La legge n.28 del 2000, chiamata par condicio, è in vigore e non è stata abrogata, come sembrerebbe da qualche commento o – peggio- da iniziative gravi assunte da parte di chi dovrebbe applicarla.
Con parole sapienti e condivisibili il sindacato dei giornalisti della Rai è già intervenuto. Tuttavia, è davvero incredibile che, persino dopo i regolamenti attuativi varati all’inizio del mese dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e dalla Commissione parlamentare di vigilanza, si tenti di aggirare la disciplina.
Per essere chiari. Dalla mezzanotte di oggi (termine per la presentazione delle liste) e fino alle ore 24 del secondo giorno precedente la data della consultazione, la l.28/2000 definisce una griglia rigorosa per stabilire le presenze dei protagonisti in campo. Le pari opportunità valgono per tutte e tutti. Non ci sono figli di un Dio minore. Non sono leciti confronti a due, ma neppure a tre o quattro.
Se negli appositi contenitori previsti per la comunicazione politica (dalle tribune, alle interviste) vi può essere spazio anche per le coalizioni, esso non può essere a detrimento delle liste. Ciò si riverbera pure nelle edizioni dei radio-telegiornali e nelle rubriche collegate (i talk) laddove abbiano scelto tale collocazione. Non si tratta di mettere nei flussi informativi lo stesso cronometro previsto per le tribune, ma la correttezza vuole che medesimi siano i tempi attribuiti e omologa la fascia oraria. Si definiscano, dunque, adeguate quantità di puntate dedicate alla discussione.
Il rispetto delle varie posizioni, rappresentate da forze grandi o piccole che siano, è essenziale. Il pluralismo è un diritto garantito dall’articolo 21 della Costituzione. Ciò vale sia per la Rai sia per le emittenti private, sempre pubblico essendo l’interesse da tutelare.
L’Agcom si riunirà su tali questioni il prossimo mercoledì 24 agosto. È augurabile che non si fermi a qualche generico richiamo verbale, bensì cominci ad estrarre dal taschino cartellini gialli e rossi.
Violare la legge non è solo una scorrettezza, bensì un reato. L’informazione è un bene comune, cruciale per l’edificio democratico