamente indicata come “la condizione di stress acuta che si manifesta in seguito all’esposizione a piu eventi traumatici”.Le persone, infatti, hanno una diversa suscettibilità e vulnerabilità alla condizione di stress, anche in relazione al maggiore o minore coinvolgimento diretto nell’esperienze traumatiche. E’ però stato accertato in diversi studi che, soprattutto nel caso dei bambini e degli adolescenti, anche una esposizione mediata, come può essere quella attraverso i media, a fatti che coinvolgano ad esempio il proprio paese o la propria città, possa generare condizioni di PTSD. Tra i fattori che certamente contribuiscono allo sviluppo di diversi livelli di PTSD, ci sono le caratteristiche specifiche dell’evento che lo causa e il grado o la modalità di esposizione della vittima, le caratteristiche degli individui, in termini della loro storia medica, psichica e familiare, le modalità di intervento nel periodo post-trauma. Alcune vittime manifestano stati d’ansia e cattivi ricordi che si risolvono con un adeguato trattamento e con il tempo. All’estremo opposto, invece, ci sono individui nei quali l’evento traumatico causa effetti negativi a lungo termine, come testimoniano numerose ricerche sugli individui esposti a violenza, tortura, maltrattamenti continuativi. Le ricerche effettuate direttamente su diverse aree del cervello hanno dimostrato che gli individui affetti da PTSD producono livelli anormali di ormoni coinvolti nella risposta allo stress e alla paura. Il centro responsabile di questa risposta sarebbe l’amigdala, una piccola ghiandola endocrina posta alla base del cervello. Normalmente, in situazione di paura, l’amigdala si attiva producendo molecole di oppiacei naturali che riducono la sensazione di dolore temporaneamente. In persone affette da PTSD questa produzione si protrae invece a lungo anche dopo emotivo. Inoltre, verrebbero alterati i livelli di neurotrasmettitori che agiscono sull’ippocampo, generando così alterazioni della capacità di memoria e di apprendimento regolate dall’ippocampo stesso. Gli stessi livelli di neurotrasmettitori diversi sarebbero alla base degli eventi di ricordo improvviso e doloroso degli eventi traumatici.
I malati di PTSD sono anche soggetti a una alterazione del flusso sanguigno cerebrale e a cambiamenti strutturali nei tessuti del cervello.
Sintomi e diagnosi
Sul fronte dei sintomi e della definizione di caso, diversi enti di ricerca e istituzioni sanitarie danno indicazioni per effettuare una diagnosi e individuare un trattamento adeguato del PTSD.Secondo il National Institute of Mental Health (NIMH) americano, caratteristica del PTSD è il fatto che la vittima rivive ripetutamente l’esperienza traumatizzante sotto forma di flashback, ricordi, incubi o in occasione di anniversari e commemorazioni. Le persone affette da PTSD manifestano difficoltà al controllo delle emozioni, irritabilità, rabbia improvvisa o confusione emotiva, depressione e ansia, insonnia, ma anche la determinazione a evitare qualunque atto che li costringa a ricordare l’evento traumatico. Un altro sintomo molto diffuso è il senso di colpa, per essere sopravvissuti o non aver potuto salvare altri individui.